(Le posizioni in politica estera del Movimento Sociale Italiano sono state oggetto troppo spesso di semplificazioni. Il partito di Arturo Michelini e Giorgio Almirante ebbe al suo interno un dibattito acceso e pluralista sulle questioni spinose del Medio Oriente e degli equilibri nel Mare Nostrum. Il saggio che pubblichiamo riprende le cronache parlamentari e i resoconti del Secolo d’Italia dal 1967 al 1973, e mette in evidenza come i vertici del partito avessero come bussola la dicotomia legata ai due blocchi: alla fine sceglievano l’orizzonte anticomunista. Di contro era presente una minoranza interna, attenta al mondo arabo, legata al presidente del Msi, Pino Romualdi, e alla sua corrente).
Il conflitto arabo-israeliano ha vissuto, tra il 1967 e il 1973, una delle sue fasi più dure e dense d’implicazioni per l’intera area e per gli anni a venire. Il confronto politico e lo scontro militare in Medio Oriente tra Israele e i suoi vicini arabi hanno infatti rappresentato, in quegli anni, una priorità dell’agenda internazionale con importanti ripercussioni anche all’interno della vita politica dei singoli stati nazionali.
Su tale tema il Movimento Sociale Italiano, seppur sistematicamente escluso dalla possibilità di partecipare al governo del Paese e, quindi, di contribuire a determinarne la politica estera, non ha mai risparmiato di far sentire la propria voce. In campo internazionale, il partito si caratterizzava per un forte nazionalismo che coniugava agli impegni e ai vincoli derivanti dall’Alleanza Atlantica e, più in generale, alle posizioni di supporto e sostegno al mondo occidentale. A tali riferimenti internazionali, il MSI aggiungeva l’anticomunismo, un anticomunismo assurto a principio informatore di tutte le proprie posizioni, interne e internazionali, secondo la caratteristica divisione ideologica del tempo. Ed è proprio alla luce di tale contrapposizione, il blocco comunista da un lato e i paesi liberi dell’Occidente dall’altro, che è possibile leggere e interpretare la linea ufficiale del MSI grazie allo studio degli atti parlamentari e, in mancanza di un archivio storico che raccolga i documenti del partito, del quotidiano ufficiale del Movimento Sociale, il Secolo d’Italia.
Nei primi mesi del 1967 la questione arabo-israeliana non pareva all’ordine del giorno né dell’opinione pubblica né delle aule legislative. Il tema emerse prepotentemente all’attenzione del parlamento e sulle pagine del Secolo pochi giorni prima dello scoppio delle ostilità, allorché s’andava profilando sempre più concretamente la possibilità di una nuova guerra tra Israele e i paesi arabi confinanti, una guerra che risolvesse, ogni parte sperava a proprio favore, le parziali sistemazioni conseguenti alla crisi del 1956.
La questione israelo-palestinese veniva letta e interpretata dal partito di Michelini pressoché esclusivamente alla luce della presente situazione internazionale divisa tra i paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti, da un lato, e l’Unione Sovietica, la Repubblica Popolare Cinese e i paesi comunisti, dall’altro. All’interno di tale interpretazione bipolare, molto più rigida e schematica di quanto non fosse la reale situazione internazionale, Israele apparteneva al primo campo mentre gli stati arabi, e l’Egitto in particolare, facevano riferimento al secondo. Le istituzioni politiche e i modelli economici di quest’ultimi non erano, se non in rare eccezioni relative in particolare al caso egiziano, oggetto di critica, né vi era una condanna nel merito del loro sistema politico, economico o sociale. Al contrario, si credeva che l’appoggio e l’aiuto del mondo socialista alla causa araba fosse da leggersi esclusivamente in chiave strumentale poiché l’obiettivo principale dell’Unione Sovietica sarebbe stato, si pensava, quello di creare vicino all’Europa, sulle coste orientali del Mediterraneo e in una posizione strategica tra Africa e Asia, una permanente situazione di tensione e crisi internazionale simile a quella, era il paragone in voga allora, che l’URSS e la Cina maoista mantenevano in Estremo Oriente e, in particolare, in Vietnam. Così, la crisi in Medio Oriente veniva fatta rientrare all’interno di un più ampio disegno strategico, ad opera delle potenze comuniste, mirante a destabilizzare l’Occidente e acquisire maggiore importanza geopolitica. In ultima analisi, quindi, in quanto appartenenti alla “fazione” opposta, i regimi pan-arabi erano considerati avversari sul piano internazionale, perlomeno finché tale divisione bipolare fosse rimasta valida.
