«A un certo punto tutto precipita nel caos politico e la lettera della Bce è il colpo di manovella di un colpo di Stato. Ovviamente non quello di Curzio Malaparte, ma un golpe nella forma dolce della governance post democratica e post moderna». Così Giulio Tremonti quest’estate ricordava al Giornale i due anni da quella lettera della Bce che, di fatto, ha rappresentato l’avviso di sfratto all’allora governo Berlusconi. Qualche mese dopo – e dopo le rivelazioni fatte ad Alain Friedman da parte di Monti, De Benedetti e Prodi sull’attività del presidente della Repubblica nei confronti dell’allora maggioranza – i contorni di quell’estate del 2011 sono ritornati prepotentemente al centro della scena.
Per questo Tremonti – ai tempi ministro dell’Economia al centro di polemiche e attacchi da parte di Bruxelles – in queste ore si è preso la rivincita: «La storia della caduta del governo Berlusconi non va riscritta. Dev’essere ancora scritta», ha spiegato a Dagospia. Dal punto di vista economico – il motivo per il quale Berlusconi ha dovuto “accettare” di farsi da parte – si «provi a fare un bilancio differenziale su com’era la situazione prima e su com’è la situazione adesso. Il debito pubblico doveva scendere e invece è salito. Il Pil doveva salire e invece è sceso».
L’ex ministro, poi, è tornato anche sull’effetto spread che in quei giorni era vissuto come lo spauracchio per eccellenza: «Quella dello scoppio dello spread finanziario è stata un’invenzione. Lo spread sociale invece è stata una perfetta realizzazione “tecnica”. Comunque il tempo è galantuomo. Più galantuomo dei cosiddetti galantuomini».