Premesso che multiculturalismo e antimulticulturalismo sono degli “ismi” inutili, che nascono da quel malinteso a proposito del quale si è già occupato il collega Onofrio Romano, con il quale concordo anche a proposito della necessità della costruzione di una macroregione euromediterranea (tanto più necessaria per sfuggire una volta per tutte alla pessima e infausta mistificazione del cosiddetto “Occidente”), esprimo anzitutto ammirazione e gratitudine per l’eccellente lavoro del mio vecchio amico di Franco Cassano, con il quale tanto proficui scambi d’idee mi capitò di avere quando, tra 1985 e 1990, insegnavo nell’Università di Bari. Non mi stupisce affatto che Cassano venga attaccato duramente e volgarmente dai valletti di quello che uno stesso di loro definisce “capitalismo planetarizzato”, e che è il primo autentico nemico – oggi, ma non da oggi – del genere umano.
Quanto alle accuse rivolte contro il “pensiero meridiano” e quanti, in un modo o nell’altro, sono ad esso vicini, mi limito ad alcuni rilievi di tipo storico a proposito di una recente espressione di esse.
Dodicimila persone sono troppe per essere stipate in una sola chiesa ed è improbabile che in tanti si potesse convenire in una volta sola nella città di Otranto alla fine dell’XI secolo (quando, tanto per dare un’ìdea – ma i calcoli demografici prima del XIV-XV secolo sono quasi impossibili, data la carenza di fonti seriali che li consentano -, la città di Pisa, una delle più popolose della penisola italica dell’epoca, ne contava sì e no 5000). Impossibile poi che quelle 12.000 persone fossero “crociati”: le imprese che a posteriori sono state definite “crociate” (una parola che nel suo originale latino cruciata affiora, e solo episodicamente, a partire da fonti occitane del Duecento, e che si afferma solo fra Tre-Quattrocento) si svilupparono da due concili ecclesiastici provinciali, quello di Piacenza e quello di Clermont, rispettivamente tra primavera e autunno appunto del 1095. Che in tale anno fosse possibile una forte concentrazione di persone che si potessero definire crucesignati(espressione che in effetti, fino dalle fonti del primo XII secolo, compare per indicare coloro che avevano compiuto il voto di pellegrinaggio e di soccorso alle Chiese orientali sulla base di una disciplina che papa Urbano II avrebbe avviato a Clermont nel novembre 1095 e perfezionato tra 1096 e 1098) è materialmente impossibile. Le prime colonne di armati crucesignati(militeso servientes, ai quali si erano probabilmente già accodati dei pellegrini) che raggiunsero le coste pugliesi per passare salpando principalmente da Bari o da Brindisi su quelle epirote e proseguire lungo la Via Egnatia fino a Costantinopoli furono quelle francesi di Ugo di Vermandois, normanne del duca Roberto (il primogenito di Guglielmo il Conquistatore) e fiamminghe del conte Roberto. Si trattava ragionevolmente di alcune centinaia di gente a cavallo, che per quel tempo non è affatto poco. Nell’autunno del 1096 Boemondo, figlio di Roberto il Guiscardo, era all’assedio di Amalfi: anch’egli raggiunse i crucesignatie fonti attendibili ce li mostrano in Costantinopoli l’anno dopo. Sugli effettivi di quella che i manuali scolastici di storia chiamano la “prima crociata” (gli specialisti non amano definizioni rigidamente deterministiche di questo tipo), le discussioni tra gli studiosi proseguono serrate: in linea di massima, a parte che è impossibile stabilire il numero delle defezioni e dei nuovi adepti in itinere, si ipotizzano ingegnosamente numeri dai 1000 ai 3000 armati e dai 1000 ai 30.000 pellegrini in tutto per il periodo 1096-1099. Cifre imponenti per l’Europa del tempo: un vero, quasi incredibile esodo. Tra gli eruditi e i poligrafi encomiastici del Cinque-Settecento, le cifre iperboliche erano d’uso: i 12.000 di Trani debbono essere venuti di lì. Per i rapporti tra meridione e prima crociata si possono interpellare specialisti quali Raffaele Licinio, Luigi Russo, Pietro Dalena.
