Talvolta il panorama culturale moderno, nella sua triste e livellante desolazione, è topologicamente funzionale all’emersione di picchi coraggiosi ed anticonformisti. Come vette che si innalzano nel deserto, questi spiriti coraggiosi splendono di una pienezza ravvivata dal contrasto con tante altre pochezze e mediocrità epidemicamente diffuse. Così all’idolatria reificante dell’individuo si sostituisce la potenza del contenuto impersonale. Lungo questa scia ideale troviamo il progetto Dinamo Innesco Rivoluzione. Si tratta di una fucina di idee e di estetiche, secondo la convinzione dell’interdipendenza di forma e contenuto, in un’ottica artistica in cui la serialità dell’arte contemporanea diviene un “cavallo di Troia” indirizzato alla disintegrazione della medesima. Poster e stampe generano un brand paradossalmente antimoderno, che si definisce “un progetto attitudinale, per nulla democratico, opposto alla moderazione e nemico della diplomazia”.
Con oltre 4000 followers su Facebook Dinamo Innesco Rivoluzione affascina e coinvolge, incanalando aspirazioni, sintetizzando Weltanschauungen in immagini e – perché no – divertendo, anche se con un fondo di amarezza e un’acuta istanza di rivolta, interiore prim’ancora che politica. Su questi temi abbiamo intervistato Simone Poletti, l’ideatore di Dinamo Innesco Rivoluzione.
Com’è nata la sua passione per l’arte e il design ?
Con i cartoni animati giapponesi: alle elementari disegnavo Goldrake sui fogli a quadretti e scambiavo i disegni con macchinine HotWheels e altri giochi… un piccolo capitalista in erba! Ho sempre disegnato e ho sempre amato l’arte, anche se non l’ho mai studiata davvero, con mio grande rammarico. Poi, a 18 anni, sono scappato dalla scuola per geometri (meglio per voi tutti che non abbia mai progettato una palazzina di appartamenti) e ho iniziato a lavorare come grafico, illustratore e poi creativo in un’agenzia di comunicazione. Lavoro che faccio ancora oggi.
Si può dire che è un po’ l’anti-Obey (alias Shepard Fairey) ?
Facciamo le debite proporzioni: Shepard Fairey è un artista di fama mondiale che ha sicuramente influenzato moltissimo il mio lavoro (come è evidente) e con il quale condivido la passione per l’arte di propaganda in generale e quella sovietica in particolare. I punti in comune finiscono qui. Obey è un brand che fattura cifre importantissime, io vivo del mio lavoro e mi pago i progetti di Dinamo con gli introiti della vendita dei poster e delle opere (quando e se ci sono). Shepard Fairey espone in tutto il mondo, il progetto Dinamo Innesco Rivoluzione ha uno “zoccolo duro” di sostenitori sparpagliati per l’Italia e qualche paese europeo, ma nulla di paragonabile. Poi, facendo un parallelo, mi ci vedi a disegnare la campagna elettorale di Renzi o di La Russa (Shepard Fairey ha creato i poster per Obama)? Io mi sentirei ridicolo e mi farei anche un po’ schifo…Se la contrapposizione è politica, ancora peggio: Fairey è il megafono di un progressismo americano stucchevole e moralista, io sono lontanissimo da questa visione, come dalla “destra” istituzionale Italiana.
Nel suo progetto pop art e serialità artistica si scoprono antisistemiche. Qual è la forza del suo lavoro ?
Il mio lavoro è, fondamentalmente, auto-terapia. Cioè, dopo anni di bei disegni e messaggi sfumati, ho tolto ogni filtro e cerco, ogni giorno, di ricordare prima di tutto a me stesso ciò che dovrei fare. I messaggi dei miei poster sono rivolti prima di tutto a me stesso e al collaborazionista che è in ognuno di noi. Tutti noi collaboriamo, ogni giorno, alla persistenza del peso che ci schiaccia. È importante esserne consapevoli e ricordare ciò che dovremmo essere, il patrimonio genetico e l’eredità culturale che ci è stata lasciata. Cerco di comporre questi miei “memorandum” con uno stile che è figlio di un amore smodato per l’arte di propaganda, come dicevo, e per le raffigurazioni sintetiche. Piano piano sto cercando di costruire uno stile personale, anche se mi muovo fra illustrazione, collage e stili dal costruttivismo al DaDa…
In tutto questo prevale comunque la mia anima di pubblicitario: tutto parte da una parola, da una frase. Cerco di esprimere ogni concetto nel modo più sintetico e diretto possibile, senza filtri. La parola è fondamentale, le immagini vengono semplicemente di conseguenza, servono per rafforzare il messaggio ma potrebbero anche non esserci. Come dicevo, ho smesso di fare bei disegni decorativi. Se c’è qualcosa di esteticamente gradevole nella mia produzione, è semplicemente organico alla trasmissione del messaggio.
