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Le radici della diversità tra europei e americani riaffiorano anche in tempi di crisi (parte II)

Dalle origini gli Stati Uniti hanno voluto prima respingere, poi controllare il Vecchio Continente, più temuto che rispettato

di Ferdinando Sanfelice di Monteforte*
17 Settembre 2025
in Esteri
0
Usa e Europa

“L’antico senso di superiorità morale e di missione mondiale americana, mai mancato dalla fondazione della Nazione” (4), di cui scriveva Walt W. Rostow, deriva dall’aver trovato gli emigrati europei “un posto sicuro per la legge e un rifugio della civiltà”. E le comunità afro-americane e cinesi dall’avere raggiunto uno status che, forse, non avrebbero potuto conseguire, se fossero rimasti nel continente di origine.

Anche i termini “Old World” (Vecchio Mondo) e “Old Continent” (Vecchio Continente), particolarmente diffusi nella letteratura accademica sulle Scienze Politiche, indicano un certo modo di vedere gli Europei. Mentre noi Europei guardiamo con sufficienza gli Americani, parte di loro ci guarda con diffidenza, se non con disprezzo, in quanto appartenenti a un mondo che loro hanno abbandonato, rigettandolo, o che ha fatto soffrire i loro antenati. Fortunatamente, vi sono eccezioni: tra le varie comunità, quella italiana ha mantenuto legami con il nostro Paese, e questo spiega, almeno in parte, il “rapporto speciale” da oltre un secolo tra le due Nazioni. Ma gli Stati Uniti non sono legati, da tempo, solo al nostro Paese.
Guerre e paci con la Gran Bretagna
Nei due secoli e mezzo della loro vita, gli Stati Uniti hanno contratto altri legami, più o meno permanenti, per soddisfare le necessità essenziali della loro crescita. Malgrado fossero nati grazie alla lotta per affrancarsi dal dominio coloniale britannico, al prezzo di ben due guerre di indipendenza, combattute grazie anche all’aiuto delle Potenze europee rivali della “Perfida Albione”, la dipendenza economica degli Stati Uniti rispetto alla Gran Bretagna era rimasta notevole, dato che il governo di Washington si trovava spesso costretto a contrarre prestiti con le banche inglesi, e gli investimenti britannici negli Usa erano notevoli. Su questo argomento Henry Clay, un eminente politico originario del Kentucky, affermò che “gli Stati Uniti rischiavano di rimanere una specie di colonia indipendente dell’Inghilterra – libera politicamente, schiava economicamente” (5).
Si verificò quindi, fino alla fine del XIX secolo, una situazione paradossale. Gli Americani, da un lato “desideravano sfuggire all’ombra del loro antico padrone coloniale, (dall’altro) restavano dipendenti dagli investimenti, dal
commercio e dalla potenza britannici” (6).
Territori francesi della Louisiana
Oltre alla dipendenza economica, dovuta ai prestiti che il governo americano aveva contratto e continuò per decenni a contrarre – con le banche di Londra – si era infatti creato nel tempo un altro tipo di rapporto con la Gran Bretagna: pur di allontanare le Potenze europee dal continente americano, fin dall’epoca del Presidente Washington, gli Stati Uniti si erano appoggiati per periodi anche piuttosto lunghi al potere marittimo britannico, nonostante l’esistenza di un notevole gruppo di politici che simpatizzavano con la Francia, grazie alla cessione dei cosiddetti “Territori della Louisiana”, che comprendevano l’intero corso del Mississippi, fino ai Grandi Laghi; da notare che l’acquisizione di questo enorme territorio era stata resa possibile grazie a un prestito di grande entità, contratto naturalmente a Londra.

