
Il breve discorso che segue è stato tenuto a Verona, in una bella e molto marziale sala entro la Porta Palio, la porta che permetteva l’accesso alla città scaligera ai viandanti che venivano dalla via di Mantova. Porta Palio è da tutti ritenuta il capolavoro dell’architettura militare del Rinascimento ed è ascritta al grande Michele Sanmicheli. Occasione del discorso era il convegno tenutosi sulla “Genesi del Futurismo”, nell’ambito delle celebrazioni dedicate a “Verona città magica”, il giorno del solstizio d’estate del corrente anno.
Si è pensato di lasciare intatta la forma “retorica” dell’allocuzione, essa non prende qui dunque forma di saggio o di studio. In alcuni casi la lettura pubblica dello scritto ha visto la necessità di alcune inserzioni di pensieri estemporanei e di osservazioni, le quali dovevano, nello spirito dell’avvenimento, tener viva una certa attenzione. Queste inserzioni son qui nel testo riportate al posto esatto di dove furono pronunciate e vengono ora trasposte nella scrittura usando il carattere corsivo. Detto carattere si ritrova anche in taluna parola del testo che era stata pronunziata con una certa ènfasi. Punti esclamativi, interrogativi e di sospensione traspongono per quanto possibile l’intonazione retorica dell’allocuzione, che si rese necessaria anche per l’ora pomeridiana, e, naturalmente, per un tema così futuristicamente scintillante…
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E allora l’avanguardia artistica italiana si era fatta mondiale! E come “fascismo” è stata parola assimilata in tutte le lingue del mondo, così “futurismo” è parola pur questa assimilata da moltissime lingue dei Kulturvölker. E fu parola assimilata senza tentar di ricorrere a traduzioni! Caduto il fascismo repubblicano crollava pure il futurismo e i superstiti di esso divennero ciò che già fu Dante, l'”exul immeritus in patria”.
I due movimenti sono dunque un ego e un alter ego. Ce lo conferma colla sua ponderata autorevolezza il Croce che scrisse su La Stampa del 15 maggio 1924: “Per chi abbia il senso delle connessioni storiche, l’origine ideale del fascismo si ritrova nel futurismo”.
Futurismo fu rinascita, e qui devo riportare le parole di un grande italiano, inutile come lui stesso volle dichiararsi, ovvero Prezzolini:
in un geniale libretto che si intitola “La storia tascabile della letteratura italiana”, commissionato da un editore a Giuseppe Prezzolini, al tempo professore di lettere italiane alla Columbia University di New York, vi sono parole assai indicative:
“di poeti futuristi non ne restano, musicisti men che mai, ( e qui un inciso piuttosto scanzonato: chi ascolta con assiduità Beethoven o Mozart può contraddire Prezzolini? Mormorio sorridente da alcuni nel pubblico…) pittori e scultori certo ne restano, un nome fra tutti è Boccioni, ma, in ogni caso e senza malintendere la parola, il futurismo fu un’esplosione di gioventù“. Come pure affermò Evola a proposito di Lacerba (che era una rivista futurista senza dubbio) “fu l’unico vero Sturm und Drang che abbia avuto l’Italia unita moderna.
