Nell’agosto del 1983 Jason Weiss, scrittore e traduttore americano, incontra un inattuale personaggio romeno ormai trasferitosi da decenni a Parigi. Quest’ultimo ha valicato la soglia dei settant’anni e vive in una mansarda al sesto piano di rue de l’Odéon 21, in una consapevolezza esistenziale acuta, pungente come l’aria delle vette. Questo “barbaro dei Carpazi” si rivela a Weiss come un Socrate contemporaneo, preda di quel doloroso demone amante del sapere che fa tanto soffrire chi da lui si lascia sedurre. Egli si muove come animato da una manìa coribantica, spaziando da un estremo all’altro delle radure dell’esperienza e della cultura per rimanere in fondo immobile in un’atarassia di stampo stoico. Questo lucido e ironico pensatore è Emil Cioran.
L’intervista a Jason Weiss, preziosa pubblicazione della collana Minima Volti di Mimesis, può dunque fungere tanto da introduzione alla figura di Cioran, in virtù dell’ampio respiro del dialogo contenutovi, quanto come interessante approfondimento per i lettori esperti del filosofo, cui viene concessa l’opportunità di conoscere curiosi aneddoti ma anche rielaborazioni teoretiche e considerazioni esistenziali di enorme profondità. Cioran pare quasi impudico nell’apertura autentica all’intervistatore, al quale non risparmia nulla della propria sofferta sapienza tragica. Novello sileno, l’autore rivela una grandezza arcana, mai prona alle logiche economiche, morali e culturali della moderna Zivilisation, sempre onesta e drammaticamente esperita piuttosto, spesso urtante la sensibilità del lettore, anche di quello più smaliziato e anticonformista. Mediante contrasti e colpi di luce quasi caravaggieschi, Cioran ci conduce fra i temi più disparati: dalla critica al linguaggio filosofico tedesco al giudizio su Nietzsche, «che non era un filosofo, ma qualcosa di più: un temperamento» (pp. 19-20); dalla visione della letteratura al dramma dell’insonnia,«intensificazione dello stato di coscienza» (p. 24); dalle riflessioni sui temi abissali del tempo, della morte, della casualità dell’esistenza, del linguaggio e della scrittura alle considerazioni su Parigi, i clochard, i salotti mondani e l’alcol.
Emerge con virulenza lo scetticismo di un mistico nichilista, la natura paradossale di un pensiero viscerale che affonda le proprie radici nella ricerca di un pharmakon per la vita, stretta in una storia«demoniaca e tragica» (p. 58) fra il marchio del peccato originale e la tentazione del suicidio. Nell’intervista compaiono riferimenti a scrittori, poeti e filosofi con cui Cioran si è confrontato, a livello intellettuale e, talvolta, esistenziale. Si accenna profeticamente al ruolo destinale svolto dalla Russia negli equilibri mondiali, si prospettano soluzioni politiche e si giunge a indicazioni di ascesi laica dai tratti quasi orientali-yogici, in quanto «qualsiasi cosa facciamo, finiamo per essere puniti a causa di ciò. Se vogliamo conoscere la felicità nella vita, non dobbiamo fare nulla, non dobbiamo realizzare nulla, vivere e nient’altro» (p. 83). Ecco il nucleo del messaggio cioraniano, di quel controverso viandante apolide che nello svincolamento da ogni idolo e costrizione esprime uno sconfortante e lapidario inciso: «La mia vita non è stata un fallimento, perché sono riuscito a non fare niente» (p. 34).
*Emil Cioran, L’intellettuale senza patria. Intervista con Jason Weiss, a cura di Antonio di Gennaro, traduzione di Pierpaolo Trillini, Mimesis, Milano 2014, pp. 83, euro 4,90