Il Msi non credeva nel ruolo delle Nazioni unite
Riguardo l’azione delle Nazioni Unite rispetto al Medio Oriente, il MSI nutriva profonda sfiducia nell’attività del massimo consesso mondiale. Tale sfiducia veniva rivolta innanzitutto contro l’istituzione nel suo complesso, giudicata sprezzantemente come un artificio di natura idealistica incapace di risolvere i gravi problemi internazionali all’ordine del giorno. Con un’attitudine tipica e ricorrente tanto all’interno del MSI quanto del suo organo di stampa, si ricercava nella realtà, ovviamente forzandola per farla rientrare nei propri schemi, la bontà delle proprie tesi, quelle tesi sconfitte nella seconda guerra mondiale. In tale ottica si possono quindi leggere le affermazioni secondo cui l’incapacità o l’impossibilità dell’ONU di risolvere la questione arabo-israeliana sarebbe stata la dimostrazione fattuale del fallimento della “democrazia” a livello internazionale o che la guerra dei Sei giorni fosse la diretta conseguenza della sconfitta di una ventennale politica di vendetta nei confronti dei vinti nel secondo conflitto mondiale. In questo modo, il Movimento Sociale dimostrava di leggere e interpretare la politica estera presente con lo sguardo costantemente rivolto al passato nel momento in cui, per analizzare e valutare un capitolo importante della situazione internazionale, si utilizzavano temi e categorie di un altro periodo storico, ormai definitivamente concluso.
Sempre nell’ambito ONU, le critiche del MSI si rivolgevano poi al massimo rappresentante dell’Organizzazione, il segretario generale U Thant, accusato di essere “il maggiore degli utili idioti al servizio di Mosca” e completamente asservito, quindi, alle esigenze della politica internazionale del Cremlino. In tal senso, fortemente contestata da parte del partito di Michelini fu la decisione di ritirare le forze d’interposizione dall’area, adottata da U Thant su richiesta del Presidente Nasser. Anche a quest’ultimo, il Movimento Sociale non riconosceva alcuna libertà e autonomia politica, poiché si credeva fosse “soltanto l’esecutore degli ordini di Mosca”.
In questa maniera, per il tramite di Nasser, considerato una pedina nelle mani della politica sovietica, il Secolo d’Italia attribuiva ai sovietici la responsabilità ultima di una possibile guerra, riportando in tal modo quest’ultima esclusivamente all’interno della rigida divisione bipolare che caratterizzava la vita di relazione internazionale di quegli anni. Nella condanna per l’operato e l’azione della politica estera sovietica, il Secolo d’Italia si spingeva fino ad affermare: “E dunque ecco che, al di fuori di ogni atteggiamento demagogico proprio coloro i quali tanto specularono sulle pretese persecuzioni agli ebrei, si rendono ora responsabili, per uno strano gioco del destino, della aggressione attraverso la quale si vuole distruggere Israele e il suo popolo.” Con queste brevi parole si stabiliva un nesso importante per comprendere la questione dal punto di vista del partito di Michelini o, perlomeno, i riflessi che ancora si vivevano, a ventidue anni di distanza dalla fine del secondo conflitto mondiale, nella comunità dei vinti che attorno al partito della fiamma si raccoglieva. Le persecuzione agli ebrei, presumibilmente durante la seconda guerra mondiale ancorché non esplicitato, venivano ancora definite presunte. Di più, su tali “presunte” persecuzioni si rimproverava all’URSS di avervi “speculato” nello stesso momento in cui la si accusava di voler distruggere Israele per il tramite dei paesi arabi in generale e, in particolare, dell’Egitto. La distorsione della realtà fattuale, le responsabilità politiche di una possibile guerra tra Israele e i suoi vicini arabi, venivano così associate alla distorsione della verità storica, la Shoah, in un connubio all’interno del quale tutto veniva sacrificato in funzione del raggiungimento di un unico obiettivo: l’esenzione delle responsabilità storiche della propria parte politica e, contemporaneamente, l’attribuzione delle colpe, di tutte le colpe, al proprio nemico politico, al di là di ogni ragionevole dubbio e assunzione di responsabilità.
A guerra ormai in corso, la massima carica del partito, l’on. Michelini, confermava le posizioni già espresse dal MSI: sostanziale guerra “per procura” dell’URSS e condanna del segretario generale dell’ONU per il suo “appoggio” alla “manovra” sovietica. In tale dichiarazione, la vera novità riguardava però la condanna di chiunque contestasse il diritto d’Israele di esistere e, al tempo stesso, la dimostrazione di apprezzamento e stima per la giovane realtà di questa stato, “baluardo contro il comunismo”. In questo senso, le parole del segretario nazionale esprimevano un favor per lo stato ebraico che veniva giudicato una realtà pionieristica e produttiva, disposta e in grado di lottare coraggiosamente e strenuamente per la propria libertà.
