A Torino al Salone del Libro oggi si parlerà di anime della destra, ma sarà bene chiarirci e dire la verità. Ci è piaciuto dirci di destra per amor di trasgressione e per ribellarci al suo contrario dominante, la sinistra e il suo irrealismo dispotico. Ma è stata una camicia di forza. Ha costretto a stare sotto lo stesso tetto gente, impulsi e motivazioni che erano agli antipodi. Per dirla in breve, c’è chi si ritiene di destra nel nome della libertà e dell’individuo e c’è chi, come me, si definisce di destra in nome della tradizione e della comunità. C’è chi si reputa di destra perché è a favore del mercato, e chi, come me, si ritiene di destra perché pensa che la vita non possa ridursi a mercato. Non vado oltre, su religione, Stato e America, non stabilisco graduatorie e nemmeno distinzioni tra vere e false destre (che sono più di due).
Per anni sono bastate le comuni allergie a unirsi e a sentirsi maggioranza nel Paese. Non ci fu sintesi, ma rimozione. E una cosa in effetti ha unito le destre eterogenee: il richiamo al popolo sovrano e a un leader contro le oligarchie. Ora il popolo sovrano va per altre vie e per altri leader, la destra torna a essere terza via. Si può puntare sulla sovranità popolare se la sua traduzione simultanea è il grillismo? Cos’ha da spartire la destra coi grillini, oltre il disgusto per il presente? A chi è di destra e non ha temuto di dirsi populista, tocca ora rivedere il bagaglio, la strategia e il frasario. Non consola, ma una cosa simile succede pure a sinistra e altrove. (da Il Giornale)