Dieci anni fa, il 12 novembre 2003, con la strage di Nassiriya, in Iraq, la guerra entra nelle case degli italiani. Sono le 8,45 in Italia, ore 10,45 locali, quando due palazzine della base, in cui risiedono i carabinieri ed i militari del contingente che fa parte dell’operazione “Antica Babilonia”, vengono sventrate da un attacco terroristico. Alla fine il bilancio è di diciannove morti tra gli italiani (dodici carabinieri, cinque militari dell’Esercito e due civili di una troupe televisiva), di nove tra gli iracheni, oltre a quaranta feriti.
L’Italia ne è scossa, ma con un trasporto collettivo fino ad allora inusuale. L’Altare della Patria, dove vengono composte le salme, diventa il luogo di pellegrinaggio per mezzo milione di persone. In cinquantamila assistono alle esequie alla Basilica di San Paolo. Undici milioni seguono la diretta televisiva. In ogni città code davanti alle prefetture per firmare l’albo d’onore e tricolori ovunque, a significare la partecipazione popolare all’evento.
Il nostro – sia sa – è un Paese dalle facili emozioni, ma dalla memoria corta. E’ anche per questo che vale la pena, a dieci anni di distanza, ricordare quegli eventi e tornare a riflettere su quelle indimenticabili e struggenti giornate. Certamente per onorare i caduti, che entrarono subito nel cuore degli italiani e a cui vennero dedicati strade e piazze, com’è giusto per chi ha donato se stesso nell’estremo sacrificio.
Insieme al ricordo dei morti è doveroso andare a quelle giornate anche per ritrovare il vero “spirito di Nassiriya”. Non c’era alcuna retorica nei semplici gesti di chi si era accostato, con un fiore (i gradini del Vittoriano ne furono interamente coperti), con un breve scritto, con un disegno infantile, al ricordo dei morti italiani in Iraq. C’era piuttosto la consapevolezza che quei morti non “appartenevano” solamente ai loro familiari, a chi li aveva conosciuti ed amati, ma appartenevano un po’ a ciascun italiano, all’identità personale e collettiva di un popolo.
Appena qualche anno prima – non dimentichiamolo – qualcuno avrebbe voluto distruggere l’Altare della Patria, considerandolo un monumento inutile, fondale di “panna montata” senza valore. Per anni, con la scusa dell’ inquinamento acustico e della stabilità dei resti dei Fori Imperiali, era stata abolita la sfilata del 2 giugno, quasi che celebrare le nostre tradizioni militari fosse un peccato collettivo. Del tricolore i più se ne ricordavano solo in occasione di qualche appuntamento calcistico. L’inno nazionale era misconosciuto.
Allora, nel novembre 2003, la Nazione venne “riconquistata” dagli italiani, che ne compresero il valore pieno, i simboli ed i sacrifici che avevano contribuito ad identificarla. In questo senso è utile “ritrovare” quelle giornate. La consapevolezza di quanto avvenne , dieci anni fa, sull’onda dell’emozione per la strage di Nassiriya, può infatti aiutarci ad intravvedere una possibile via d’uscita , in un momento di grave crisi nazionale, qual è l’attuale, aiutandoci a sconfiggere il “disincanto”, cioè l’ indifferenza ed il disprezzo nei confronti dei valori morali e sociali, che oggi sembra segnare le esistenze di molti italiani.
A questo, anche a questo, deve servire il ricordo di certi fatti drammatici, indicando valori ed identità in cui riconoscersi, senza retorica, tutti insieme. Per tornare a credere. Per ricominciare a ricostruire.