Un tema strettamente correlato e associato alla questione arabo-israeliana dagli esponenti missini nei loro ragionamenti di politica estera era il Mediterraneo. Questo veniva contemplato sotto il duplice aspetto di spazio geopolitico, dove l’Italia avrebbe dovuto esercitare la propria azione e influenza a fronte di una crescente penetrazione sovietica, e ambito nel quale l’Italia avrebbe dovuto difendere il principio della libertà di navigazione e dei mari, con particolare riferimento allo stretto di Suez, chiuso a seguito della guerra dei Sei giorni. Sotto il primo aspetto, gli esponenti missini chiedevano che l’Italia s’impegnasse a fondo e in maniera propositiva in collaborazione con gli altri membri dell’Alleanza Atlantica in un’opera di controllo della marina sovietica, la quale veniva già considerata come preponderante nel bacino del Mediterraneo. Con toni catastrofici, quest’ultimo veniva già dato per perso a fronte dell’aumento della presenza sovietica. Il conflitto tra arabi e israeliani, si sosteneva sulle pagine del Secolo, era in realtà lo scontro per il Mediterraneo, un conflitto, si ricordava, cui l’Italia aveva già preso parte nel 1937 allorquando, sostenendo le truppe nazionaliste del generale Franco in Spagna, aveva contribuito a evitare l’accerchiamento sovietico. Ora, mutati gli equilibri delle forze in campo, l’Italia sarebbe stata, secondo il Movimento Sociale, prigioniera nel suo mare per colpa della politica dei governi italiani. Questi sarebbero stati colpevoli, da un lato, di aver mantenuto un atteggiamento ambiguo nei confronti dell’alleato, principalmente statunitense e, dall’altro di non aver ricercato e attuato una politica comune con Spagna, Portogallo e Grecia, gli altri paesi mediterranei e atlantici efficacemente impegnati nella lotta al comunismo. In tale contesto, Israele governava l’unico tratto di mare rimasto inviolato mentre l’Italia subiva la minaccia di una facile invasione e sovietizzazione, “indifesa nel suo mare nel quale, in un tempo non lontano, essa era padrona”.
Per quanto atteneva alla libertà di navigazione, questa veniva richiamata come esigenza fondamentale della nazione italiana chiusa nell’accesso agli oceani dallo stretto di Gibilterra a ovest e dal canale di Suez a est. Gli stati arabi venivano accusati di aver ripetutamente violato tale principio in occasione del conflitto e, in particolare, l’Egitto chiudendo il porto di Akaba e il canale di Suez. In ultima analisi, la situazione nel Mediterraneo, strettamente correlata a quanto stava accadendo nel Medio Oriente, era considerata dal MSI in maniera prioritaria anche rispetto al conflitto arabo-israeliano, di cui quest’ultimo ne rappresentava, in tale contesto, solamente una derivazione.
Michelini attacca il governo Moro
In tale quadro generale, l’opera svolta dal governo italiano veniva considerata assolutamente insoddisfacente. Il governo Moro era accusato niente di meno che di “non rispondere agli interessi permanenti politici e morali della Nazione italiana”. La politica del governo di far riferimento all’ONU, quale foro nel quale la crisi mediorientale potesse trovare una soluzione, veniva apertamente criticata, così come lo era l’Organizzazione stessa. Di più, gli esponenti missini, che interpretavano la crisi secondo un rigido schema bipolare, trovavano nella contrapposizione internazionale che caratterizzava l’area mediorientale gli elementi per condannare in Italia l’esistenza di un governo di centrosinistra che annoverasse tra le sue fila esponenti socialisti. Si mettevano così in luce i contrasti e le differenze, oggettivamente presenti, tra le varie anime dello stesso governo. A causa di tali divergenze, l’azione del governo rispetto alla crisi veniva giudicata di volta in volta ambivalente, agnostica, equivoca, inconcludente, ispirata a generiche dichiarazioni di buona volontà che condannavano però l’Italia ad essere politicamente ininfluente, oggetto passivo della crisi stessa e delle sue ripercussioni, piuttosto che soggetto attivamente impegnato nella sua risoluzione. Così era anche per il principio della libertà dei mari, che il governo non si era impegnato a difendere, mentre ancora maggiori responsabilità gli venivano attribuite per lo scarso peso dell’Italia nel Mediterraneo a fronte dell’avanzata sovietica, a causa della quale il Movimento Sociale accusava il governo di essere una semplice pedina nelle mani dell’URSS.
Pino Romualdi rappresentava l’anima missina filoaraba
Su taluni aspetti si registravano però delle discrasie anche all’interno dello stesso mondo missino. Nel valutare la politica e l’azione degli Stati Uniti durante la crisi di Suez del 1956, mentre il presidente del partito De Marsanich condannava l’intervento anglo-francese in linea con quanto sostenuto dal MSI all’epoca dei fatti, l’on. Romualdi esprimeva il suo dissenso nei confronti dello stesso collega di partito, preferendo la tesi secondo cui in quella determinata fase storica l’interesse italiano coincideva con quello delle altre potenze europee che non avrebbero dovuto lasciare l’Africa. Sulla stessa linea era anche il Secolo che condannava, nel medesimo periodo, la politica statunitense per aver favorito l’Egitto “aggressore, allora, come oggi del popolo d’Israele.” Ancora, sull’attribuzione della responsabilità materiale dell’inizio del conflitto nel giugno del 1967, mentre il Sen. Lessona in un articolo di fondo sul Secolo attribuiva ogni possibile colpa dell’inizio delle ostilità alla parte araba, a prescindere da chi avesse iniziato per primo a sparare, non sembrava essere dello stesso avviso l’on. Romualdi, il quale attribuiva invece agli israeliani la responsabilità di aver scatenato la guerra.