Noi ora, senza credere di esser emuli dell’acuto visionario Ortega y Gasset ma onorandolo come filosofo a cavallo di due “soli“, essendo lui ispanico, –sole nascente e sole barbògio! ed essendo lui un superstite dell’impero dove mai tramontava l’astro!- siamo dunque, e pur senza volerlo esplicitamente, dei prospettivisti! Ovvero guardiamo, e ora contempliamo quasi!, il futurismo con il medesimo spirito di un antiquario. Il futurismo è oramai un simpatico e scintillante passatismo. Ed è irreproducibile, con e pure senza, il suo tragico alter ego. Ma questa non è idea nuova. Già Papini, quando consultandosi con Soffici stilò quello sferzante documento che suddivise il futurismo in due branche, tosto separate e antagoniste, futurismo e marinettismo, al primo ascrisse Voltaire, Baudelaire, Leopardi, Stendhal, Rimbaud e Nietzsche, e nel secondo imbrancò Hugo, Emil Verhaeren, D’Annunzio e Segantini, ma per quest’ultimo devesi far molta attenzione, perché qui evvi poca ironia da fare: il pittore di Arco è un gigante!; e poi, di nuovo, nel primo pose naturalmente sé stesso, ossia Papini, assieme a Soffici e ad altri filosofi, poeti, pittori, e nel secondo mise Marinetti e Russolo, e declamatori, e musicisti/pittori. Palese fu l’ironia! E abbastanza evidente pure una lieve canzonatura con quel “marinettismo” che richiama la pedanteria del “marinismo” di beata secentesca memoria… (Risate nel pubblico)
E poi vi furon le critiche assai aspre di Evola il quale finì, su La Vita Italiana del 1939, per appoggiarsi financo al geniale e simpatico libro di John Hemming Fry, che attaccava a testa bassa gli “impressionisti” francesi la cui opera plastica aveva fatto da varco per le istanze futuriste nel disegno rapido e nervoso – e non più curato e prospettico eccetera eccetera! – opponendo loro (ed auspicando) un ritorno alla tradizione del bel disegno “neoclassico” in architettura oppure ai capolavori del tardo classicismo dell’Accademia francese: Claude Lorrain e i suoi notevoli (o intensi) grandi paesaggi! Di poi, nuovamente, Papini incalza colla sua consueta “vis corbellatoria” e ascrive alle due branche svariati atteggiamenti quali, al futurismo: acutezza e disprezzo del culto del passato e latinità; e al marinettismo: semplicismo, disprezzo del passato e americanismo/germanismo…(!)
Una duplicità di caratteri antagonisti che per il vero ricordano il Duce in Gargnano nel 1944 de “il tempo del bastone e della carota” nel suo ascrivere gli Italiani a due ben precise categorie, sicuramente antagoniste e, invero, poco complementari: gli “intelligenti” e i “talentosi“. I primi naturalmente erano i futuristi e i secondi? Non procedo oltre ma è evidente: i marinettisti, anche e proprio a dispetto del buon Filippo Tommaso!… Il quale Filippo Tommaso però, poniamo sempre attenzione, non rientra nella categoria dei marinettisti essendo lui indubbiamente geniale…. (e qui sorrisi dal pubblico visibilmente divertito)
È stranissimo vero che Papini tacci il marinettismo di germanismo? Sull’americanismo ciò par evidente ma sul germanismo si dovrebbe per davvero indagare di più… lo si dovrebbe fare perché l’antigermanesimo di Marinetti e il suo esser campione d’interventismo nel 1915 parrebbero provare il contrario. E tuttavia le affermazioni di Papini, anche quando stroncature o canzonature, non son da prender alla leggera… (e qui un breve mormorio nel pubblico)
E dire che Papini aveva puntualizzato in un suo geniale lavoretto tutti gli antecedenti in età classica e medievale delle pur simpatiche invenzioni futuriste quali tavole parolibere, (se non ricordo male, perchè non ebbi, nel preparar questo intervento, il testo esatto di Papini sott’occhio) o le onomatopee eccetera.
Sono prospettivista e vedo tutto come un lontano postero, il quale ora intravvede di lontano la temperie vivacissima, ma ora estinta e caduta in una sorta di esilio in patria, d’un movimento artistico, come accaduto al suo alter ego politico…
Arriviamo ora al futurismo fuori dall’Italia inteso come varietà di movimenti futuristi nazionali.
In Russia si ebbe il “cubofuturismo” del 1910 e le ulteriori germinazioni “autoctone” di dopo gli eventi rivoluzionarî, quali ad esempio il costruttivismo sovietico eccetera.
In Lituania il futurismo ebbe forma con la rivista Keturi Vejai ovvero “i quattro venti” ed è bello, pronunziando questo strano titolo di rivista baltica udire delle sonorità che son quasi da lingua sanscrita… ecco che il futurismo va alla ricerca di radici primordiali… (sorrisi e mormorio del pubblico).
In Svezia una apparizione del futurismo si ebbe nella rivista Fem Unga: “i cinque giovani”.
In Francia, essendovi stati dei paritetici (ma lo sono, forse? E a questo modo?) movimenti d’avanguardia, quali cubismo, dadaismo, e surrealismo non potevano – a differenza di ciò che avvenne poi per l’alter ego politico – aver un movimento proprio futurista. Vi fu Apollinaire che scrisse un manifesto dal titolo “L’antitradition futuriste”.
