La destra italiana? “Una sorta di «Italia in miniatura». La sua composizione sociale è davvero interclassista. Le opzioni culturali sono le più disparate: si va dai cattolici tradizionalisti ai neopagani; dai repubblicani/repubblichini ai monarchici convinti; dai corporativisti ai socializzatori. Convivono una Destra conservatrice e una Sinistra socialisteggiante. Tra gli elettori ci sono industriali e operai, impiegati e dirigenti, benestanti e poveri cristi. C’è l’illusione di rappresentare un’Italia «altra», che non si riconosce nel sistema politico dell’arco costituzionale”: in questa efficace definizione di Mauro Mazza, scrittore e direttore di Rai Sport, c’è tutta la complessità di un’area culturale e politica che dal biennio 1993-94 alle elezioni del febbraio 2013 – nelle quali è stata drasticamente ridimensionata nelle liste bloccate del Pdl di Silvio Berlusconi e dal voto popolare – ha interpretato l’eccezione europea di una forza postfascista con responsabilità di governo.
L’occasione per tracciare un bilancio di questa esperienza è colta dal saggio “Vent’anni e una notte” (Castelvecchi) di Mauro Mazza e Adolfo Urso che hanno ripercorso tutte le tappe dallo scongelamento dei voti del Msi alla polverizzazione della destra, certificata dalla mancata rielezione in Parlamento di Gianfranco Fini con Fli.
Nella fotografia del ventennio di Mazza e Urso emergono come giganti i pugliesi Mimmo Mennitti e Giuseppe Tatarella. Il brindisino, fin dagli anni ottanta con la rivista “Proposta” e l’omonima corrente del Msi, aveva creato i presupposti per un dialogo con le forze dinamiche presenti nel paese, rafforzato sinergie con l’area socialista sensibile alla riforma presidenziale dello Stato, ma soprattutto aveva immaginato la destra come forza che dalla difesa degli esuli in patria diveniva il volano di una aggregazione modernizzatrice. Mennitti, dopo aver tentato la svolta “entrista” con l’elezione di Pino Rauti alla segreteria del Msi (l’operazione risultò elettoralmente fallimentare), andò a dirigere il “Roma” e poi fu il primo ideologo della nascente Forza Italia nel 1994. “Tatarella – racconta al Corriere Adolfo Urso – ebbe il coraggio di scommettere sull’opzione delineata da Domenico Fisichella su “Il Tempo”, nell’editoriale del 19 settembre del 1992, nel quale affermava la necessità di una “alleanza nazionale” alternativa all’alleanza democratica di Nando Adornato e Willer Bordon. Mennitti aveva disegnato culturalmente la destra del futuro, Tatarella, puntando su Gianfranco Fini, individuò il leader che avrebbe poi interpretato quell’idea”.
Ricco nel libro è il catalogo di aneddoti su un mondo attualmente diviso in mille fiammelle. Urso rammenta i successi del lontano 1971, quando il Msi guidato da Nino Buttafuoco e Dino Grammatico, divenne primo partito a Catania e Trapani con slogan nazionalpopolari come «La casa e la terra non si toccano»; poi rivela i passaggi terribili degli anni di piombo (da dirigente del Fuan i Nar volevano eliminarlo e Francesca Mambro lo salvò) e la genesi del libro “L’età dell’intelligenza”, scritto a quattro mani con Maurizio Gasparri, volto a connettere la destra con l’imminente rivoluzione legata all’uso dei computer.
Mazza, oltre a tratteggiare il valore della famiglia del “Secolo d’Italia” e lo spessore culturale e umano di Pino Romualdi e Giorgio Almirante, fotografa l’ingresso rovinoso sulla scena della destra di Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, compagna di Fini: “Il ragazzo vuole produrre programmi per la tv. Fini mi chiede di dargli una mano. Ma Tulliani non si accontenta. Ha fretta e smania. Esagera. Una volta, al telefono, è addirittura sgarbato. Gli rispondo per le rime. Mando a Fini un biglietto, gli chiedo di risparmiarmi ogni ulteriore contatto con il «cognato»”. Qui, aggiunge Mazza, finisce la trentennale amicizia con l’allora presidente della Camera.
Più articolato il ritratto di Fini tracciato da Urso: “E’ un solitario – puntualizza – caratterialmente estraneo al tessuto politico della sua comunità. Grande interprete della svolta governista della destra, al pari di Gigi Riva nel calcio, si conferma un’ottimo finalizzatore di azioni da gol costruite da altri. Predestinato a succedere a Berlusconi, come un maratoneta al giro finale, ha sbagliato l’ingresso dello stadio dove lo attendeva una ovazione”. Per il politico siciliano l’attuale frammentazione degli eredi della Fiamma deve essere un monito a non indugiare in sterili nostalgie perché la storia non si ripete, se non nella tragedia o nella farsa: “La destra resta maggioritaria in Italia ma deve affiancare Berlusconi, per andare oltre il Cavaliere. E la nomenclatura della vecchia An dovrebbe dimostrare ora altruismo allevando una nuova classe dirigente della destra. Non servono reduci ma innovatori”.
* dal Corriere del Mezzogiorno – Corriere della Sera