Sette e non più sette. L’Apocalisse del football s’è abbattuta sul Brasile più brutto che la storia ricordi. Altro che Maracanazo. Altro che 1950. Una tragedia, un dramma, un pestaggio sportivo n piena regola. Fosse stato un incontro di boxe, sarebbe finita al secondo round per ko tecnico, palese squilibrio tra i contendenti. Ma boxe non era. Sette non può essere un numero qualsiasi, il sette non è una cifra muta. Parla, straparla, urla, ululula alla Luna, alla Moira, al Destino, al Fato. Sette pere dalla Germania e il calcio brasiliano retrocede, giù giù giù. Sprofonda nel pozzo sacrificale, pieno del sangue (e delle lacrime) di una squadretta palesemente indegna di rappresentare la storia pallonara del suo Paese. Sette, però, sono anche i motivi della disfatta carioca al cui confronto la figuraccia inenarrabile della Caporetto prandelliana diventa una passeggiata di salute.
1. GENERALE SENZA ESERCITO. Non poteva combattere certo da solo, Felipao. Aveva bisogno di undici leoni in campo, ne teneva solo due. E contro la Germania, per squalifica (Thiago Silva) e per infortunio (Neymar), non ha potuto disporre degli unici campioni che avevano ancora qualcosa da dire e da dare. L’undici carioca s’è presentato all’appuntamento col mondiale di casa in un momento di crisi terrificante. Non ci sono più gli Zico di una volta, signora cara. E, se è per questo, manco i tignosi Aldair.
2. CHIAMATE L’ESORCICCIO. Più che alla psicologa, Felipao avrebbe dovuto fare affidamento all’Esorciccio. Ve lo ricordate il mitico Ingrassia che catechizza il suo assistente Satanello, recitandogli il Mantra che scaccia via ogni pavido terrore? “La paura, non esiste! La paura non esiste!”. Ecco, Scolari avrebbe dovuto chiamare lui anzichè la psicologa. Neymar s’era tradito: “Non dobbiamo aver paura di essere allegri”. Proprio questo è stato il problema monstre dei carioca: consapevoli, forse, dei loro scarsi mezzi e caricati oltre ogni limite di responsabilità anche politiche (vero, Presidenta Dilma?) si sono schiantati quando hanno incontrato chi allegro lo era davvero. Strano a dirsi, ma erano gli accipigliati crucchi di Loew.
3. SAN NEYMAR MARTIRE. Il colpo proibito di Camillone Zuniga l’ha messo kappaò, salvando la di lui faccia davanti al mondo e alla Storia. Ma, oggettivamente, più che dalle ginocchiate del colombiano, Neymar è stato affossato dai suoi stessi compagni di reparto. S’è caricato una squadra intera sulle spalle. Chapeau. La questione è però un’altra: possibile che il Brasile non riesca più a sfornare un attaccante come si deve? Sì. Fred e Hulk sembravano due caricature, alla faccia della lunga e onorata fucina di centravanti carioca. Lontanissimi i tempi di Ronaldo, Romario. Hulk, verde di frustrazione, e il preistorico Fred (Flintstones) non sono stati minimamente all’altezza. Tant’è vero che Scolari è arrivato a riempire la trequarti di mediani improvvisandoli mezze punte. Jo? Nemmeno uno Squillo…
4. DAVID LUIZ STAI SERENO. Senza Thiago Silva non c’è difesa. Perchè non ci sono idee, non c’è grinta e non c’è nemmeno la voglia di dar filo da torcere agli avversari. Danno l’impressione quasi di trovarsi lì per caso, manco Scolari avesse scelto la sua formazione prendendo a caso aitanti giovanotti davanti ai tornelli dello stadio. L’avvisaglia era tutta lì. Quando Marcelo, controfigura calcistica e brasileira del ‘nostro’ Ficarra, firma l’autogol contro la Croazia. Spiazzando il portierone Julio Cesar che, contro i biancorossi prima e la corazzata Loew poi, ha fatto la fine di Picone. Trasognato, triste, piagnucoloso. Picone, però, ci fa ridere. A fargli concorrenza, ovviamente per l’interpretazione carioca dello showman siciliano, il Bimbo di Dio David Luiz. L’autoproclamatosi santone-cristiano a favore di telecamere che dispensava benedizioni e riteneva di poter guidare gli applausi. Che delusione.
5.CENTRO…CHE?. Il calcio brasiliano è fantasia. Una volta, però. Adesso non si sa più cosa sia. Colpa del fatto che il centrocampo carioca non ha brillato per niente. Troppo europei Fernandinho, Gillian e compagni. Forse piazzati fuori ruolo da un Felipao in preda ad una crisi di nervi. Chiedere fantasia ad Oscar è, senza dubbio, una beata speranza. E niente di più. Nonostante tutto, però, ha avuto il coraggio di segnare il gol della bandiera, graziosamente concesso da Sua Maestà Neuer, Re di tutte le Porte. Impostazione pochina, lasciata alle folate di Neymar e alle ripartenze impostate da Thiago Silva. Toglili entrambi ed ecco che il Brasile diventa il Borgorosso Fc.
6. LA MALEDIZIONE DI MARINETTI. “Dannata Politica, no no non ucciderai l’Arte”. Il calcio, per chi lo ama, è qualcosa che va oltre. A volte una partita può trasfigurarsi in un Capolavoro. Quando la politica ha voluto fare irruzione nel mondo dell’arte del football, spesso le è andata male. Almeno, è capitato così al Brasile. Nel 1950, Getulio Vargas organizzò i Mondiali occupandosi di fare il possibile perché Zizinho e compagnia scalciante alzassero la Coppa Rimet magnificando le lodi del suo governo. Nel 2014, Dilma Rousseff e Sepp Blatter speravano nella vittoria delle stelline filanti di Felipao per smorzare le rumorose polemiche e smorzare le veementi manifestazioni inscenate dai brasiliani contro il grande affarone della Fifa. Dannata politica…
7. NISHIMURA NON BASTA. La semifinale, per questo Brasiluccio qui, è un traguardo fin troppo glorioso. La sconfitta patita contro i panzer di Germania li ha riportati drammaticamente alla realtà. Se il signor Nishimura non avesse regalato per rigorino lì, all’esordio contro la Croazia, probabilmente anche la Selecao avrebbe capito tutto prima. Già, perchè non basta indossare una maglietta verdeoro, non basta aspettare l’inquadratura delle telecamere per rendere omaggio all’avversario, non basta zoppicare contro il Cile, non bastano gli arbitri contro la Colombia. Ci vuole cuore. Ci sarebbe voluto cuore. Nishimura non basta.