Caro direttore,
oggi che i magistrati chiedono l’archiviazione della cosiddetta «pista Carlos» sulla strage di Bologna, le racconto una storia. Mio fratello Nanni aveva 22 anni quando venne trovato impiccato in una cella di Rebibbia, il 5 ottobre del 1980. Dopo l’arresto l’avevano ripetutamente picchiato e in cella lo trovarono impiccato. La stampa non si interrogò troppo su quell’estremista nero il cui unico appeal mediatico era riferito a un sospetto infondato per il suo coinvolgimento nell’omicidio di Valerio Verbano quando poi, a scagionarlo, fu lo stesso padre del ragazzo di sinistra ucciso. Sei anni dopo la morte di Nanni un giudice si trovò tra le mani una ragazza il cui giovanissimo fidanzato era stato ucciso dalla polizia a un posto di blocco. Torchiata a dovere la giovane si rese disponibile a dichiarare qualunque cosa, persino che il fidanzatino, troppo giovane per aver mai conosciuto personaggi degli anni Settanta, aveva raccolto confidenze sul «vero» esecutore della strage di Bologna e gliele aveva trasmesse.
Il colpevole sarebbe stato un altro ragazzino: Luigi Ciavardini. A questa rivelazione si aggiunse un contributo del massacratore del Circeo, Angelo Izzo, che faceva di tutto per accreditarsi come collaboratore per ottenere benefici, che assicurò ai giudici che se c’era Ciavardini non poteva non esserci mio fratello, che era suo amico ed era stato arrestato con lui. In quei sei anni la magistratura aveva già sbattuto in prima pagina almeno tre sicuri colpevoli risultati assolutamente estranei dopo appena poche settimane. Colsero la palla al balzo e una nuova soluzione del mistero della strage venne così costruita sulla testimonianza attribuita a un morto, che non poteva smentirla, e con un capro espiatorio anche lui comodamente morto e quindi nell’impossibilità di difendersi.
Solo il caso volle che il 2 agosto mio fratello avesse un alibi, perché protagonista della finale del primo campionato di football americano in Italia, con tanto di riprese televisive che lo scagionavano. Ecco. Alla strage di Bologna si è voluta imporre una matrice politica prima ancora che si fosse svolta alcuna indagine. Per decenni le ricerche sono state indirizzate in una sola direzione e si è impedito agli inquirenti di rivolgersi dove altri elementi, più chiari e più razionali, potevano condurre. Mio fratello doveva essere lo strumento per chiudere l’inchiesta con un colpevole di comodo e occultare per sempre la verità. Nessuno ha mai pagato per quell’ignobile depistaggio. (da Il Tempo)