Nei mesi successivi alla fine delle ostilità, emerse, sulle pagine del Secolo e nell’attività di sindacato ispettivo dei parlamentari, il tema del trattamento dei nostri connazionali da parte dell’Egitto durante i giorni della guerra. Secondo quanto riportato dal quotidiano, vi furono, nei giorni del conflitto o immediatamente successivi, delle violenze, se non delle vere e proprie torture, a danno di cittadini italiani, in particolare di religione ebraica. Ciò costituiva un’aggravante dello stato di colpa e responsabilità del regime di Nasser secondo il Movimento Sociale che, contemporaneamente, s’adoperava per sollecitare il governo italiano ad agire in protezione diplomatica dei propri connazionali e dei loro beni.
Il 3 ottobre la Direzione Nazionale del partito, riunita in via Quattro Fontane nella sede nazionale di Palazzo del Drago, adottava una dichiarazione sulla situazione interna e internazionale senza che nessun cenno fosse fatto alla situazione mediorientale: segno che probabilmente la questione, seppur presente in ambito internazionale, era ormai uscita dalla stretta contingenza politica italiana. In tal senso, appare quindi originale un lungo reportage comparso nello stesso periodo sul Secolo d’Italia dedicato a Israele. In particolare, diversamente da quanto era solito fare il quotidiano, che aggiornava i propri lettori in maniera asettica sull’evoluzione dello stato di crisi nell’area, negli articoli inviati da un giornalista sul posto trovavano spazio considerazioni politiche, ben più pregnanti, inclusa la seguente dichiarazione: “E parlando di Benito Mussolini, mi sia permesso un brevissimo inciso sulle accuse che una ben strumentata ed interessata propaganda ha sempre vomitate contro in suo odio nei confronti degli ebrei. Mussolini non fu affatto quel feroce nemico degli ebrei che lo si è voluto dipingere e la prova di tutto ciò l’ho avuta proprio in Israele dove la sua vita, le sue opere ed il suo pensiero sono ricordate con larga e serena simpatia.” Tale dichiarazione, come altre riportate dei mesi precedenti, se non contribuiscono a definire e approfondire le posizioni di politica estera del MSI, descrivono però bene il contesto, il quadro culturale, ancor prima che politico, all’interno del quale il Movimento Sociale, i suoi esponenti e le sue articolazioni, come il Secolo d’Italia, si muovevano e ragionavano.
Negli anni successivi, seppur in uno stato di tensione persistente, la situazione mediorientale trovò una sua precaria stabilizzazione, uscendo così dalle priorità di politica internazionale del nostro paese. Nel 1968 il parlamento discusse il tema solamente in una circostanza alla Camera dei Deputati, a seguito di alcune interrogazioni parlamentari, e in un’altra occasione al Senato della Repubblica, in III° commissione. I nodi affrontati furono gli stessi dell’anno precedente e medesime furono le considerazioni e proposte avanzate dagli esponenti del Movimento Sociale. La prima preoccupazione riguardava, ancor prima che il Medio Oriente, il Mediterraneo, dove la presenza sovietica veniva data per preponderante a fronte di un abbandono dell’area da parte delle potenze europee. Principale responsabile di tale situazione era, come d’abitudine, il governo di centro-sinistra che, dinnanzi al conflitto mediorientale, avrebbe preferito “le posizioni di ambivalenza e di equivoco piuttosto che condannare l’aggressione egiziana, manifestazione tipica di un regime cripto-comunista teleguidato dal Cremlino”. La sconfitta egiziana dell’anno precedente veniva definita dal Secolo come una vera e propria “lezione salutare” per lo stesso regime panarabo. Quest’ultimo avrebbe tuttavia fatto ricadere il costo della “rigenerazione nella sconfitta” ancora una volta sulle classi egiziane più umili. L’auspicio era invece quello che l’Egitto iniziasse una propria politica estera indipendente dai voleri di Mosca, il rapporto con la quale sarebbe stato contemporaneamente “banco di prova e tallone di Achille della questione mediorientale.”