Le sue raffigurazioni sono percorse da linee asciutte, dure, perfino marziali sotto un certo profilo, adatte a fornire una rappresentazione estetica plasticamente scultorea a un contenuto ideale decisamente anticonformista. “Questo stile ha in comune con la grande passione il fatto che disdegna di piacere, che dimentica di persuadere, che comanda, che vuole… Dominare il caos che si è, costringere il proprio caos a diventare forma: a diventare logico, semplice, univoco, matematica, legge: è questa, qui, la grande ambizione”. Così scriveva Nietzsche. Si ritrova in questa prospettiva ?
In parte, sarebbe presuntuoso pretendere di più. Il percorso che ho fatto in questi anni è stato più istintivo che effettivamente dettato da obiettivi e meccanismi che, in realtà, mi sto chiarendo solo oggi. Quello che voglio, che cerco di ottenere, è d’essere uno stimolo attitudinale. Non si può pensare di chiamare alla rivolta, non in Italia e non oggi, non siamo un popolo da rivolta di piazza e nemmeno da rivoluzione cruenta o “bianca” che sia. Ma possiamo tornare ad esserlo. E per questo è necessario stimolare delle attitudini che si sono perdute nel processo di degenerazione dell’individuo italiano ed europeo… Quello che faccio è poco più che inutile, ne sono consapevole, ma è ciò che so fare meglio. Propaganda, propaganda attitudinale.
Nel Pantheon delle figure da lei rappresentate troneggiano Guido Keller, i futuristi Marinetti, Depero e Crali, Primo Carnera e Sergio Ramelli. Queste figure così eterogenee tra loro richiamano tuttavia una medesima attitudine esistenziale. In queste figure riecheggia il monito futurista “Non v’è più bellezza, se non nella lotta”, o sono piuttosto altri i temi su cui riflettere ?
Il mio Pantheon contiene anche Majakovskij, D’Annunzio, Rodchenko, Mike Hailwood e anche una manciata di musicisti Oi! La lista sarebbe ancora lunga, ma l’elenco è abbastanza inutile. Semplicemente, senza troppa retorica e senza agiologie stucchevoli, essi rappresentano per me un modo altro di affrontare le cose e la vita, “altro” rispetto a quello che ci viene proposto oggi come giusto e meritevole di stima, quando non addirittura “eroico”. Credo che, nella necessità stringente di risvegliare certe attitudini, nulla sia più importante ed efficacie dell’esempio. Non simboli, ma esempi, la semantica qui è fondamentale. Di martiri e simboli son piene le collezioni di santini dei peggiori idioti del creato… Le figurine non servono a nulla, ma gli esempi, da seguire o, almeno, adatti a indurre vergogna in chi non ne ha il carattere, sono necessari.
La nostra modernità, ormai postuma a se stessa, necessita maggiormente di ironia o serietà ?
Di calci in culo, magari dati con il sorriso beffardo di chi si diverte un sacco a far la cosa giusta mettendoci anche un po’ di istinto teatrale. L’ironia è pasto di pochi, sempre meno, e sarebbe da difendere come un animale in estinzione, ma perde ogni sua utilità se si limita a sbeffeggiare senza offendere e a provocare senza colpire. Non se ne può più di provocazioni, siamo provocati da tutti i lati e ormai totalmente anestetizzati. E non se ne può più di facce serie ed espressioni contrite. Il futuro è dei (pochi) che possono permettersi lo sguardo limpido di chi è in pace con i propri demoni e il sorriso beffardo di chi non teme la prima linea.
Quali progetti futuri ?
A giorni uscirà il terzo album dei Siegfried, “Salmo delle Tempeste” al quale ho collaborato per la parte visuale e grafica, ma soprattutto per la costruzione concettuale e per la stesura di buona parte dei testi. È un progetto a cui tengo tantissimo, perché si tratta della migliore traduzione in parole e musica del mio immaginario e delle pulsioni che muovono Dinamo. E poi è davvero un gran bel disco. Oltre al nuovo dei Siegfried, avrei una gran voglia di esporre, perché ho un progetto nuovo in cantiere da un po’ e vorrei portarlo a conclusione, e poi son più di due anni che, per un motivo o per l’altro, non faccio una mostra. Ci sto lavorando e tanti si stanno sbattendo per darmi una mano, ma trovare spazi adeguati e interlocutori seri non è semplicissimo…