Qualche tempo fa, su un noto quotidiano nazionale, apparve un articolo in cui si cercava di chiarire i rapporti esistenti durante il Ventennio fra il Vaticano e Mussolini. L’autore dell’articolo – il cui intento era quello di dimostrare come l’ideologia ateista porti spesso all’instaurazione di regimi dittatoriali ed anti-umani – faceva riferimento soprattutto al primo Mussolini, socialista ed ateo, pretendendo di racchiudere l’intera esperienza esistenziale del Duce negli anni anticlericali e “progressisti” della sua giovinezza.
Nell’articolo si parlava di un suo viaggio a Trento dov’era atteso come grande oratore “versato soprattutto in anticlericalismo”, della sua avversione per l’Austria cattolica, della sua grande considerazione per Giordano Bruno e Galilei, vittime dell’Inquisizione; della profonda devozione per Marx e Darwin, e del suo feuilleton anticlericale “L’amante del cardinale”.
Indubbiamente, Mussolini fu anche questo. Il 26 marzo 1904, ad esempio, tenne una conferenza a Losanna, in cui dibatté alacremente col pastore evangelista Alfredo Taglialatela. Il resoconto dell’incontro venne poi pubblicato a Ginevra col titolo “L’uomo e la divinità”, cui in molte edizioni successive fu aggiunto il sottotitolo “Dio non esiste”. La concezione che il giovane Mussolini aveva della realtà era marcatamente positivista. Avrà a scrivere infatti: «le leggi eterne e immutabili della materia non conoscono né morale, né benevolenza; non rispondono ai lagni e alle preghiere dell’uomo, ma su di esso respingono spietatamente il suo fato. Queste leggi tutto governano, contro di esse l’uomo non può nulla. Può arrivare a conoscerle, a servirsene, ma non può arrestarne l’azione benefica o malvagia». Da queste affermazioni pare evidente la concezione che Mussolini ha dell’universo come di un luogo in cui l’essere umano è gettato in balìa delle cieche forze di natura e di come sia del tutto impotente dinanzi alla realtà universale.
Tali concezioni avrà ad esprimerle in seguito nel saggio “La filosofia della forza”, dedicato guarda caso a Friedrich Nietzsche. Uno spirito pessimistico, dunque, quello del giovane Mussolini, nel quale non manca tuttavia qualche aspetto positivo laddove afferma che «l’universo non è che la manifestazione della materia, unica, eterna, indistruttibile, che non ha mai avuto principio, che non avrà mai fine». A confermare le giovanili posizioni materialiste di Mussolini vi sono anche le sue osservazioni relative al concetto di “coscienza” ( l’anima dei credenti), da egli ritenuta un prodotto del cervello e, in quanto tale, peritura.
Ma c’è un altro Mussolini. Se il Mussolini pre-1919 è sicuramente un Mussolini ateo, socialista ed anti-clericale. Il Mussolini del 1929 non lo è affatto. C’è da dire, inoltre, che il futuro dittatore, ricevette il sacramento del battesimo poco dopo la nascita com’era usanza e ricevette tutti i sacramenti in tempi consoni. Nel 1925, poi, volle sposare con rito religioso cattolico Rachele Guidi, con cui aveva contratto matrimonio civile nel 1915.
È singolare, inoltre, lo pseudonimo usato da Mussolini per firmare le sue collaborazioni giornalistiche giovanili, ovvero: “L’homme qui cherche”(“L’uomo che cerca”). Mussolini è infatti – più che mai in questi anni – un cercatore, un coraggioso esploratore dei territori impervi dello spirito umano, che sperimenta nella propria carne le inquietudini del suo tempo. Ma cosa cercava di preciso? La Verità, Dio, il senso dell’esistenza e della Storia? Forse. Sta di fatto che un cammino progressivo e graduale di conversione da parte di Mussolini è testimoniato da varie fonti e avvenimenti, sia pubblici che privati.
Nei primi anni il regime da egli instaurato agirà in modo ambivalente nei confronti della religione cattolica: ripristina sì il Crocifisso nelle scuole, ma poi scioglie l’Azione Cattolica. Ma il lento cammino di Mussolini verso la fede è contrassegnato da decine di episodi significativi di cui il Concordato dell’11 febbraio 1929 non è che quello più noto – e se vogliamo – superficiale. Nel discorso alla Camera del 21 giugno 1921 afferma: «Penso che l’unica idea universale che oggi esiste a Roma è quella che si irradia dal Vaticano». Nel 1923 fa battezzare i figli. Nel 1924, a Vicenza, dice: «Se sono entrato in chiesa e mi sono inchinato dinnanzi all’altare, ciò non ho fatto per rendere un omaggio superficiale alla religione dello Stato, ma per un intimo convincimento». Pochi giorni prima della firma dei Patti Lateranensi, confida alla nipote Rosetta, figlia della sorella Edvige: «Quando leggerai sui giornali la notizia dei Patti tra lo Stato italiano e la Chiesa, ricordati del segno della Croce che mia madre, tua nonna, mi tracciava sul capo ogni sera, mentre io mi addormentavo nella nostra povera casa di Dovia».
