Enrico Panunzio, nato a Molfetta nel lontano ’23, attualmente vive tra Roma e Parigi, già docente di storia e letteratura, ha diretto per alcuni anni l’Istituto Italiano di Cultura a Parigi; l’esperienza parigina gli ha permesso di stringere amicizia con diverse personalità del panorama culturale italiano, come il poeta cesenaticense, Marino Moretti: «Me lo confermò l’altro giorno Panunzio, che si fermò per qualche ora qui a Cesanatico, essendo diretto nella sua Puglia con moglie e figlioli: venivano in macchina direttamente da Parigi, e in qual stato!»; oppure: «Debbo dire che anche la compagnia del buon Panunzio mi fu carissima. Con la sua macchina mi portava un po’ da per tutto, anche in luoghi che non conoscevo o conoscevo poco: vidi finalmente la famosa cattedrale di St-Denis dove sono sepolti i re di Francia».
Di lui è stato di recente pubblicato dalla romana La Lepre Edizioni il romanzo I signori scaduti (La Lepre Edizioni, pagg. 140, euro 14). In realtà, si tratta di una raccolta di otto racconti, anche se in prima di copertina è riportata la dicitura «romanzo». Sono sì racconti, ma sono legati tra loro da un comune denominatore, di cui eloquente è il fotogramma riportato in copertina, tratto dalla celebre pellicola con Totò diretta da Mattoli nel ‘54: Miseria e nobiltà; come la collana cui fa parte questo romanzo di Panunzio. Insomma: otto racconti che costituiscono un romanzo.
Come ha scritto Raffaele Crovi, nei romanzi di Panunzio aleggia un’atmosfera di «elegiaca nostalgia per un civiltà patriarcale e rituale», e «I signori scaduti» non si sottrae a quello che può definirsi un topos della narrativa dello scrittore di Molfetta. Fa da sfondo alla narrazione la campagna pugliese, per la precisione quella fascia di territorio che si stende tra la Murgia e il mare, già presente in altri suoi scritti – vedi, L’apofasia del cav. Ciro Saverio Paniscotti (La Lepre Edizioni, pagg. 102, euro 12) e Malfarà -, di cui Enrico Panunzio evoca quasi in uno stato di trance sciamanica un caleidoscopio sinestetico di luci, odori, ombre, recuperando, quasi proustianamente, l’atmosfera degli interni delle case e dei cortili in abbandono, persino il latrare dei cani in lontananza. Gli altri protagonisti della vicenda sono i signori scaduti: quanti in seguito all’avvento della democrazia e della repubblica, sono precipitati in uno stato quasi limbico, senza una particolare collocazione sociale. Il signore “scaduto” è «chi si arrende alla vita avendo per imperizia, spreco o dabbenaggine dilapidato un patrimonio o immiserito la propria persona nell’indigenza e nell’abbandono. E tuttavia non eccita la pietà, né risveglia il ridicolo, pur restando che egli si nutre di ricordi e di fisime, barricato com’è dietro il privilegio del buon sangue». Quel che colpisce principalmente, e che accompagna una narrazione felicemente affabulante, è l’uso strampalato e ingegnoso che fa del dialogo quando i personaggi di volta in volta fanno la loro comparsa tra le righe, una maniera «paradossale di esistere e parlare che è insieme conversazione e subconversazione, un intreccio dialettico che si rivolge interamente all’intelligenza del lettore» (G. Spagnoletti). Descritti tra la fine dell’occupazione nazista e lo sbarco degli alleati, in un frangente della nostra storia nazionale particolarmente instabile e delicato,nel mentre quel piccolo mondo antico di fogazzariana memoria si sgretola irrimediabilmente sotto le ultime battute di una guerra che ha reciso ogni legame col passato; eredi di un tempo ormai concluso, «i signori scaduti» hanno perduto il riconoscimento sociale che ne contraddistingueva la figura, assieme a quel particolare rispetto ossequioso – ora, mero e nostalgico ricordo – da parte del popolo: costoro non rientrano più in quel tessuto sociale di cui una volta erano parte integrante e privilegiata: perduto ogni titolo, ed alcuni anche il patrimonio, risultano incapaci di svincolarsi dalla memoria dei vecchi fasti, per cui come tasselli di una realtà tramontata sono irriducibili ad un contesto che, del resto, stentano a riconoscere. Unico rifugio: i vecchi saloni fatiscenti delle loro abitazioni infestate di umidità e sprofondate in una atmosfera asfittica di decadenza – se non di morte -, dove condurre una vita a metà. «Sono cresciuto tra questi eroi sgangherati e li ho visti cadere nella mia casa ad uno ad uno – dichiara l’autore. – Gente per cui nessuno poteva far nulla, recalcitranti alla pietà e al soccorso, fieri, deboli, tremendamente soli».
Panunzio si fa testimone di questi personaggi e ne narra le vicende rivolgendosi al lettore in modo intimo, caldo, amichevole; traccia così il ritratto di una borghesia attanagliata da un’irrazionale paura senza nome, la stessa di cui si nutre ancora la nostra frenetica vita di oggi (quarta di copertina).
*I signori scaduti di Enrico Panunzio (La Lepre Edizioni, pagg. 140, euro 14)