Quando sei un’icona, è difficile separare le scelte private e professionali dalla rilevanza simbolica che possono assumere. E così l’ormai quasi certo trasferimento di Alex Del Piero nel campionato indiano per giocare, da ottobre a dicembre, nella squadra dei Delhi Dynamos, è (anche) un piccolo caso diplomatico-politico. In India continuano a restare i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ancora ostaggio del governo di New Dehli e dell’incapacità diplomatica e politica degli esecutivi italiani che si sono succeduti negli ultimi anni.
L’ex capitano della Juventus pare abbia trovato un accordo per disputare la Indian Super league che lo terrebbe impegnato solo tre mesi, fino a dicembre appunto, in modo da poter accettare a gennaio offerte da società statunitensi, dove il campionato inizia a gennaio. Vestirebbe la maglia dei Delhi Dynamos, formazione di proprietà della compagnia di distribuzione della tv via cavo Den Network, e ritroverebbe qualche vecchia conoscenza, come David Trezeguet e Franco Colomba, in forza a un’altra delle otto squadre indiane, il Pune Fc, che ha un accordo di collaborazione con la Fiorentina.
Nulla di strano, soprattutto nel calcio moderno. Ma la scelta dell’India non può non far venire alla mente il caso marò. Chi ha collegato immediatamente le due cose è stata la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. «Rivolgo un appello ad Alex Del Piero affinché rifiuti l’offerta di giocare in India fin quando i nostri marò non torneranno in Italia», ha scritto sul proprio profilo Facebook la presidente di FdI. «Del Piero non ha bisogno né di soldi né di fama, visto che è un simbolo indiscusso del calcio italiano e un’icona mondiale di questo sport. Una simile presa di posizione da parte sua sicuramente non passerebbe inosservata e potrebbe essere un importante segnale nei confronti del governo indiano e della comunità internazionale. Mi si dirà che non spetta a un calciatore fare quello che la politica non sa fare: nessuno più di noi è critico verso l’inerzia degli ultimi governi ma riteniamo che sia tutta l’Italia a doversi mobilitare, a partire dai suoi simboli più conosciuti», conclude.
Nella fase finale del post della Meloni c’è forse la chiave per analizzare, senza pregiudizi né retorica, un caso del genere. A ogni italiano (juventino o meno) che abbia a cuore non solo le sorti dei due militari ma la dignità e la sovranità del proprio Paese, un eventuale “gran rifiuto” di Pinturicchio farebbe accapponare la pelle dall’orgoglio. Sarebbe un gesto d’altri tempi, uno schiaffo ai soldi del maharaja dato in virtù di un senso d’attaccamento a un’italianità che, tra le tante eccellenze del made in Italy, annovera certamente anche il piede destro di Del Piero. Sangue contro oro. E avrebbe un effetto mediatico immediato e dirompente. Ma non spetta certo a un attaccante, come osserva la Meloni, “fare quello che la politica non sa fare”. E, soprattutto, gesti del genere non si possono chiedere, anche se si è in buona fede. O li si sente, e si ha poi il coraggio di metterli in pratica, oppure si lascia perdere. Le chiacchiere, anche qui, stanno a zero. Contano i fatti, delle persone e dei governi.