Così lo storico Renzo De Felice commenta gli accordi del 1931 fra il regime fascista e la Chiesa ed i rapporti che ne susseguirono: «Ufficialmente, dopo l’accordo del 2 settembre i rapporti tra il Vaticano e palazzo Venezia furono per vari anni, grosso modo sino al ’38 (quando peggiorarono nuovamente per il riproporsi della questione dell’Azione Cattolica e per l’insorgere di quello della razza), ottimi. Il sigillo, che doveva mostrare al mondo che la crisi era ormai sepolta e che un nuovo periodo di amicizia e di collaborazione si era aperto, fu in questo senso costituito dalla visita che l’11 febbraio 1932, nel terzo anniversario della Conciliazione, Mussolini fece a Pio XI in Vaticano».
Racconta don Ennio Innocenti, teologo e storico, che ha ricostruito il cammino di Mussolini verso la fede in un libro dal titolo “Disputa sulla conversione di Benito Mussolini”, edito negli anni ‘90, che padre Eusebio, al secolo Sigfrido Zappaterreni, cappellano capo delle Brigate Nere, ebbe a confidargli di aver ricevuto più volte la confessione sacramentale del Duce.
Don Ennio racconta, inoltre, di quando Mussolini, prigioniero nell’isola di Ponza, dopo essere stato arrestato dai carabinieri per ordine di Vittorio Emanuele III, chiese ed ottiene di poter tenere nella sua cella il libro “La vita di Gesù”, dell’abate Ricciotti, e che in seguito ebbe ad inviare il libro in dono al parroco di Ponza, don Luigi Dies, assieme ad una lettera autografa, con su scritto: «Molto Reverendo, sabato 7 ricorre il secondo annuale della morte di mio figlio Bruno, caduto nel cielo di Pisa. Vi prego di celebrare una Messa in suffragio della sua anima. Vi accludo mille lire di cui disporrete nel modo più conveniente. Desidero farVi dono del libro di Giuseppe Ricciotti. È un libro esaltante, dove scienza storica, religione, poesia sono fuse mirabilmente insieme. Con l’opera di Ricciotti, l’Italia raggiunge forse un altro primato. Il mio cordiale saluto. Mussolini». Don Ennio riporta, inoltre, che don Dies chiese immediatamente di parlare con l’illustre prigioniero, ma che un colonnello dei carabinieri non glielo consentì, e che il giorno seguente il Duce fu trasferito alla Maddalena, in Sardegna. Qui – racconta ancora don Ennio – Mussolini avrà quattro incontri con il parroco locale, don Salvatore Capula, si confesserà e si comunicherà.
È provata, poi, la proclamazione di fede cattolica fatta da Mussolini in una lettera manoscritta inviata alla sorella Edvige dalla prigionia, datata 31 agosto 1943, in cui il Duce fa riferimento ad un documento in cui dettava le sue ultime volontà, sottrattogli al momento dell’arresto: «In una delle cartelle che tenevo vicino al lume sul mio tavolo a Palazzo Venezia e che ho invano chiesto di riavere – scrive Mussolini – c’è di mio pugno un testamento, del maggio 1943, che dice: “Nato cattolico, apostolico, romano, tale intendo morire. Non voglio onori funebri di nessuna specie”. Porto a tua conoscenza queste mie volontà». Un altro documento che attesta la ritrovata fede di Mussolini è il messaggio che ebbe a preparare per i reparti della RSI in occasione della Pasqua del 1945, in cui è scritto:
«Cristo si vede a Betlemme, si conosce a Nazareth, si ammira sul Tabor, si crede sul Golgota, si ama attraverso il Vangelo. È l’unico, il vero rivoluzionario, che della sua croce ha fatto leva e bandiera per sollevare il mondo agli splendori della fede divina. Io vedo in lui l’asse della storia e i secoli gli danzano intorno. Stanchi di lotta e odio, gli uomini si appoggiano alla croce e guardano ai suoi occhi, che rischiarano le vie dell’eternità. Il Vangelo è il poema sublime dell’amore universale sgorgato dal cuore di Cristo e scritto con il suo sangue divino. L’eco dell’Eterno si ripercuote sulla terra attraverso la sua parola, che è luce per l’intelligenza e fiamma per lo Spirito. Il Vangelo è il libro dell’umanità, è la chiave del mistero della vita, messaggio di Dio e programma per gli uomini, dove l’amore crea e rinnova, trionfa nel perdono ed impera nell’esaltazione del dolore. L’ultima parola trasformatrice si dice nell’atmosfera del cielo sull’alto della croce, dove Cristo conduce gli uomini oltre le soglie dell’infinito, nel regno dell’amore intenso alle scaturigini dell’immortalità dello spirito».
Mentre nel suo ultimo scritto, la lettera alla moglie Rachele, redatta il 26 aprile 1945 nella prefettura di Como prima di avviarsi a Dongo, dove avrebbe trovato la morte, si legge: «Ti giuro affetto davanti a Dio. Bruno, dal Cielo, ci assisterà».