(Pubblichiamo un breve passo dalla “Trilogia della Celtica” di Nicola Rao che consente di ricostruire il clima che si respirava a Milano per i militanti del Msi e del Fdg, nonché una testimonianza del coraggio e dello stile di Sergio Ramelli, nelle parole di un suo camerata del tempo. ***).
Di Roma abbiamo appena detto. Ora torniamo a Milano, dove il 13 marzo una squadra di picchiatori del servizio d’ordine di Avanguardia Operaia della facoltà di Medicina aspetta sotto casa, al suo ritorno da scuola, il diciottenne militante missino Sergio Ramelli e lo pesta a colpi di Hazet 36 (lunghe chiavi inglesi usate da questi gruppi, definiti, con sinistra ironia, gli ≪idraulici≫). Il giovane morirà dopo oltre quaranta giorni di coma.
Nel frattempo Milano e in fiamme.
Gianluca Bonazzi:
“Il clima in cui maturo l’agguato a Sergio Ramelli, che era responsabile giovanile della sezione di Città Studi, e quello degli anni più duri, contrassegnati dalla caccia all’uomo, dagli agguati, dai controagguati, dalle rappresaglie, dagli attacchi ai bar. Vidi Sergio in sezione pochi giorni prima dell’aggressione e alla mia sollecitazione a essere prudente mi rispose: ≪Tranquillo, sono un pesce troppo piccolo per essere pescato. State attenti voi, piuttosto…≫. Quell’anno l’antifascismo militante raggiunse un livello insopportabile. Mia moglie e mia figlia andarono via da Milano”. (…)
In questa primavera del ’75 comincia a frequentare il Fronte della Gioventù milanese un ragazzino di quattordici anni. Si chiama Andrea Calvi e anni dopo finirà coinvolto negli ultimi fuochi dei Nar.
Ecco cosa ricorda:
“Mi iscrissi al Fronte nel periodo tra l’aggressione e la morte di Ramelli. No, non fu quella la ragione. Sarebbe successo comunque. Andai in via Mancini e mi iscrissi. La prima cosa che feci fu partecipare ai funerali di Ramelli. Poi andai in sezione due o tre volte, ma fu dopo l’estate, nel settembre-ottobre del ’75, con l’inizio del primo anno di scuola superiore, che la mia adesione si trasformo in militanza. All’epoca il segretario del Fdg a Milano era Amedeo Langella. Il clima che si respirava era pesantissimo. Per noi oltre piazza Cinque Giornate c’era una specie di Muro di Berlino. Ricordo i cavalli di Frisia intorno alla federazione di via Mancini. E la nostra autonomia di movimento, per molto tempo, fu trenta metri intorno a via Mancini. Non un metro di più. Io mi iscrissi direttamente a una scuola privata, ma in quelle pubbliche per i fascisti era una guerra. Mia sorella, di due anni più grande di me, andava al Parini. A sedici anni si iscrisse al Fronte. Un giorno, a scuola, le perquisirono la borsa e fu vittima di un semilinciaggio. Così dovette trasferirsi anche lei in una scuola privata, la stessa che avrei poi frequentato io. Tornando al ’75, per noi la situazione fu pesantissima almeno per un paio d’anni”.
* da “Trilogia della Celtica” di Nicola Rao (pp. 1088, euro 19,90, Sperling & Kupfer)