La fame del nazionalproletariato e l’orgoglio dell’aristocrazia: Tevez e la Juve, l’incubo (per gli avversari) continua in Champions League a spese del Malmoe. Con quella ghigna che non ne fa un Adone, sembra uscito da un film del terrore, Carlitos. In campo si trasforma in un killer più spietato di Jason in “Non aprite quella porta”. E lui le porte non solo le apre, le scardina insieme alle difese avversarie. Diffonde terrore, regge la squadra e dà un senso all’attacco bianconero anche quando la partita sembra prendere una piega noiosa. Gioca sempre lui, segna ed esulta con le movenze di un robot, mostrando un sorriso più inquietante di quello di Freddy Krueger dopo aver fatto a pezzi l’ennesima vittima.
L’addio di Antonio Conte e l’arrivo di Max Allegri non sembrano aver intaccato minimamente la fame, atavica, implacabile, insaziabile, dell’argentino che – partita dopo partita – diventa sempre più uomo simbolo di una Juventus che, negli anni, ha visto completamente cambiare la sua stessa immagine. Da Platini, Zidane e Del Piero all’uomo di Fuerte Apache. Da squadra aristocraticissima, emblema e simbolo del patriziato del calcio a sinfonia plebea, trascinata dalla rabbia e dalla fame di affermazione e rivalsa in Italia e, se continua così, in Europa. Sembra una bestemmia. Eppure, così è. Se vi pare.