Tra pochi giorni ricorrerà il decimo anniversario dell’istituzione della “Giornata del ricordo”. Una tappa determinante per la ricostruzione della memoria in Italia: ancora più importante nel momento in cui continuano ancora oggi i tentativi di oscurare e boicottare una pagina tragica della storia nazionale che è stata oscurata per decenni dalla cultura ufficiale. Di tutto questo ne abbiamo discusso con Fabio Rampelli, deputato di Fratelli d’Italia.
Il 10 febbraio ricorre la Giornata del Ricordo istituita dalla legge dello Stato n. 92 del 2004, in onore dei martiri delle Foibe. A 10 anni dalla legge, e molti anni dopo la tragedia, l’Italia come affronta questa parentesi storica?
C’è una parte d’Italia, una parte di italiani, che non vogliono dimenticare. Non possono dimenticare. Non solo perché c’è una legge dello Stato per favorire il ricordo del confine orientale, e la tragedia dell’esodo istriano-giuliano-dalmata e fiumano, ma anche perché una parte di italiani vuole ricucire pezzi importanti della propria storia. Pezzi mancanti sui libri di scuola ma che oggi grazie ai nuovi mezzi di comunicazione e a una nuova sensibilità cominciano a riaffiorare. Qualche inguaribile fazioso continua a voler rimuovere quella tragedia che ha colpito una parte importante del popolo italiano, ma il tempo è galantuomo e indurrà le posizioni ideologiche a tramontare definitivamente. Speriamo solo che non servano altri 70 anni.
Il governo Letta ha rigettato gli emendamenti del senatore Aldo Di Biagio e il suo, onorevole Rampelli per ripristinare i fondi a favore dell’archivio Museo Storico di Fiume, che dal 2008 non sono più 100mila euro (come stabilito in origine) ma solo 35mila. Si tratta di una decisione politica? Questi fondi, in realtà, possono essere reperiti? Ed è giusto che in un’ottica di spending review, a rimetterci sia la memoria degli italiani?
Se ci fosse una volontà politica sarebbe meno grave. In realtà penso che dietro a questi tagli ci sia una diversa sensibilità, una sottovalutazione del valore della memoria comune. In definitiva una immaturità politica che rende incapaci di fare scelte e quindi si decide di tagliare là dove si pensa di fare meno male. Ma il dolore che questi tagli procurano è infinitamente più grande del clamore che possono produrre perché incidono sul senso di comune appartenenza. La cosiddetta revisione della spesa deve essere fatta incidendo sulle spese prodotte dai vivi, non certo sulle celebrazioni per commemorare i nostri morti. Non voglio fare il qualunquista dicendo: “si tagliassero gli stipendi dei manager di Stato”, no non lo voglio fare. Ma certo una revisione alla spesa della pubblica amministrazione fatta sul taglio di poche decine di migliaia di euro al Museo Storico di Fiume è ridicola.
Stando a quanto riportato da LaNotiziagiornale.it, sono stati stanziati 1milione e 476mila euro per l’Associazione nazionale vittime civili di guerra; 4 milioni di euro per i Musei della Shoah; 2 milioni di euro per le Anpi; più di 200mila euro sono per l’Associazione Nazionale perseguitati politici italiani antifascisti. In tutto questo, delle Foibe non si fa menzione alcuna.
Penso che il Viminale abbia fatto bene, se la notizia riportata fosse confermata, a stanziare fondi sulla conoscenza della memoria comune, così come penso abbia fatto malissimo a non includere la tragedia delle foibe. Direi, se posso, che un’altra storia varrebbe la pena di essere esplorata e resuscitata, quella delle decine di migliaia di italiana morti in Russia, in Albania, in Grecia, a El Alamein, in Etiopia. Spesso si tratta di ragazzi volontari che stupidamente sono stati giudicati ‘fascisti’ e, per questo, ne è stato cancellato il sacrificio. Occorre stabilire una volta per tutte il principio che chi muore in guerra lo fa perché lo Stato gli ha chiesto di andare al fronte, non il regime o il Governo del momento. È una barbarie che siano state dimenticate vite spezzate che andavano a servire l’Italia perché si trattava della parte migliore del popolo italiano, animata da generosità, altruismo, senso del dovere, amore per la Patria. Come si fa a lasciare a un manipolo di reduci, sempre di meno numericamente, e di appassionati l’approfondimento e la trasmissione di una storia così importante e così tragica?
Ad agosto, il vicesindaco di Roma, Luigi Nieri, aveva dichiarato che la tragedia delle Foibe doveva essere ricordata in altre città. Più di recente, l’amministrazione capitolina ha azzerato i fondi per i viaggi di istruzione in Istria e nella Dalmazia e dimezzato quelli per i campi di concentramento nazisti. Il Campidoglio ha replicato che sulle Foibe si stanno discutendo con la Società di Studi Fiumani “le modalità più opportune per celebrare il giorno del Ricordo”.
L’importante è che si ricordi! La tragedia immane della Shoah ha il suo posto indelebile nella storia dell’umanità. La tragedia delle Foibe, nonostante i progressi fatti rispetto al silenzio assoluto di qualche tempo fa, è ben lungi dall’essere del tutto patrimonio comune. Non voglio cadere nel gioco tanto caro alla sinistra di mettere in contrapposizione i due drammi. Ci vuole una diversa lettura della nostra storia. Apparteniamo non solo al nuovo secolo, ma a un nuovo millennio. E’ necessario storicizzare le ferite del passato, e storicizzare significa essere in grado di ricordare senza rinfoncolare l’odio, le ragioni delle divisioni e della guerra civile.
Recentemente Simone Cristicchi ha portato in scena “Magazzino 18”, uno spettacolo che racconta la verità storica sulle Foibe. Prima il suo camper vittima di atti vandalici, poi la richiesta di espulsione dall’Anpi, infine l’accusa di essere un “fascista”. Si può dire che in Italia ancora non esiste un reale valore della Memoria?
Esiste un valore della memoria a fasi alterne e soltanto su determinati settori. Si deve lavorare sulla storiografia, sui libri di testo in uso nelle scuole obbligatorie. Credo nella libertà di scelta delle nuove generazioni: l’odio ideologico è un retaggio del passato che soltanto alcuni hanno piacere ad agitare, in mancanza di un’esistenza proiettata al futuro. I libri di testo non dovrebbero più essere obbligatori ma ogni famiglia dovrebbe potersi scegliere i propri in modo che in classe non ci siano dogmi, ma confronto culturale e critica storica. Se è vero che la storia la scrivono i vincitori è anche vero che siamo nel terzo millennio ed è ora che si conosca anche la storia attraverso i vinti. Entrambe appartengono alla memoria collettiva, sono pezzi che compongono la nostra identità. A distanza di settant’anni gli storiografi, i formatori, gli intellettuali, gli opinionisti, i politici devono entrare in questa nuova fase: la riscoperta della verità, che significa la pacificazione tra vincitori e vinti. La memoria è tutto ciò che ci fa essere ciò che siamo, per quanti sforzi si possano fare per eliminare i pezzi che non ci piacciono. Se questa revisione non avverrà per impulso consapevole, comunque si materializzerà fuori dai canali che dovrebbero essere percorsi. E sarà più pericoloso e meno giusto. È il caso quindi di fare un appello serio al sistema culturale italiano, un appello al coraggio della verità, a percorrere il cammino affascinante della memoria condivisa, un passo in avanti rispetto a quello della memoria di parte. L’Italia ne trarrebbe giovamento.