Che Pantaleone abbia compiuto il suo lavoro musivo idruntino tra 1163 e 1165 è cosa molto probabile, ma che tali date si situino tra la cosiddetta “terza” e la cosiddetta “quarta” crociata è falso ed errato: se proprio si debbono seguire tali bignameschi parametri, si legga almeno bene appunto quel benemerito testo ch’è il Bignami: la crociata del 1147-49 (Corrado III e Luigi VII) è chiamata ordinariamente “seconda”, quella del 1189-92 (Barbarossa, Riccardo Cuor di leone, Filippo II Augusto, Corrado di Monferrato) “terza”. Ad ogni modo, ricorrere a un grossolano intarsio cronologico per dimostrare che in quel secolo e a quel tempo Cristianità occidentale e Islam erano in lotta tra loro è solo una puerile sciocchezza. A tale livello, perché non ricordare Anche le guerre tra castigliani e aragonesi cristiani, arabo-berbero-ispanici musulmani dall’altra, ch’erano coeve alle “crociate” in terrasanta e ad esse correlate, come a quelle che nel contempo si organizzavano nel Nordest europeo? La guerra fa parte del rapporto e degli scambi tra mondo cristiano e mondo musulmano: è la facies militare di esso; e si trattava di guerre di solito brevi, stagionali, “permeabili” rispetto ad altri tipi di rapporti quali i diplomatici e i commerciali. Guerra flessibili, ben diverse dalla “guerra totale” concepita a partire dall’ideologia giacobina di fine Settecento secondo la quale – e seguendo con fantasiosa retorica i modelli ellenico e romano dell’antichità – popolo ed esercito s’identificano e tutti i nemici, inermi compresi, si possono trattare come soldati e quindi legittimamente massacrare. Gli inermi si massacravano anche prima: nessuno però sosteneva che ciò fosse legittimo. Sappiamo bene che la grande epoca dei commerci e degli scambi culturali a tutti i livelli (le universitates studiorumdel XII-XIII secolo seguono il modello della beit al-Hikmamusulmana, ideata nella Baghdad del IX secolo) coincide in tutto e per tutto con l’epoca “d’oro” delle crociate. Sappiamo tutti che si deve a un intenso lavoro di traduzione organizzato soprattutto dai cluniacensi del XII secolo (la famosa collectio cluniacensis) se, con centro soprattutto – ma non soltanto – in Toledo, tra i re castigliani Alfondo VI e Alfonso X (il grande organizzatore di studi matematici e astronomici) vennero tradotti dall’arabo e dall’ebraico in latino non solo il Corano e vari testi talmudico-cabbalistici, ma anche opere di matematica, astronomia, chimica e medicina. Senza Avicenna non ci sarebbe la medicina moderna, senza Averroè non ci sarebbe stata la fioritura degli studi aristotelici della scolastica, forse senza il Kitab al-Mirajnon ci sarebbe la Divina Commedia. L’amanuense bizantino rintracciato dal collega Guggenheim a Mont-Saint-Michel avrà anche tradotto Aristotele senza l’intermediazione dei testi arabi, ma non spiega affatto la massa di testi che tra X secolo (cioè già dai tempi di Gerberto d’Aurillac, poi papa Silvestro II) fino a tutto il XV investono l’Europa – con centri privilegiati in Spagna, in Italia e in Inghilterra – fondandone la grande cultura medievale e umanistica. Gli apporti musulmani sono stati giganteschi. Il bel libro di Hans Belting, Florenz und Baghdad , lo prova. Ma per restare tra noi, basta consultare Sindbad mediterraneo. Per una topografia della memoria da Oriente a Occidente, a cura di R. Morosini e C. Lee, Lecce, Rovato, 2013. Ma l’Islam, riversando su di noi una tale massa di conoscenze filosofiche, matematiche e naturalistiche (che noi gli abbiamo nel tempo restituito a partire dal sec. XVI con la nostra tecnologia frattanto divenuta superiore), altro non a fatto se non mettere a frutto quanto esso stesso, attraverso Bisanzio, la Siria e la Persia, aveva ricevuto del tesoro di conoscenze proprio della cultura ellenistico-romana. Perché questo è il punto: non c’è nessuno “scontro di civiltà” tra cultura ellenico romana e cultura islamica (a entrambe le quali va aggiunto il “sale disciolto) della diaspora ebraica, preziosissima)in quanto entrambe esse sono l’esito, il frutto e lo sviluppo dell’incontro tra la civiltà ellenistica a sua volta nata dalla koinè ellenico-orientale scaturita dall’esperienza alessandrina (eccolo l’Alessandro del mosaico di Otranto!) e il monoteismo abramitico liberato dai suoi stretti confini etnoculturali e divenuto universale grazie alla diffusione del cristianesimo: d’altronde, senza ebraismo e cristianesimo lo stesso primitivo Islam, la formidabile rivoluzione eticosociale di Muhammad, resta incomprensibile. Le culture eurocristiana, bizantina, ebraica e musulmana sono – insieme con i forti e fecondi apporti etnici germanici, celtici, baltici, illirici, uraloaltaici, iranici e arabi – facies differenti ed etnolinguisticamente distinte di una sola, grande cultura eurasiafromediterranea della quale siamo tutti figli, felici e fieri di esserlo. Al brigantaggio umanistico prima, illuministico dopo, liberistico-colonialistico infine, che ha cercato d’ingannarci inventandosi la categoria dell’Occidente-Modernità il quale sarebbe unilateralmente ed esclusivamente figlio della Grecia e della Roma “classiche”, a parte ovviamente l’apporto “ebraico-cristiano”, ormai dopo molti decenni di ricerche storiche, filologiche, archeologiche e antropologiche possono credere soltanto i nipotini di Samuel P. Huntington, di Russell Kirk e di Plinio Correa de Oliveira.