Durante il 1969 le occasioni di confronto parlamentare sul tema furono limitate, riguardando esclusivamente interrogazioni e comunicazioni di esponenti del governo in commissione. In questo senso appare singolare quanto riportato dal resoconto sommario del Senato della Repubblica nell’unica occasione in cui la III° commissione Affari Esteri venne relazionata dal ministro degli Affari Esteri Pietro Nenni riguardo lo stato di tensione in Medio Oriente. In tale circostanza, il presidente del MSI De Marsanich rinunciò a svolgere il proprio intervento, “dichiarandosi d’accordo, circa il problema del conflitto arabo-israeliano, con quanto affermato dall’onorevole Nenni.” Alla Camera, l’unico elemento di rilievo sul tema riguardò un’interrogazione a prima firma Almirante con la quale si richiedevano assicurazioni sulla tutela della comunità italiana in Libia, a seguito degli eventi rivoluzionari che avevano visto la fine della monarchia libica e la sua sostituzione con il regime pan-arabista di Gheddafi. Nello stesso anno, il Secolo continuava a mantenere i riferimenti degli anni precedenti ribadendo le colpe dell’Unione Sovietica per lo stato di tensione latente e la necessità per l’Italia, a fronte di una situazione regionale fluida e dalle molteplici soluzioni, di riarmarsi al fine di garantire la propria sicurezza.
All’interno del Movimento Sociale Italiano, il 15 giugno venne a mancare l’on. Michelini il quale, in qualità di segretario, ne aveva determinato la linea politica generale nel corso degli anni ’50 e ’60. La dirigenza missina, non senza alcune distinzioni, si accordò per la sua sostituzione con Giorgio Almirante. Con la fine di Michelini, l’inizio della prima segreteria Almirante e, negli anni immediatamente successivi, la costruzione, seppur incompiuta, del nuovo progetto politico di Destra Nazionale, si vennero parzialmente a modificare le posizioni, le funzioni e la strategia del MSI all’interno dello scenario politico nazionale. Da partito schierato per la difesa dell’ordine costituito, tipicamente reazionario-conservatore, da sempre impegnato per un inserimento al governo nell’ottica della creazione di un esecutivo di centro-destra e continuatore senza rinnegamenti dell’esperienza fascista (seppur privilegiandone i caratteri meno radicali), il MSI modificò progressivamente la propria impostazione e funzione all‘interno dello schieramento politico tentando, da un lato, di costituire il polo d’aggregazione di un’area più ampia della destra italiana, svecchiando la propria immagine e aprendosi a contributi nuovi e, dall’altro lato, escluso dalla formula politica dell’arco costituzionale, di proporsi quale alternativa al sistema di potere rappresentato, negli anni ’70, dalla formula del compromesso storico. Poco dopo l’inizio della sua segreteria, Almirante procedette a una riorganizzazione dei vertici e delle responsabilità del movimento. A dirigere il settore Relazioni Internazionali venne chiamato l’on. Servello mentre all’on. Mirko Tremaglia venne affidato quello riguardante gli italiani all’estero. Questi sarebbe dovuti essere coordinati dal Comitato Relazioni Internazionali, presieduto dal sen. Ferretti.
L’anno successivo fu denso di importanti novità sulla scena mediorientale, rispetto alle quali anche il Movimento Sociale, principalmente tramite il suo organo di stampa, prese posizione. La prima riguardava le difficoltà interne al Libano, dove i conflitti tra militanti palestinesi e forze della falange libanese si fecero sempre più accesi. Riguardo l’equilibrio del piccolo stato mediterraneo, il MSI si schierò apertamente con i falangisti libanesi, ai quali li univano vincoli ideali ripetutamente evidenziati dal Secolo d’Italia: l’efficienza e l’organizzazione paramilitare, la dottrina e le posizioni politiche interne al Libano e allo scacchiere mediorientale, contrapposte al panarabismo di Nasser e all’estremismo dei militanti palestinesi.
Il secondo tema discusso durante il 1970 era il “piano Rogers”, ossia il tentativo predisposto dal segretario di Stato americano di interrompere lo stato di guerra latente che continuava a contrapporre Egitto e Israele dalla fine della guerra dei Sei giorni. Rispetto a tale piano, il Secolo d’Italia espresse le proprie perplessità considerandolo, in un primo tempo, funzionale agli interessi americani ed europei ma non a quelli sovietici e, in un secondo tempo, fallito a causa della violazione egiziana. Venivano invece ribadite le tradizionali convinzioni che determinavano la posizione missina sull’intera questione mediorientale, ossia la dipendenza dell’Egitto dall’Unione Sovietica e l’impossibilità di pervenire a una pace stabile e duratura in quanto contraria all’interesse della dirigenza sovietica, che traeva importante giovamento da uno stato di tensione nell’area e di dipendenza servile dei paesi arabi nei suoi confronti. Di conseguenza, la soluzione della questione mediorientale era unicamente possibile nell’accordo tra le grandi potenze, un accordo che si sarebbe dovuto basare su rapporti di forza ed elementi concreti e, perciò, al di fuori del contesto delle Nazioni Unite, viziate da un approccio idealistico e, pertanto, utopistico. Da tale accordo la grande esclusa sarebbe stata l’Europa, incapace di far sentire la propria voce, di esercitare un minimo ruolo, e condannata pertanto a subire, presto o tardi, l’invasione da parte del blocco comunista. Data quest’analisi, i parlamentari del MSI continuavano a riproporre le tradizionali soluzioni: un rafforzamento militare e politico dell’Italia che passasse per l’intesa con Spagna e Grecia, i paesi mediterranei che condividevano gli stessi interessi dell’Italia.
