questo intervento nasce da una conversazione con una donna, la quale, alla mia affermazione “forse meritiamo una sana estinzione partitica” non ha detto niente. Qualche anno fa credo mi avrebbe lanciato la macchina da scrivere, quella sempre pronta di fianco alla scrivania della segreteria del partito.
Poi si leggono interventi più o meno interessanti e condivisibili, si pensa alle raccolte firme estive, si pensa a cosa poter raccontare ad uno scolaro del 2014, guardi le nuvole e vedi solo nuvole: segno indiscutibile che la generazione che sognava le rivoluzioni pur stando al governo si è sopita.
Tutte osservazioni che possono sembrare senza senso, ma che un senso lo trovano quando guardi un partito al 3,7%, perché che piaccia o no il dato quello è e quello rimane (nella speranza che non cali), dove già si litiga, dove ci sono già correnti di pensiero che spingono ora a destra, ora al centro, ora a sinistra. Si, perché in questo 3,7% ci sono i turboliberisti e i nazionalsocialisti; ci sono i filoamericani e i filorussi; ci sono i filopalestinesi, i filoisraeliani, e i “due stati per due popoli”; si euro, no euro e no euro condizionato.
Potremmo andare avanti per ore a dire quello che c’è, ma lo riassumeremo con un sereno: c’è tutto ed il contrario di tutto. La tragedia è che non ce n’è uno che prevarichi, siamo stati così annebbiati da primarie e democrazia che non siamo più in grado di prendere una decisione, così è l’anarchia, tutti si sentono voce autorevole e il partito non esiste.
Nella sezione di partito mi hanno insegnato a: 1) fare le flessioni; 2) che bisogna conoscere da dove veniamo per sapere dove vogliamo andare; 3) che devi aver ben presente la meta per incamminarti sulla strada.
Me l’hanno insegnato in politica e nella vita. Metodo e disciplina, lentamente, costantemente (ci riesco poco anche io).
Oggi le flessioni non si fanno più (che poi va anche bene); non si sa da dove si viene, perché non basta una fiamma sempre più piccola in un simbolo per dircelo e neanche è sufficiente fare convegni su Almirante chiamando in ballo Tatarella sempre e comunque; non si sa dove si vuole andare, pensiamo al dilemma stato sociale si o no: che riforma dello Stato fai se non sai neanche come vuoi impostarlo?
Non possono essere accettate le idee e le opinioni di tutti, non si può dare a tutti la possibilità di parlare a nome e per conto di un partito per 4 voti in più, perché se te la giochi sulla quantità hai già perso.
Ho come la sensazione che questo partito sia completamente staccato dalla realtà, dice cose che sembrano avulse da qualsiasi contesto, come alienato parla di Primarie e la gente non può più mangiare, parla di democrazia spalleggiando la legge sul femminicidio, un partito autoreferenziale, perché la partecipazione la fai con una sezione viva, delle sedi fisiche dove volano sedie, e non coi sondaggi, perché se devo votare il partito dei sondaggi ho già FI.
Non si tratta neanche di nostalgia, magari le sedie si tengono per sedersi e basta, ma si parla di impostazione, di capire come e cosa si vuole. Le primarie? Non fanno per noi, siamo in pochi, è una macchina organizzativa disumana, sempre che non si vogliano fare fuffa, non si possono fare, e quindi? Quindi facciamo il Partito e non il cartello elettorale.
Eh diciamocelo (cit.).
Così il problema si scarica sull’educazione dei giovani, i quali si apprestano al Partito Anarchico e si riempiono la testa di fesserie da assistenti e portaborse sentendosi in diritto di pontificare appena arrivati, senza approfondire e senza conoscere niente di niente. Ma non in tutte le realtà ci sono i “giovani vecchi” che si mettono li e con santa pazienza e qualche urlo cercano di far capire che la Politica non si fa coi sondaggi e le primarie (cosa che molti miei “superiori” si sono dimenticati), perché molti di loro non ci stanno più con chi fa finta di niente, perché c’è la metapolitica, perché la “generazione Atreju” di Giorgia rischia di essere l’ultima generazione contro il nulla che avanza.
Credo sia giunto il momento delle grandi scelte senza le quali altri pezzi verranno lasciati lungo il tragitto e allora si che meriteremo l’estinzione partitica, perché quella politica vive in ognuno di noi e in ogni piccola o grande associazione per cui diamo l’anima.
Questo è lo sfogo di chi ha passato mezza estate a riflettere e l’altra mezza a parlare con i ragazzi di mezza Italia e ha sentito, come un disco rotto, le stesse identiche cose.
Vorrei un partito i cui leader vadano in piazza anche davanti a 15 persone, anche in una piazza ostile con dall’altra parte un’orda che applaude il loro avversario politico fischiando verso di noi, a dire: “La nostra storia non inizia oggi n’è finisce oggi. Siamo passati da tempeste di sangue, ci siamo rialzati. E non parlo solo di partiti, parlo dello spirito Patriottico, parlo dell’italianità e dell’interesse della Patria prima di tutto. Non vi crucciate, oggi siamo una decina, ma insieme, domani saremo venti e poi cento e poi mille, perché nessuno potrà impedire all’Italia di tornare alla bellezza ed alla dignità di un tempo.”
Però vorrei sentirlo in ogni piazza ed in ogni borgo, anche nelle riunioni di condominio, chissenefrega, ma quello serve, svegliare l’orgoglio della nostra gente, ma non puoi farlo se non sai neanche chi è la tua gente.
Questo è lo sfogo di chi è partito per questa avventura come si parte per il viaggio della vita, forse troppo alte le aspettative, forse tante cose, ma non è quello che ci eravamo raccontati.
Ci vediamo ad Atreju.
Lucia Di Paolantonio, dirigente FDI