A Torino, alcune settimane fa, era stato vietato a uno striscione di entrare in curva durante le partite di Champions. La “pezza” incriminata infastidiva le autorità perché, sotto il nome di una via, riportava il numero 88. Numero che per evocherebbe due volte l’ottava lettera dell’alfabeto, la h, e costituirebbe un omaggio a Adolf Hitler.
Il problema, però, è che lo striscione, se letto interamente e se interpretato partendo dal presupposto che si trovava nella curva della Juventus, non aveva delle grandi intenzioni politiche ma si riferiva soltanto alla storica via e al numero civico sotto lo stadio della Vecchia Signora, in “via Filadelfia 88”.
Se i tifosi interessati dall’avvertimento hanno eluso il divieto con uno sfottò (hanno esposto uno striscione con sopra scritto “via Filadelfia 89 meno 1”) nuvole di tempesta sembrano destinate ad addensarsi intorno a tutte le curve degli stadi italiani. Motivo scatenate sono state le sanzioni ricevute dalla curva sud del Milan a causa dei cori indirizzati contro i tifosi napoletani. La giustizia ha deciso di dire basta, oltre che a quelle razziali, anche alle “discriminazioni territoriali”. Per tutta risposta i tifosi del Napoli, solidali con le tifoserie vittime di repressione, hanno deciso di auto-discriminarsi, esponendo a loro volta uno striscione che recitava “Napoli colera. E ora chiudeteci la curva”. Le ultime decisioni della giustizia sportiva sembrano far intravedere un ravvedimento rispetto a certi essecci repressivi.
A quanto pare gli ultras sembrano intenzionati a impedire che negli stadi italiani si compia l’ennesimo giro di vite delle libertà individuali. Per lungo tempo, infatti, le gradinate italiane sono diventate per lo Stato un vero e proprio centro esperimenti di ingegneria sociale. Da lì hanno preso vita pratiche consolidate come il controllo serrato tramite sorveglianza video, la tessera del tifoso, la perquisizione costante, la criminalizzazione di oggetti che nella vita di tutti i giorni sono considerati innocui e venduti liberamente, il daspo, il daspo volante, l’arresto in differita, l’impossibilità di esporre striscioni previa autorizzazione della polizia, il controllo di cosa si canta, di cosa si dice e di cosa si indossa. Tutte queste pratiche, molte delle quali lesive di qualsiasi principio di libertà, sono nate allo stadio per essere poi applicate anche in altri ambiti della società. Non deve stupire, infatti, che per alcuni il daspo dovesse essere applicato anche alle manifestazioni politiche, per impedire hai più agitati, o semplicemente a chi risultava più inviso, di parteciparvi. Gli ultras dovevano essere esclusivamente le cavie da laboratorio su cui sperimentare nuove metodologie repressive discrezionali e grazie alla loro pessima nomea rappresentavano il bersaglio ideale su cui fare pratica.
Adesso, però, dopo una prima battaglia iniziata congiunta contro la tessera del tifoso, si apre la possibilità di una nuova lotta trasversale in difesa della libertà di espressione. Nella prossima giornata di campionato, infatti, alcuni gruppi hanno annunciato una protesta che “gridata” contro le sanzioni date ai milanisti. Nelle curve, quindi, si canteranno liberamente quei tipici sfottò campanilistici che da sempre accompagnano la goliardia del tifo italiano. Come per dire: “Discriminiamoci tra di noi, prima che ci discrimini lo Stato”.