A settembre si verificarono altre due importanti novità per l’intera area: la prima fu il c.d. “Settembre Nero” rispetto al quale il Secolo d’Italia prese una netta posizione a sostegno del governo giordano, arrivando a sostenere che, nel caso in cui i fedayn non avessero accettato la tregua, l’Occidente, già gravemente danneggiato dal conflitto arabo-israeliano, non avrebbe potuto astenersi dall’intervenire. La Giordania avrebbe infatti rappresentato la chiave di volta per la soluzione del conflitto, senza la quale ogni trattativa sarebbe stata impossibile. La seconda riguardava, ovviamente, l’improvvisa morte di Nasser e la successione alla guida dell’Egitto da parte di El Sadat. Se nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa, la figura di Nasser venne ricordata in termini sostanzialmente moderati, il tema della sua successione venne affrontato alla luce della stretta dipendenza dell’Egitto dall’Unione Sovietica. Così, il procedimento che vide la formazione di una direzione collegiale e, subito dopo, l’emergere da questa della figura di El Sadat venne giudicato dal Secolo d’Italia come esclusivamente rispondente agli interessi, ancora una volta, della dirigenza sovietica.
Durante il 1971, i dibattiti parlamentari riguardanti altre tematiche di politica estera furono l’occasione per gli esponenti del MSI di reiterare le proprie convinzioni anche riguardo il conflitto israelo-palestinese. Anche se Il Secolo d’Italia riconobbe al regime egiziano di aver operato indipendentemente da Mosca in alcune occasioni, i parlamentari del MSI credettero vi fosse una sempre maggior influenza politica del governo sovietico verso i paesi arabi, conseguente alla volontà di dominio del Mediterraneo. Per opporsi efficacemente a tale presenza, l’Italia, come già sottolineato più volte in passato, avrebbe dovuto allargare la cerchia delle proprie intese anche ai paesi europei mediterranei, Spagna e Grecia, che, a causa del loro regime politico anticomunista, venivano tenuti ai margini dell’attività diplomatica del governo italiano. L’Italia avrebbe dovuto impegnarsi nell’ambito dei suoi riferimenti europei e atlantici per contribuire, in tali sedi, al raggiungimento di un soddisfacente stato quo per entrambi i contendenti. Si sarebbe dovuta così cercare un’iniziativa in campo europeo o in seno all’Alleanza Atlantica, la quale avrebbe dovuto adottare una posizione di mediatore piuttosto che di agente neutrale nei confronti del conflitto arabo-israeliano, rappresentando quest’ultimo una fonte permanente d’instabilità.
Con riferimento alla crisi arabo-israeliana, il 1972 vide l’esplodere del fenomeno del terrorismo internazionale. Il Movimento Sociale condannò duramente tali azioni, in parlamento e sul proprio organo di stampa. Responsabile ancora una volta di tale degenerazione del conflitto sarebbe stata l’Unione Sovietica, la quale avrebbe avuto come interesse principale nell’area il mantenimento di uno stato di tensione persistente, né pace né guerra, una situazione che gli avrebbe permesso, secondo il Secolo d’Italia, di mantenere e alimentare la dipendenza del mondo arabo verso di essa. In questo senso, l’Egitto avrebbe occupato una posizione di sudditanza neo-coloniale nei confronti dell’URSS, una condizione dalla quale però sembrava voler riemergere, comprendendo l’assurdità dell’identificazione dei propri interessi con quelli sovietici. Mantenendo tale situazione di perenne scontro, l’Unione Sovietica, era accusata di essere la vera responsabile del terrorismo palestinese, e, in generale, arabo. Secondo tale lettura, i terroristi sarebbero quindi stati eterodiretti dall’Unione Sovietica la quale, impedendo in questo modo ogni evoluzione della situazione mediorientale, avrebbe massimizzato il proprio tornaconto geopolitico.
Altra notizia cui diede spazio il Secolo d’Italia riguardava il trattamento dei cittadini sovietici di religione ebraica che intendevano emigrare in Israele. In questo caso, l’Unione Sovietica era accusata di frapporre difficoltà burocratiche, di rallentare le procedure, di limitare fortemente, se non addirittura di impedire in certi casi, l’emigrazione ebraica dal proprio territorio verso Israele. In particolare, l’introduzione da parte del governo sovietico di una tassa sulla cultura – ogni cittadino sovietico avrebbe dovuto pagare per lasciare il proprio paese in proporzione al grado di cultura raggiunto – veniva considerata dal Movimento Sociale Italiano come una violazione dei diritti umani fondamentali ad opera del regime comunista, accusato per questo anche di antisemitismo.
