Prove tecniche di pacificazione. L’ambasciatore russo in Italia Sergej Razov ci parla del difficile tentativo di tregua tra Ucraini e indipendentisti russi e della possibilità di superare le contrapposte sanzioni in nome di un “calcolo razionale”. A Kiev è forte un “partito della guerra” – dice Razov – e nel Donbass sono state usate anche armi proibite. L’ambasciatore esprime il punto di vista di una Russia che si sente sfidata e minacciata ai suoi confini.
Sono passati due mesi dall’abbattimento dell’areo malese e in molti ambienti si continua ad attribuire alla Russia la responsabilità di quella tragedia. Come risponde Mosca a questa accusa?
La Russia è uno di quei pochi paesi che non smette di ribadire la necessità di svolgere un’inchiesta accurata riguardo alle condizioni in cui è avvenuta la tragedia. Gli organi competenti russi hanno formulato una serie di questioni: delle risposte qualificate a queste domande avrebbero potuto chiarire l’accaduto. Invece assistiamo ad una “indicazione” dei colpevoli, esercitata con totale discrezionalità, cosa inaccettabile e che nasconde scopi palesemente politici.
Dopo la vicenda dell’aereo abbattuto sono venute le sanzioni occidentali e le contromisure della Russia. Come si esce da questa catena di ritorsioni?
Gli USA e l’UE hanno optato per un’escalation delle pressioni sulla Russia adottando delle sanzioni: all’inizio si è trattato di sanzioni personali, seguite poi da quelle settoriali con l’intento di colpire le sfere chiave dell’economia. Queste sanzioni hanno ormai perso qualsiasi nesso, di natura causale-consequenziale, riguardo a ciò che sta accadendo in realtà in Ucraina assumendo, nella loro evoluzione, una logica di inerzia indipendente dal resto.
Lei dice che si sanziona per il solo gusto di sanzionare…?
Le ricordo che il 5 settembre, a Minsk, è stato firmato il Protocollo sul cessate-il-fuoco che getta le condizioni per una soluzione politica del conflitto in Ucraina. La maggioranza dei politici e degli esperti imparziali hanno valutato questo risultato come un passo indispensabile e costruttivo. È stato altrettanto apprezzato anche l’apporto del Presidente Vladimir Putin che aveva presentato, alla vigilia del summit, delle proposte in sette punti. Ciò nonostante, l’Unione Europea prende, una settimana dopo, una decisione assurda sull’inasprimento delle sanzioni. Dov’è la logica?
E’ anche vero che Mosca ha risposto con misure di segno uguale e contrario.
Dal canto nostro abbiamo messo in guardia, insistendo sulla consapevolezza che le sanzioni sono un’arma a doppio taglio. Le preoccupazioni dei produttori italiani, che subiranno dei danni causati dalle sanzioni di risposta, sono comprensibili. Ma le domande a riguardo non devono essere rivolte a Mosca: il destinatario è ben altro.
Lei vede uno spiraglio per uscire da questo ingorgo di sanzioni e controsanzioni?
Certo, se partiamo dal presupposto che alla fin fine prevarranno il calcolo razionale, l’aspirazione a conservare i profitti e i posti di lavoro, la volontà di non raggiungere un punto di non ritorno nelle relazioni con la Russia. Ovviamente la Russia, come hanno messo in evidenza più volte i nostri dirigenti, non ha alcun interesse a fomentare la spirale delle sanzioni.
Lei prima accennava a un protocollo di tregua. Ma all’atto pratico di che tipo di tregua si tratta? Una tregua stabile o in stile… “israeliano-palestinese”?
Naturalmente riponiamo la nostra fiducia nella migliore delle ipotesi. La stabilità della tregua dipende nettamente dalla coscienziosità e consequenzialità da parte dei vertici dell’Ucraina, della Repubblica Popolare di Donetsk (LPD) e della Repubblica Popolare di Lugansk (LPL), nell’adempiere agli obblighi assunti e nel risolvere i problemi in atto attraverso il dialogo. Ma in questo contesto destano preoccupazione le dichiarazioni, fatte con una certa frequenza a Kiev, dei rappresentanti del “partito della guerra”, che non lasciano dubbi in quanto ai loro veri intenti.
Mosca accetterebbe l’idea di una autonomia dei territori orientali russofoni all’interno di uno Stato ucraino confederale? E accetterebbero questa idea i miliziani delle repubbliche di Donetsk e Lugansk?
La scelta dell’assetto statale, incluso quello amministrativo, dell’Ucraina è, naturalmente, prerogativa del popolo e del governo di quel paese. La Russia si è pronunciata affinché siano prese in considerazione tutte le peculiarità – etniche, linguistiche, confessionali, nazionali e culturali – delle diverse regioni dell’Ucraina. Alla fine i tentativi di ignorare, da parte di alcune forze a Kiev, queste peculiarità, ricorrendo hanno costituito la causa degli eventi drammatici che hanno luogo in questo paese. È chiaro che questi problemi devono essere risolti nella cornice di trattative pacifiche, democratiche, inclusive e non nel corso delle operazioni militari con l’uso delle armi pesanti e, talvolta, di armi proibite.
In risposta alle manovre NATO programmate ai confini con la Russia si è parlato di una nuova “dottrina Putin” riguardo alle relazioni tra Russia e NATO. In cosa consiste questa nuova “dottrina Putin”?
Non ho sentito parlare di alcuna nuova dottrina. I vertici di ogni paese, anche in Russia, sono responsabili nel garantire la propria sicurezza. Non credo che delle persone serie possano mettere in discussione il fatto che le decisioni del summit recente della Nato in Galles, nonché le azioni concrete, adottate e progettate, dei nostri partner occidentali, suscitano in Russia un senso di minaccia e di sfida, a cui la Russia sarà costretta a dare un risposta.
Lei ritiene che si stia ritornando ad una logica di scontro frontale Est-Ovest?
La logica dello scontro nei confronti di Mosca, imposta di nuovo alla società internazionale, è solo la naftalina scadente nel baule della NATO, risalente ai tempi della guerra fredda.