“I missili BUK nei paesi dell’est li hanno un po’ tutti, anche l’Ucraina, cui a suo tempo li aveva forniti proprio la Russia” Da esperto analista Mario Arpino* centra il bersaglio: quei Buk, armi russe collegate alla strage aerea del Donetsk, hanno per anni circolato negli arsenali dell’ ex Patto di Varsavia.
D’altronde, come accadeva nei paesi Nato, anche le nazioni di “Varsavia” mantenevano una certa uniformità quanto a sistemi d’arma ed equipaggiamenti militari. Ed è così che il “leggendario” Kalashnikov o l’ imprendibile MIG29 erano a disposizione delle truppe di Kiev come di quelle di Budapest e di Berlino Est. E, dopo la fine della Guerra Fredda, i ricchi arsenali ex sovietici furono presi d’assalto da mercanti d’armi senza scrupoli.
BUK, “Grizzly” da esportazione – L’arma ritenuta responsabile dell’abbattimento del volo Malaysia Airlines è un missile di progettazione sovietica, la cui realizzazione risale alla fine degli Anni Settanta, nel contesto di aggiornamento del precedente sistema missilistico 2K12KUB.
Col nome in codice Nato di “SA17 Grizzly”, il Buk è stato oggetto di ammodernamento nel corso degli Anni Novanta. Fu prodotto anche in versione da esportazione col nome in codice di “Shtil-1”.
MIG29 – Il Mikoyan-Gurevich MiG-29 è una delle armi più note della Guerra Fredda. Caccia da superiorità aerea, fu concepito nello stesso periodo in cui nasceva il missile Buk e reso celebre da decine di pellicole occidentali. Il temuto e inafferrabile apparecchio, fiore all’occhiello dell’industria aeronautica di Mosca, è ancora in servizio in molti paesi, tra i quali Russia, Ucraina, India, Algeria e Corea del Nord.
T72 – Altro “gioiellino” militare ex sovietico è il T72, carro da combattimento tutt’ora in servizio in molti eserciti del mondo, in particolare nei paesi ex comunisti. Sul sito della NATO è ancora online un comunicato del 2005 che annuncia la cessione da parte dell’Ungheria di 77 carri modello T72 alla 9^ Divisione corazzata dell’Esercito iracheno, al fine di sostituire gli obsoleti T55.
Non c’è che dire, le armi russe girano molto, grazie anche al loro basso costo che ne garantisce fruibilità ad eserciti di paesi meno ricchi e a milizie locali.
Il Buk, tuttavia, non è un’arma portatile e per essere impiegata ha bisogno di una certa perizia. Arpino: “Un sistema di difesa aerea, per essere efficacemente discriminativo, deve essere accentrato in termini di comando e controllo: solo al massimo livello c’è la visione globale del traffico aereo, la così detta ‘air picture’, con tutti i codici di identificazione ed i collegamenti civili e militari. Se una batteria viene staccata per qualche motivo dal sistema-madre, ecco che va in autonomo ed anche le identificazioni restano incomplete“.
Codici di identificazione, sistema madre: anche ammesso che i separatisti siano in possesso di questi sistemi d’arma, il BUK può essere impiegato solo secondo un preciso e complesso schema operativo che richiede artiglieri preparati e ben addestrati. Mario Arpino, però, va ancora oltre: “Poco importa, a questi effetti (mentre rimane rilevante ai fini politici) se la batteria di Donetsk sia stata fornita ai ribelli dai russi o sia una scheggia impazzita del sistema unitario ucraino. Sarebbe stato importante l’intervento immediato di una commissione di inchiesta tecnica indipendente della sicurezza del volo, che congelasse lo scenario completo del disastro prima del suo inquinamento. E’ vero che il relitto parla, ma è anche vero che, se il sistema è stato inquinato, tace. Se, come pare, siamo in questa fattispecie, con ogni probabilità la verità vera non la conosceremo mai“.
*Ufficiale pilota in congedo dell’Aeronautica Militare, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa. Analista per Affari Internazionali e Il Resto del Carlino