Quanto al cosiddetto jihadismo, che fino a pochi anni fa si definiva fondamentalismo islamico e che i francesi avevano preferito chiamare islamisme, dev’esser chiaro una volta per tutte che con la tradizione musulmana ha abbastanza poco a che vedere. Si tratta di una lettura dell’Islam moderna,profondamente politicizzata, che certo si fonda anche sui testi canonici musulmani sunniti (Corano e hadithdel Profeta), ma che ha preso piede a partire in area sunnita dall’Egitto e dall’India nordoccidentale degli Anni Venti del secolo scorso – con teorici quali al-Bannah e Ali Jimma – e che si fonda non tanto su una “politicizzazione delle religione” quanto su una “religionizzazione della politica”. In area sciita qualcosa del genere fu fatta da un grande pensatore iraniano, Ali Shariati, maestro di Rukhullah Khomeini. Le tesi jihadiste nacquero e si sono tuttavia sviluppate, sia chiaro, sulla base della profonda delusione e del rovente rancore del mondo musulmano nei confronti dei soprusi dell’Occidente liberistico e colonialista, in particolare dei governi britannico e francese che durante la prima guerra mondiale avevano promesso alle popolazioni dal mondo arabo all’India unità e indipendenza se esse li avessero aiutati nello sforzo e per battere le potenze della Triplice Alleanza e quindi, anche a causa della “corsa al petrolio” nel frattempo avviata e della necessità d’impadronirsi si quei cespiti di ricchezza e di potenza, le avevano ingannate e tradite addirittura aggravando la pesantezza dello sfruttamento coloniale al quale avevano aggiunto l’inganno della “decolonizzazione” del tutto funzionale agli interessi di quelle lobbies economiche e finanziarie che oggi gestiscono la tirannia globale. Il fondamentalismo sunnita, che combatte l’Occidente con mezzi e strumenti fornitigli dagli occidentali magari attraverso il tramite degli emirati della penisola arabica (basti pensare al cinismo con cui francesi e inglesi, negli ultimi mesi, hanno appoggiato i jihadisti dalla Libia alla Siria, salvo poi, oggi far dichiarazioni di fuoco contro l’IS di al-Baghdadi), sta combattendo nel contempo la fitna, la guerra fratricida contro l’Islam sunnita. Queste sono solo alcune delle cose che i nostri media ignorano o che ci nascondono: e che invece sarebbe giusto e urgente sapere, anziché perder tempo lasciandoci ingannare da fiabe del tipo “primavere arabe”.
Quanto poi al fatto che il jihadismo – senza dubbio un fenomeno da prendere molto sul serio e da tenere nel massimo conto – voglia conquistare l’Occidente, certe sciocchezze lasciamole dire ai propagandisti della risma di Bilal Bosnic, che sono fra l’altro i migliori alleati obiettivi, con il loro cieco e ottuso fanatismo, dei ciechi e ottusi fanatici che da noi si rifanno alle tesi neocone teocon.
* Intervento pubblicato in forma ridotta sul Corriere del Mezzogiorno, edizione Puglia il 31 agosto 2014