In Belgio ecco che si stampò il manifesto “Le futurisme et la philosophie” (sarebbe interessante saper cosa vi era scritto, e soprattutto a quali filosofi, il Belga estensore del manifesto comparava i futuristi).
In Ispagna ecco un “Proclama futurista a los Españoles” del Gomez de la Serna, in Portogallo vi fu la rivista “Portugal futurista”, in Giappone la rivista “Nihon mirai-ha“, che si traduce come “la scuola futurista del Giappone”.
In Gran Bretagna abbiamo veramente una pallida eco del futurismo come movimento che debba attecchire presso poeti e, o, pittori locali. Forse è la compassata anima inglese ad agire, e questa è ben raffigurata dal gentleman in bombetta e ombrello che si reca, con l’aria compassata e il passo dinoccolato, senza dar nell’occhio per espressa volontà e qui Lord Brummel docet! (risate divertite del pubblico) a passeggio per le vie londinesi. Restano però alcuni nomi: ad esempio Miss Dorothy Shakespeare, moglie del poeta Pound, dipinse dei curiosi acquerelli che potrebbero parer futuristi e in ogni caso son d’avanguardia, e poi vi è un affettuoso e scanzonato riferimento letterario entro un romanzo del buon Gilbert Keith Chesterton, nel quale un attore vien descritto nell’episodio d’una visita ad un’esposizione di pittura futurista.
Forse vi son arrivati, gli Inglesi, al futurismo inteso più come fenomeno di costume, e alquanto disordinato, colle masse imbestiate dei tipacci allucinati dalla narcosi – e pensare che Papini e Prezzolini fumavano lo hascisc già ai tempi di Lacerba… – lungo i concerti dei divi del Rock and roll. (qui il pubblico ride alquanto divertito…)
In ogni caso, per l’ambiente culturale angloamericano e di lingua inglese resta qual punto fisso il tributo del grande Pound quando scrisse che la sua ricerca nell’Imagismo e nel Vorticismo non sarebbe esistita senza l’opera di Marinetti. Al quale, per il suo transito verso le stelle dopo il 2 di dicembre del 1944, dedicò infine, con una sincerità commovente, uno splendido Canto addirittura in Italiano (che, rammentiamolo bene, non era la sua lingua madre!) e stampato su Marina Repubblicana!
Un caso specialissimo fu anche quello tedesco.
In Germania abitava ed agiva un futurista italiano, e in special modo siciliano: Ruggero Vàsari (accento sulla prima à!) che fin dagli anni 20 faceva la spola tra Berlino e la sua isola assolata. Tra l’altro nelle sue opere proprie Vàsari con il tema dell'”angoscia delle macchine” testimoniava, documenti alla mano, di saper comporre al dinamismo futurista il cupo e pensoso “espressionismo”. In ciò probabilmente noi abbiamo il motivo per il quale un “movimento futurista nazionale tedesco” non poteva formarsi; in loco l’espressionismo aveva molto vigore; era progressista e reazionario assieme (e ad esso, come si sa, avevano aderito figure di sinistra e d’estrema destra!); in breve: questo movimento era l’avanguardia tedesca, assai introversa, sarcastica, sprezzante e fornita di spietata lucidità. Ovvero, a ben guardare e rammentando le belle parole di Prezzolini sull’esplosione di gioventù detta avanguardia sottraeva al futurismo medesimo le sue ragioni d’essere…
Questo detto in via molto riassuntiva. In realtà l’incontro della Germania con il futurismo vi fu. E fu la mostra dell’aeropittura futurista, Flugmalerei, e precisamente la “Ausstellung futuristischer Luft- und Flugmalerei” del marzo 1934 in Lützowufer 13 a Berlino. Fu una cosa notevole perché nel comitato istituzionale che patrocinava l’esposizione vi erano: il Ministro della Propaganda e il Ministro dell’interno della Prussia, le due iniziali loro sono: “G” e “G” (risate nel pubblico). E il discorso d’inaugurazione, presente Marinetti stesso, – vi sono pure belle foto da vedere dell’evento! – fu tenuto da un Ciclope della cultura europea, e era questi nientemeno che Gottfried Benn, il medico poeta il quale appellò Marinetti “der grosse Filippo Tommaso Marinetti” che offre l’esempio di “come un artista moderno divenne immortale attraverso le leggi politiche della sua nazione!”