Alfred Th. Mahan e William S. Sims
Ma il rapporto con l’Inghilterra continuò a essere poco popolare tra la popolazione americana. Basti pensare che, malgrado la Marina, per bocca dell’Ammiraglio Alfred Thayer Mahan, divenuto scrittore di successo, sostenesse da alcuni anni la necessità di un avvicinamento alla Gran Bretagna, in funzione antitedesca, l’opinione pubblica americana continuava a vedere la Gran Bretagna con diffidenza. Mahan, va detto, non era un sentimentale, ma era fermamente convinto che “gli interessi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna coincidevano sotto tanti aspetti e in tanti luoghi che cooperare sarebbe stato vantaggioso per ambedue” (7). Alcuni suoi discepoli, però, andavano oltre, convinti che i legami di sangue e di lingua dei popoli anglo-sassoni fossero prevalenti rispetto a considerazioni di storia e di geopolitica. Fu così che uno degli allievi preferiti di Mahan, il Comandante (poi Ammiraglio) William Sowden Sims, incorse in un incidente che avrebbe potuto costargli la carriera. Infatti, “una (sua) dichiarazione indiscreta di fronte a un uditorio londinese nel 1910 (in un discorso nel quale il Comandante affermò che gli Inglesi avrebbero potuto sempre contare sui loro affini al di là del mare) attirò una secca reprimenda da parte del Presidente”  William Howard Taft (8).
Va detto, per amore di giustizia, che lo stesso Presidente, nelle memorie, ammise di aver rimproverato Sims per aver detto qualcosa che, anni dopo, sarebbe stata attuata, con la dichiarazione di guerra alla Germania, nel 1917,
quando gli Stati Uniti fornirono un aiuto decisivo per la vittoria dell’Intesa. Non a caso, fu proprio l’Ammiraglio Sims a essere inviato a Londra con l’incarico di comandare le forze navali americane nel teatro europeo.

Londra: rivale oggi, nemico domani
Malgrado l’alleanza con l’Intesa, e la stretta collaborazione operativa tra le due Marine, alla fine della guerra gli Stati Uniti vararono un ambizioso programma navale, teso ad acquisire la parità di forze rispetto alla Gran Bretagna. La ragione dello sforzo fu indicata nei documenti che lo supportavano: “Ogni temibile rivale commerciale dell’Impero Britannico si è trovato alla fine in guerra con la Gran Bretagna – ed è stato sconfitto” (9). In definitiva, a Washington erano ormai in pochi a credere che, dopo la fine della guerra, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avrebbero continuato a collaborare. Piuttosto, faceva paura la prospettiva di un’accesa competizione per il commercio internazionale.
Alla fine, va detto, grazie anche alle minacce, da parte del governo di Londra di non partecipare alla Società delle Nazioni, si raggiunse un compromesso, ma alla successiva Conferenza di Washington sul disarmo navale,
nel 1921, il problema della parità navale tra Usa e Gran Bretagna venne fuori di nuovo, e Londra dovette cedere, vista la disastrosa situazione economica del Paese.

