Visita scontata quella di Matteo Renzi alla Signora Angela Merkel. Scontata la cauta “apertura” della Cancelliera tedesca di fronte all’effervescenza renziana. Nella norma il messaggio del Presidente del Consiglio italiano, diviso tra i parametri europei da difendere ed il sogno di un nuovo Rinascimento, ma poco disponibile a parlare di questioni “strutturali”, riducendo tutto a qualche sforbiciata al bilancio, in vista dei preannunciati arrivi in busta paga.
Eppure molto ci sarebbe stato da dire sui complicati rapporti italo-tedeschi e moltissimo da imparare dall’esperienza del sistema socio-economico tedesco.
Al di là dei convenevoli d’occasione il quadro dei rapporti tra i due Paesi è fissato da una serie di parametri (ben più rilevanti del citatissimo “spread”) da cui non si può scantonare. Sul versante tedesco c’è una disoccupazione al 5,5% (con la giovanile all’ 8,1%), laddove su quello italiano è al 12,9% (42,4% la giovanile); da una parte la pressione fiscale è il 37,1% del Pil dall’altra il 42,9%; lo stipendio medio è, in Germania, 39.593 Usd, da noi 33.947; la crescita tedesca, nel I trimestre 2014, è stata 3,7% in più rispetto all’anno precedente, quella italiana 0,7; nella classifica della competitività la Germania è al 21° posto, l’Italia al 65°.
Questi “numeri” non nascono per caso. Al fondo c’è l’improvvisazione politica e sociale del nostro Paese a fronte della stabilità tedesca e dell’organicità del suo sistema socio-economico, espressione di un’ idea di collaborazione sociale, a cui la politica, le imprese, le banche, il mondo del lavoro concorrono per la loro parte.
La crescita della Germania nasce da lì, dall’avere affrontato, con rigore, i problemi di bilancio (anche con misure impopolari come il taglio delle pensioni e dei sussidi di disoccupazione e la riorganizzazione degli uffici di collocamento). Ma – nel contempo – avendo garantito il mondo del lavoro attraverso un rodato sistema partecipativo, grazie al quale il sindacato ed i lavoratori hanno sostenuto “dal basso” la fase del rilancio, con un sistema premiante, costruito a livello aziendale e territoriale.
E’ la Mitbestimmung, la cogestione, inaugurata, a partire dagli Anni Cinquanta nei settori del carbone, acciaio e miniere ed poi diffusa nelle aziende con più di cinquecento dipendenti, dove è garantita la parità dei seggi fra azionisti e sindacato e dove i consigli di fabbrica, eletti dai lavoratori, hanno competenze dirette nella gestione del personale: assunzioni, licenziamenti, contratti temporanei e flessibilità di orario individuale.
Da lì passa il “miracolo economico” tedesco. Renzi avrebbe potuto farselo spiegare dalla Merkel e magari imparare che non basta qualche correttivo nella legge elettorale o qualche piccolo ritocco alla Costituzione per creare le condizioni di un’autentica rinascita nazionale. Ci vuole ben altro. Soprattutto la volontà di costruire, non solo a parole, un nuovo modello di integrazione socio-economica. Un modello che, al momento, non sembra essere nell’orizzonte di Renzi e della sua squadra.
@barbadilloit