. Son parole invero eccezionali anche perché, assieme a quelle di Pound testimoniano senza equivoci del valore d’un movimento che per costoro era straniero. Benn ovviamente parlò anche dell’espressionismo ch’egli definì in modo severo con una formula non banale: “der Expressionismus ist keine Frivolität und Ausdruck eines europeischen Stils“, tradotto vuol dire “l’Espressionismo non è punto frivolezza ed è invece espressione d’uno stile europeo!”, ciò di contro a certi critici suoi compatrioti che agivano da detrattori legati all’anima völkisch. E, va riaffermato, l’espressionismo era in effetti più in sintonia coll’anima tedesca che sortiva fuori da un drammatico conflitto che aveva annichilito ogni ambizione tedesca e ne aveva lacerato la compagine sociale fin dalle fondamenta. In quel 1934 lungo un travagliato cammino verso la rinascita dalle macerie non è da credere che fosse soltanto l’attrazione che esercita sui nordici la gioiosa policromia italiana, si è inclini piuttosto a pensare che fosse soprattutto la simpatia tedesca per l'”alter ego” politico del futurismo ad insufflare vigore all’interesse dei tedeschi, tra i quali appunto un grande come Benn, per il movimento artistico fondato da Marinetti…
Vi sono dei bei documenti di questo importante incontro italogermanico, pensate che a pochi chilometri da questo luogo dove noi siamo, sulla via del Brennero, e a Trento, precisamente, la locale libreria universitaria custodisce il catalogo originale del 1934 di questa esposizione berlinese, nella versione tradotta in italiano. E qua e là, compulsando i volumi antiquarî e le raccolte fotografiche ho potuto vedere due fotografie assai significative: in una, su di un pulpito si riconosce un Gottfried Benn ancora giovane e non ancora calvo che pronuncia il suo saluto ai convenuti all’esposizione, nell’altra si vedono tre dame, tedesche sicuramente, le quali osservano con curiosità un grande dipinto a toni chiari e sul cui fondo in basso riconoscesi una firma: “Benedetta”!
(A questo punto il moderatore faceva segno che il tempo disponibile stava esaurendosi e invitava a concludere)
Ma il resto è altra storia e noi qui concludiamo con una nota veronese: all’esposizione futurista di Berlino del marzo 1934, furono esposti anche i quadri dipinti dai futuristi veronesi, Alfredo Glauro Ambrosi e Teobaldo Mariotti. Lo si legge nel catalogo di allora, oggi rarissimo reperto antiquario. Noi siamo posteri e possiamo soltanto cercar di intuire o scoprire quali quadri avessero avuto ospitalità in questo strano incontro di avanguardie europee, ciò per sapere con che figure la nostra città sulla via del Brennero abbia lasciato una sua pur piccola traccia…
(e qui seguiva un breve applauso del pubblico).
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Coda e ripensamento: a rileggere un discorso che era stato steso per un breve intervento e che doveva comunicare qualche cosa di meno noto e, se possibile, suscitare interesse per qualche nuova ricerca d’archivio, si appalesa uno strano salto nel passare dalle due branche formulate da Papini a proposito del futurismo, allo stringato elenco di movimenti futuristi nazionali. Come interpretare ciò? Una lettura pubblica in rari casi può essere pervasa da rigore; l’attenzione degli astanti non prescinde da effetti retorici e da emozioni. Nel rievocare la sferza di Papini, e le due scanzonate branche di futurismo e marinettismo, era come entrare con l’aeroplano entro un banco di nubi dal quale, uscendone, si rivedesse il panorama ma con la constatazione ch’esso era mutato. Ecco allora: nell’allocuzione veronese, l’ironia fiorentina stemperava un poco l’entusiasmo per il futurismo, e preparava la comprensione per una certa perplessità francese, inglese, tedesca nei confronti della scintillante esplosione italiana. Salutare perplessità perché a prospettive ristabilite, gli encomi sinceri di Pound e di Benn, i quali mai furon rinnegati da entrambi!, costituiscono una bellissima prova del valore avuto dal futurismo. Anche a dispetto degli esiti artistici che sono evidentemente assai varî e diseguali…