Prima di avventurarsi nell’analisi di una stagione da dimenticare, bisogna sgombrare il campo da equivoci: al Dall’Ara, domenica scorsa, per il Catania è maturata solo matematica certezza di una retrocessione scritta già diversi mesi prima, che solo l’inconsistente livello tecnico di uno dei campionati di serie A più mpdesti della storia ha prolungato di settimana in settimana. È stata la pagina conclusiva di un thriller mal riuscito, dove il nome dell’assassino era stato rivelato dalla scrittura incerta di uno scrittore di non eccelsa levatura già a metà, del romanzo; cosicché i lettori sono stati costretti a giungere alla fine del romanzo stesso non vedendo l’ora che finisse, non per eccitazione ma per disperazione. Un interminabile sfinimento, ecco cosa è stato per i tifosi l’attuale campionato del Catania. La delusione per una stagione cominciata male e finita peggio va oltre la retrocessione (che rimane un fatto sportivo importante) e riguarda, soprattutto, il rapporto venutosi a creare tra una tifoseria che vive un rapporto simbiotico con la squadra ed una società che, soprattutto in questa stagione, alla scellerata gestione (o non gestione, sarebbe meglio dire) ha assommato un vulnus perfino più importante: il blackout nei rapporti con l’ambiente.
Cosa è successo, per arrivare a questo punto? È successo che il presidente e proprietario, Nino Pulvirenti, protagonista del più lungo ciclo vincente della storia del club rossoazzurro ma sempre in coabitazione con professionisti di spessore, come l’antipatico e vincente Pietro Lo Monaco e il signorile Sergio Gasparin, ha deciso la scorsa estate di mettersi nelle mani di un procuratore molto quotato, come l’argentino Pablo Cosentino, ma totalmente digiuno per quanto riguarda la gestione in campo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una società che da modello di efficienza si è trasformata in paradigma di improvvisazione, un gruppo di giocatori lasciati in balia di se stessi e dei propri umori, il blocco argentino che sembrava aver dimenticato come si giocasse al pallone, tecnici esonerati e poi richiamati, mercato invernale deficitario; tutti elementi che, shakerati insieme, hanno prodotto la retrocessione, a distanza di ventisette anni dall’ultima.
Il tutto nella quasi assenza di spiegazioni fornite alla piazza su quello che stava accadendo, fatte salve le sporadiche apparizioni televisive del presidente per dire che tutto andava bene e che si sarebbe costruito il nuovo stadio. Cosa che, inevitabilmente, ha alimentato una ridda di voci e di illazioni, tutte non confermate ma nemmeno smentite, ad esempio sull’importanza crescente di Pablo Cosentino (rimasto un perfetto sconosciuto persino per la stampa catanese, non avendo mai dialogato con essa), al di là dell’incarico conferitogli, qualche settimana fa, di amministratore delegato. Decisione che, unita alla mancanza totale di autocritica (almeno fino al momento in cui scriviamo) su una gestione, quella di Cosentino appunto, che è difficile non individuare come almeno co-responsabile del disastro sportivo di quest’anno, in coabitazione con un presidente che ha peccato di presunzione pensando di poter fare quasi da solo, ha finito con il creare un dualismo dentro la stessa tifoseria.
Da un lato la nuova guardia, i tifosi avvicinatisi con la serie A, secondo i quali comunque il senso di gratitudine per una gestione che ha regalato otto anni di massima serie dovesse comunque essere prevalente rispetto alle considerazioni critiche per l’andamento della stagione, coniando un neologismo sportivo, “disfattisti”, per bollare quanti invece hanno assunto posizioni fortemente critiche rispetto all’operato dirigenziale. Il fatto è che questi coincidono quasi completamente con la vecchia guardia della tifoseria: quella che ha battuto l’Italia palmo a palmo, campo per campo, periferia per periferia, che ha compiuto per intero la lunga traversata nel deserto dei dilettanti e della serie C, che è stata accanto al Catania quando c’erano obiettivi da raggiungere ma, soprattutto, quando era solo una questione di maglia di mentalità. Insomma: quella parte della tifoseria che da decenni è al fianco al Catania a prescindere di categorie, dirigenti, calciatori. Tifoseria che, ad un certo punto, ha deciso di scendere in piazza, il 5 aprile, con un corteo promosso dal gruppo più importante della curva nord, “A Sostegno di Una Fede” e dal suo leader, Michele Spampinato. “L’Orgoglio Oltre la Crisi”, lo slogan della manifestazione, preceduta da una lettera aperta dello stesso Spampinato al presidente Pulvirenti dove venivano indirizzate al massimo dirigente rossoazzurro tutte le domande rimaste senza risposta.
Sarebbe il caso di darle, queste risposte. Ad oggi ancora non è successo. Sarebbe il caso perché provengono da quella parte della tifoseria che c’è stata ieri, quando tifare Catania era davvero un fatto di mentalità e non una moda, e ci sarà domani, quando magari “i figli della serie A” marcheranno visita. Perché la serie B è un campionato duro. Per la vecchia guardia non è un problema, perché era un miraggio quando si ritornava a casa percorrendo a ritroso la Salerno-Reggio rientrando da cocenti sconfitte a Matera, Teramo, Giulianova, Tricase. Loro ci saranno a prescindere. È un tesoro formidabile da cui poter ripartire. in cambio chiedono solo chiarezza: sulle scelte e sugli uomini che dovranno eseguirle. A che titolo le eseguiranno: se da semplici dipendenti del Catania o in una posizione diversa, superiore. Domande legittime, quasi scontate. È arrivato il momento delle risposte.