Prima alleanza permanente
Anche durante la Seconda Guerra Mondiale, il rapporto tra Stati Uniti e Gran Bretagna non fu idilliaco, tanto che più volte i militari si trovarono in disaccordo, e i leader politici dovettero intervenire. Va peraltro ricordato che, una volta terminato il conflitto, quando divenne chiaro a Washington che l’Europa, sfinita dalla guerra, rischiava di cadere sotto l’influenza sovietica, il Presidente Truman – convinto dal Premier britannico – non esitò a impegnare gli Stati Uniti, per la prima volta nella loro storia, in un’alleanza permanente, convincendo il Congresso a ratificare il trattato di Washington e così aderire alla Nato. Come si vedrà nel seguito, però, anche in questo caso non tutto è andato liscio, negli oltre 70 anni di vita dell’Alleanza.
In realtà, il rapporto tra Stati Uniti e Gran Bretagna continua a essere, almeno a tratti, tempestoso. Il tentativo del governo inglese, negli ultimi anni, di compensare l’uscita dall’Unione europea, stabilendo accordi economici
privilegiati con gli Stati Uniti, è sostanzialmente fallito, forse anche a causa dell’animosità tra le due popolazioni che non si è mai sopita. In quest’ottica va visto anche lo sgarbo, nel luglio 2018, del Presidente Trump, che arrivò con un quarto d’ora di ritardo all’appuntamento con la regina Elisabetta II, e non le fece l’inchino protocollare, limitandosi a stringere la mano della sovrana.Un neutralismo isolazionista
Un pilastro storico della politica estera americana ci è dato dalla posizione del Presidente Washington, contrario alle alleanze permanenti tra gli Stati Uniti e altre Nazioni. Infatti, nel suo discorso di commiato, il Presidente “pose l’enfasi sulla grande regola di minimizzare per quanto possibile i legami politici con il Vecchio Mondo, (oltre ad affermare) la necessità di evitare alleanze permanenti” (10).
Come nota uno studioso, “l’insicurezza degli Stati Uniti nel XIX secolo era duplice: essi erano deboli rispetto alle potenze del Vecchio Mondo, che dominavano le questioni internazionali, ed erano internamente vulnerabili” (11), o almeno tali si sentivano.
All’inizio, una volta conclusa l’epoca napoleonica, le Potenze europee erano troppo occupate a mantenere basso il livello di competizione tra loro, anche se, occasionalmente, si intromettevano nelle questioni americane, senza peraltro fare troppo danno. I timori degli Americani nei confronti degli Europei, bisogna ammetterlo, si concretizzarono qualche decennio dopo, durante la Guerra Civile, grazie all’aiuto che Gran Bretagna e Francia fornirono ai Confederati, durante buona parte del conflitto.

Messico e nuvole, la faccia triste…
In particolare, approfittando della debolezza americana in quegli anni tormentati, la Francia tentò di attrarre il Messico nella sua orbita, proponendo nel 1861 il principe Massimiliano d’Asburgo come suo imperatore, a garanzia del debito estero che il governo messicano aveva smesso di pagare. L’operazione si era svolta col consenso delle altre Potenze europee creditrici, la Gran Bretagna e la Spagna, senza che gli Stati Uniti potessero intervenire per contrastare questa intromissione al loro confine meridionale, impegnati come erano il Nord e il Sud a combattersi tra loro.
Una volta finita la guerra, con la sconfitta della Confederazione, però, il governo di Washington, fomentando la ribellione dei Messicani contro gli occupanti stranieri, ed esercitando forti pressioni diplomatiche, riuscì anzitutto a convincere l’Austria-Ungheria, il cui governo “contemplava l’intervento in Messico per salvare Massimiliano, figlio dell’Imperatore” (12) a desistere da tale proposito, e quindi costrinse la Francia a ritirarsi, nel 1867, abbandonando il povero Massimiliano alla sua sorte.
(2- Continua)
*Ammiraglio di Squadra. Presidente di Mediterranean Insecurity
Courtesy of / Per gentile concessione di Mediterranean Insecurity
Le note 1 – 3 sono apparse nella parte I (NdR)
(4) Walt W. Rostow, Gli Stati Uniti nell’arena mondiale, Il Mulino, 1960, pag. 56.
(5) J. Sexton, The Monroe Doctrine, Ed. Hill & Wang, 2011, pag. 20.
(6) Ibid., pag. 7.
(7) W.D. Puleston, Captain Usn, Mahan, Jonathan Cape, 1939, pag. 329.
(8) H. & M. Sprout, The Rise of American Naval Power. Princeton UP, 1939, pag. 281
(9) H. & M. Sprout, Toward a New Order of Sea Power, Princeton UP, 1943, pag. 69.
(10) J. Sexton, Op. cit., pag. 24.
(11) Ibid., pag. 10.
(12)  J. Sexton, Op. cit., pag. 155.
Ferdinando Sanfelice di Monteforte*

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