Il 1973 si aprì per il Secolo con una rivelazione secondo la quale, grazie alla pubblicazione di documenti inediti, Mussolini sarebbe stato favorevole alla creazione di uno stato ebraico in Palestina, scelta questa osteggiata sia dal Ministero italiano per gli Affari Esteri sia dal presidente del movimento sionista Weizmann. Al di là della veridicità dell’analisi storica e dell’evoluzione politica del MSI, con il tentativo allora in corso di apertura e allargamento della Destra Nazionale, tale notizia s’inseriva nella lunga e mai interrotta abitudine dell’ambiente missino di ricercare continuamente un collegamento tra le posizioni politiche del ventennio fascista e le contingenze politiche degli anni ’70, in maniera da trovare in un passato sempre meno reale e sempre più mitizzato la giustificazione e la bontà delle tesi attuali.
Nel X congresso nazionale che si tenne a Roma nel gennaio 1973, il MSI cambiò formalmente la propria denominazione in MSI – Destra Nazionale a seguito dell’incorporazione del Partito Democratico di Unità Monarchica (PDIUM), insieme al quale erano state presentate liste congiunte alle elezioni politiche dell’anno precedente. In tale occasione, un passo del documento finale approvato all’unanimità dall’assise si riferiva alla situazione mediterranea e mediorientale: “La pace e la sicurezza nel Mediterraneo, con la tutela della indipendenza e della integrità territoriale di tutti i paesi rivieraschi – ivi compreso Israele, che ha diritto, come tutti gli altri, a una pacifica e sicura esistenza – sono elementi essenziali della pace e della sicurezza generali.” A seguito del congresso, il riconfermato segretario nazionale Almirante procedette a una ridefinizione dell’organigramma del Movimento. In tale quadro, il settore Relazioni Internazionali venne affidato all’on. Nicola Romeo mentre quello contiguo, riguardante gli Italiani all’Estero, rimase sotto la direzione dell’on. Mirko Tremaglia. L’on. Servello, in qualità di Vice-segretario nazionale del partito, avrebbe svolto le funzioni di coordinamento tra i due settori.
Prima dello scoppio della guerra dello Yom Kippur, l’attenzione dedicata dal MSI alla situazione mediorientale era relativamente modesta. Non si registrano in quell’anno interventi sul tema al Senato o alla Camera dei Deputati durante i dibatti di politica estera mentre il Secolo continuava a interpretare la crisi esclusivamente come un problema internazionale causato dalla politica del Cremlino. Questa avrebbe fomentato il terrorismo arabo per i propri fini d’espansione imperialista, cercando nell’area mediorientale un contrappeso alla disponibilità statunitense in Europa, alla luce delle negoziazioni tra le due superpotenze allora in corso. In tale contesto, l’Europa non sarebbe stata altro che un terreno di scontro tra forze esterne con l’Italia che, avendo perduto ogni credibilità nel Mediterraneo, “si limita a stucchevoli piagnistei e dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano.” Con lo scoppio della guerra, il Movimento Sociale Italiano, attraverso le parole del suo segretario, si schierò al fianco di Israele condannando l’aggressione di Egitto e Siria, pur auspicando una positiva e pacifica soluzione del conflitto che tenesse nella giusta considerazione il problema delle misere condizioni di vita dei profughi palestinesi. In un altra dichiarazione il presidente del partito, l’on. Birindelli, oltre ad accusare i sovietici di aver armato e organizzato lo scontro in atto, metteva in guardia dai pericoli della distensione internazionale, giudicata “una pura e semplice illusione.” Altrettanto velleitaria veniva considerata l’azione in seno all’ONU, incapace di rappresentare interessi duraturi della società internazionale e bisognosa, al contrario, del continuo accordo tra le due superpotenze. Le chiavi per la pace erano quindi nelle mani, ancor prima che dei diretti contendenti, di Stati Uniti e Unione Sovietica. L’azione svolta dalla diplomazia europea e, in generale, occidentale veniva inoltre giudicata inefficiente in quanto si era dimostrata incapace di favorire e avvicinare Sadat l’anno prima, quando espulse i tecnici sovietici dall’Egitto.
