“Si alza il vento” (Kaze tachinu) di Hayao Miyazaki è un capolavoro. Un film sul progettista del caccia Zero dove lo Zero entra in scena solo negli ultimi fotogrammi. Un film che parla della Storia dell’umanità e della storia degli uomini con un’etica nietzscheana del divenire storico rispetto al sentire e al destino individuale delle persone e perfino di popoli e nazioni. Ma al di là di ogni esegesi, per noi italiani c’è un motivo in più per appassionarsi e amare questo film. Si omaggia un grande compatriota, quel Gianni Caproni conte di Taliedo (1886-1957) che è fra i pionieri dell’aeronautica mondiale e che aveva il suo ritratto accanto a quello dei Fratelli Wright alla Casa Bianca. Eppure l’omaggio di “Kaze tachinu”, si trasforma nel requiem di un paese oramai morto.
Avete provato a leggere recensioni e commenti sulla stampa nazionale su questo capolavoro? Non è solo la solita fiera della banalità a cui siamo abituati, ma anche e soprattutto la totale e sistematica sottovalutazione del personaggio Caproni. Una negazione storica e cinematografica dentro la quale il grande italiano è completamente ignorato da giornalisti e critici italiani. E non è che sia esattamente una comparsa, nel film: è il personaggio a cui spetta la battuta finale, colui che dà senso ad un racconto che nel suo complesso si sviluppa al di là di bene e di male. Eppure, tale e tanta sembra essere oramai l’avversione degli italiani per la loro stessa identità, che tutti – e sottolineiamo tutti – coloro i quali si sono cimentati nel commentare questo film non si sono nemmeno presi il disturbo d’andare a leggere la pagina di Wikipedia (peraltro ottima) su Giovanni Battista Caproni.
Perfino la casa distributrice del film, la Lucky Red, nella cartella stampa sbaglia i riferimenti cronologici del grande industriale aeronautico italiano, “noto in tutto il mondo a partire dalla nascita dell’aviazione italiana negli anni ’30”, mentre la sua opera inizia molto prima, durante la Grande Guerra. Come peraltro il film ricorda benissimo.
Marco Giusti, autorevolissimo critico cinematografico di Dagospia, che già aveva parlato del film nell’anteprima al Festival di Venezia di un anno fa, ora torna sulla pellicola toppando clamorosamente proprio sul co-protagonista italiano della storia liquidato come “un genio dell’aviazione italiana nato durante il fascismo, tal Italo Caproni”. A parte il nome – Italo è uno dei nipoti del Conte di Taliedo – e l’errore cronologico – evidentemente mutuato dalla cartella stampa della Lucky Red – è quel “tal” a bruciare. Come “tal”? Ma Giusti avrebbe scritto del personaggio interpretato da Leonardo Di Caprio in “The Aviator” come “un tal Hughes”?
Ma, in generale, nella ricezione dell’opera, sono più quelli che si sforzano di non citarlo nemmeno, il Caproni. Come Gianmaria Tammaro sul rotocalco di “Repubblica” del 10 settembre 2014, scrive di “incontri onirici tra il protagonista e i suoi eroi.” Peccato che l’eroe sia uno e uno solo: Gianni Caproni. Negarlo non è un torto al vecchio pioniere dell’aeronautica, ma alla stessa opera di Miyazaki, che ha chiamato il suo studio “Ghibli” anche in omaggio a un aereo della Caproni. Citare in questo contesto “Porco rosso” e l’Italia “cara a Miyazaki”, diventa solo il tentativo di “arruolare” Miyazaki nello schieramento politico che fa capo a quella testata. E questo perché il principale argomento sulla cosiddetta “agenda setting” dei “professionisti dell’informazione” del nostro paese: l’ossequio al politicamente corretto. Come ben dimostra l’articolo sul blog “le vie dell’Asia” del “Corriere della Sera” scritto da Marco Del Corona il 15 settembre. Caproni citato di striscio (quasi un santino pacifista all’occhio del giornalista), dove vengono banalizzati anche gli espliciti richiami alla “Montagna Incantata” di Thomas Mann. Tutta la tensione etica e morale viene così strumentalizzata contro il presunto “militarismo” del film.
Una polemica che può interessare solo a chi è superficialmente schiavo delle puerili categorie di “buoni” e “cattivi” come l’ideologia imperante del politicamente corretto impone. Per contro, da sempre avversata dal regista giapponese. Riescono a non scrivere banalità e anzi ad approfondire anche la figura di Caproni solo Valentina Bernabei sul blog del rotocalco femminile di “Repubblica” il 12 settembre, e Marco Barbieri su “Il Foglio” del 10 settembre: perle rara in questa rassegna del giornalismo italiano.
Meritoria invece l’opera dei quotidiani locali del Trentino, terra di Caproni del suo Museo dedicato ai suoi aerei: “L’Adigetto” dell’11 settembre scorso e soprattutto “La Voce del Trentino” nella persona di Mario Garavelli che il 3 settembre aveva pubblicato un interessante articolo raccogliendo le testimonianze di Italo Caproni, e che ha fornito allo Studio Ghibli la documentazione necessaria per l’accuratezza storica di “Si alza il vento”; da sottolineare il lavoro di Takashi Miyazaki, omonimo del regista e corrispondente per l’Italia della stampa nipponica. Proprio in Giappone, inoltre, l’Asahi Shinbun ha intervistato, mesi fa, l’erede Caproni. Tanto per intenderci, l’Asahi è il secondo quotidiano del Giappone e una delle testate più importanti del mondo (sfiorando gli 8 milioni di copie).
Insomma, l’Italia ha accolto questo ennesimo omaggio di Hayao Miyazaki al nostro paese con ritardo, banalità e ignoranza. A conferma dell’impatto di una pellicola di tale caratura sugli spettatori di tutto il mondo, dopo l’uscita del film nelle sale di mezzo mondo sono immediatamente apparse le pagine Wikipedia dedicate a Giovanni Battista Caproni in russo, cinese e giapponese; un risultato di marketing culturale incredibile, ancora una volta non sfruttato dalla nostra industria culturale. Per l’ennesima volta l’Italia si fa cogliere impreparata, disinteressata, distratta. Caproni, un secolo dopo, è nuovamente nemo propheta in patria.
La negazione di Caproni è così figlia di quella cultura anti-eroica, tutta italiana e poco italica, che nel nome del pacifismo, distrugge la propria identità storica. E come ci ricorda lo stesso Miyazaki in una vecchia intervista «Va anche bene che alcuni individui siano ignoranti sui fatti storici fintanto che se ne rimangono in Giappone, ma per un intero popolo essere ignoranti è una formula per il disastro». Ecco, Miyazaki, col suo omaggio non recepito ci dimostra quanto il nostro popolo sia ad un passo dal disastro.