“L’aspetto più interessante del referendum sull’indipendenza sta nel fatto che il fronte del ‘sì’, inizialmente percepito da parte della sinistra come una campagna antibritannica, è oggi visto come l’avanguardia di parte di un movimento populista più ampio, che ha come obiettivo il ritorno della democrazia attraverso queste isole”: lo scrittore scozzese Irvine Welsh, con un articolo su “La Repubblica”, ha argomentato il proprio appoggio al fronte indipendentista per il referendum dell 18 settembre.
“Free Scotland” è uno slogan che sta appassionando molto in queste settimane i lettori di destra non allineata (compresi quelli di Barbadillo.it), e questa suggestione deriva anche dalle influenze di pensatori come Alain de Benoist, che hanno – ormai da decenni – demolito la retorica patriottarda, indicando nella prospettiva comunitarista uno strumento per fronteggiare le storture di globalizzazione ed euroburocrazia. Il filosofo francese ha spiegato in una intervista così l’adesione a opzioni populiste o indipendentiste di popoli che ormai si posizionano fuori dalla dicotomia destra/sinistra: “La crisi della rappresentanza affligge oggigiorno tutte le democrazie liberali. L’indebolimento dello Stato-nazione, il quale, come ho detto sovente, è divenuto, in una volta, troppo grande per rispondere alle aspettative quotidiane della gente e troppo piccolo per far fronte alle problematiche che si sviluppano oramai su scala planetaria, ha avuto per conseguenza la rottura di ogni legame sociale (lo Stato non è più produttore di socialità) e una frattura, sempre più accentuata, tra la classe politica e i cittadini. Quest’ultimi allora tendono a rifugiarsi nell’astensione o a votare per i partiti di pura protesta, i quali non rappresentano forze costruttive. È possibile rimediare a questa situazione soltanto ponendo in essere una democrazia partecipativa su tutti i livelli che, a partire dalla base, permette a ciascun cittadino di partecipare alle vicende pubbliche”
Irvine Welsh antipartitocratico
La prosa dell’autore di Trainspotting su “La Repubblica” ricorda i comizi di Marco Pannella o Giorgio Almirante: “Oggi – scrive Welsh – con il suo sistema di partiti moralmente corrotto, i suoi politici di professione che non godono di alcuna stima e una pletora di insabbiamenti e complotti che arrivano fino al cuore di un establishment squallido, decadente e opportunista nel campo degli affari, della politica, dei media e della giustizia, il Regno Unito è considerato da molti dei suoi cittadini come uno Stato fallito”.
Per lo scrittore l’indipendenza sarà foriera di cambiamento e nuova socialità: “Il principio è semplice: significa destinare le risorse nazionali all’istruzione, alla sanità e agli alloggi anziché dirottarle nei conti offshore dei super-ricchi o dissiparle in sordidi conflitti all’estero istigati dagli incapaci per l’arricchimento dei loro finanziatori”.
La chiosa finale lo fa incasella in pieno tra gli autori critici dell’attuale linea occidentalista: “Quanto a me – scrive ancora Welsh – ho trascorso la maggior parte degli ultimi dieci anni in Irlanda e in America: due Paesi un tempo governati da Londra. Non ho ancora incontrato una singola persona in quei Paesi mossa dal benché minimo desiderio di tornare indietro a quel governo. Quando anche la Scozia e Inghilterra si sanno liberate del sistema corrotto, imperialista ed elitista, vi garantisco che i loro popoli la penseranno esattamente come gli irlandesi e gli americani“.