Con il protrarsi delle operazioni militari, emerse il nuovo tema che avrebbe influenzato le politiche industriali e di sviluppo dei paesi occidentali negli anni seguenti: l’aumento del prezzo del petrolio. Usato come arma di condizionamento politico, il petrolio influenzò a lungo lo stato delle relazioni regionali tra i paesi arabi produttori e le democrazie occidentali, in particolare europee. Il MSI interpretò tale svolta nella politica araba come uno dei ricatti di Mosca, attraverso cui il Cremlino avrebbe tentato di controllare lo sviluppo occidentale. In tale ottica, la guerra veniva collegata al controllo delle fonti energetiche le quali, unitamente alla riapertura del canale di Suez, sarebbero state saldamente in mano sovietica. Secondo gli esponenti missini, l’Unione Sovietica con la guerra avrebbe infatti raggiunto il duplice obiettivo di ottenere la riapertura del Canale, giudicata vitale per i suoi interessi geopolitici, e la creazione di un fronte anti-occidentale, composto dai paesi arabi produttori di petrolio. Secondo l’on. Caradonna, in tale guerra Israele si batteva per l’Europa mentre i governi arabi combattevano gli israeliani poiché identificavano in questi l’occidentale “più capace, più operoso, meglio organizzato, troppo diverso.” Per i governanti arabi, la guerra era anche un modo per distrarre i loro popoli dai numerosi problemi che li affliggevano mentre per l’Unione Sovietica era una scelta strategica, un modo e tentativo per creare un diaframma tra l’Europa, da un lato, e l’Africa e il Medio Oriente, dall’altro. Poiché questi ultimi territori avrebbero rappresentato i maggiori interessi europei in termini di risorse e materie prime, l’Unione Sovietica avrebbe costituito un blocco, un fronte dall’Algeria alla Siria con lo scopo di ostacolare tale direttrice europea verso l’Africa e negarle l’accesso alle materie prime, sempre più vitali. Per questo, l’attacco mosso da Egitto e Siria a Israele null’altro era che una guerra “per delega”, realizzata nel più classico stile imperialista e neo-coloniale. La distensione, elemento caratterizzante le relazioni tra le superpotenze in quegli anni, si sarebbe quindi potuta raggiungere solo su basi concrete, improntate a una concezione realista dei rapporti di forza “che può giungere alla meta solo per una sostanziale abdicazione sovietica, prodotta dall’altrui forza e perenne preparazione al peggio.”
In tale contesto, la Comunità Economica Europea si era rivelata impotente e, peggio, avrebbe ceduto di fronte alla minaccia araba, la quale avrebbe messo a nudo l’inconsistenza dei meccanismi europei. I paesi arabi, che dal punto di vista militare avevano perso la battaglia sul campo, avevano però permesso alla Russia sovietica di realizzare la sua manovra contro l’Europa. Il governo italiano, ridotto all’impotenza e diviso al suo interno, subiva i condizionamenti dell’ENI affinché l’Italia adottasse una politica più decisamente filo-araba, mancando in tal modo di adempiere in pieno ai propri obblighi nei confronti degli alleati, in particolare quello statunitense. L’Italia si dimostrava così, ancora una volta, un’alleato inaffidabile, sul quale non poter contare completamente e ciò per colpa della politica ingenua e colpevole dei governi di centrosinistra.
In conclusione, il Movimento Sociale Italiano, nonostante le vicissitudini che attraversò al proprio interno dalla morte di Michelini alla creazione della Destra Nazionale, mantenne, tra il 1967 e il 1973, una posizione coerente e costante sul conflitto arabo-israeliano. La politica estera del MSI continuò in quegli anni a essere improntata alla tutela degli interessi nazionali, in particolare verso il Mediterraneo, che si coniugavano nella fedeltà all’Alleanza Atlantica, nell’implementazione della costruzione europea a livello regionale e, in più in generale, nel supporto alle posizioni dell’Occidente nel mondo. Contestualizzate nel Medio Oriente, queste linee si concretizzavano nella difesa d’Israele, del suo diritto all’esistenza e a una pacifica convivenza nel rispetto di frontiere sicure.
Ciononostante, a tale condotta si possono imputare due gravi limiti. Il primo è rappresentato dall’ossessione per il fenomeno comunista internazionale, che si concretizzava nell’Unione Sovietica. Il Movimento Sociale sembrava, in quegli anni, prigioniero di un’ideologia negativa, l’anticomunismo, che lo portava, come tutte le scelte ideologiche, a posizioni estremiste e radicali, che non tenevano conto dei reali equilibri e rapporti in campo. Per i missini, l’ideologia dell’anticomunismo sembrava essere, allo stesso tempo, totalizzante e paralizzante. Le analisi e le soluzioni proposte dal MSI scontavano così il grave limite, nel momento stesso in cui si rifacevano a una concezione realista delle relazioni internazionali, di adottare una prospettiva ideologica interamente basata sull’incombente minaccia comunista.
Infine, il Movimento Sociale, che aveva il suo nucleo umano e ideale nella comunità dei vinti della seconda guerra mondiale e della guerra civile, non era ancora riuscito ad elaborare appieno la fine dell’esperienza fascista. Conseguentemente, anche in politica estera, l’analisi e le proposte missine subivano il condizionamento di un retaggio culturale e politico non riproponibile, a meno di gravi forzature, nel contesto europeo, mediterraneo e mondiale a cavallo tra gli anni ’60 e ’70.