Altro che creste e sopracciglia depilate. Qui, ogni riccio è un capriccio. E meno male, considerato il personaggio. Carlos Valderrama, il trequartista colombiano divenuto icona (anche) per i suoi capelli, riparte da quella “caballera rubia y rizada” che conoscono in ogni angolo del globo, tanto da essersi trasformata in un modo di dire. Alzi la mano chi, vedendo per strada o sullo schermo qualche parruccone improbabile di riccioli o una matassa bionda in stile afro non ha esclamato, rivolto al malcapitato di turno, con un mezzo sorriso: “Ha i capelli alla Valderrama”.
E allora muoia Sansone con tutti i filistei. Anche se qui l’autodistruzione dell’eroe che traeva la forza dal proprio crine non c’entra. Al massimo, a uscirne a pezzi, è la settima arte. Perché è nel cinema che il campione che fu capitano dei Cafeteros in tre mondiali ha deciso di cimentarsi. Tra qualche giorno uscirà nelle sale colombiane “Por un puñado de pelos”, un’improbabile commedia diretta dall’argentino Nestor Montalbano, uno specialista dell’umorismo che tende, con decisione, al demenziale. I dollari – e soprattutto Sergio Leone – non c’entrano nulla. Qui si battaglia e si ride solo “per un pugno di capelli”, appunto. Nel cast ci sono il musicista afro-uruguayano Ruben Rada e Nicolas Vazquez, uno dei più noti attori colombiani. Ma la star indiscussa della discutibile pellicola è proprio “El Pibe”, calato nel ruolo di sindaco di un paesino dove viene scoperta una fonte di acqua miracolosa, grazie alla quale chiunque può ottenere una chioma folta come quella di Valderrama.
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E così, a 53 anni suonati, il fantasista riparte dal particolare che l’ha consacrato icona pop del calcio mondiale. Quei riccioli portati in giro per il campo di gioco con l’indolenza e la strafottenza di chi ha nel sangue i blandi ritmi sudamericani sono sinonimo di fantasia e libertà. E a rivedere quell’improbabile matassa che dribbla e danza col pallone, si sente l’afrore del calcio che fu.
Valderrama fu uno degli ultimi mohicani che si opposero, magari inconsapevolmente, alla deriva di un calcio che a inizio anni Novanta aveva già intrapreso la strada dello strapotere fisico. Mentre gli altri correvano come centometristi, lui passeggiava con la sua crescente panzetta per il campo, regalando assist al bacio e tocchi di prima. Era tanto lento nei movimenti quanto veloce nei pensieri. Di lui Menotti disse: “E’ un mago dell’intelligenza che conosce la posizione dei suoi compagni quasi senza guardarli”. Ai filistei che non (ri)conoscono la fantasia come schema, non è mai piaciuto molto. E allora muoia pure il cinema (quello serio, almeno) se serve a strappare un sorriso e a ricordare ogni riccio e capriccio di un Sansone che trae la sua forza dall’essere rimasto nel cuore di tanti. Una bionda e bizzarra iniezione di buonumore in un mondo in cui tanti si prendono troppo sul serio.