
“Vuote le mani, ma pieni gli occhi del ricordo di lei” è una folgore in rima. Fa cadere sulla terra l’inebrio del tatto, della vista, della malinconia. Un verso d’amore. Sì, ma per chi? Per una donna, per un tempo, per un luogo. Bisognerebbe chiederlo a chi lo scrisse, a quel Ibn Hamdis, nato a Noto o a Siracusa nel 1055 e morto a Maiorca (Spagna) nel 1133, che sta alla letteratura del Mediterraneo come Dante sta a quella italiana, Cyrano all’Olimpo francese, Shakespeare alla poesia di tutti i sentimenti.
Il “Canzoniere”
Di Hamdis resta un corposo Canzoniere (edizione in arabo del 1897), circa seimila versi di rara eleganza sonora e di struggente vocabolario, che testimoniano il fervore della scuola poetica siciliana, la culla della poesia medioevale nel nostro Paese voluta da Federico II, se nelle poesie di Jacopo da Lentini o di Stefano Protonotaro troviamo echi del poeta arabo. Quando si dice che la Sicilia è una terra di stratificazioni, si deve pensare anche a Ibn Hamdis. L’arabo che scappò dai Normanni in Africa e infine in Spagna, col cuore e la penna intrisi di profumi di Sicilia ha consegnato alle menti più sensibili e raffinate il suo mondo fatto di indignazione morale, di abbandono, di eros e di passione per la natura. Lo vide Leonardo Sciascia, l’arabo Sciascia di “Il Consiglio d’Egitto” o del microsaggio in “Sicilia e sicilitudine” dedicato ad Hamdis, lo vede Sebastiano Burgaretta, poeta contemporaneo nelle cui liriche si sente l’eco dell’arabo, e lo vide Franco Battiato, che tra l’altro lo celebrò in un concerto “diwan” in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, con le canzoni composte da Etta Scollo. E prima anche Francesca Corrao e Edoardo Sanguini.
Il francobollo in circolazione dal 30 giugno
Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha immesso in circolazione il 30 giugno in collaborazione con Poste Italiane e Istituto Poligrafico e della Zecca di Stato un francobollo dedicato al poeta. La serie è compresa in “Le Eccellenze del patrimonio culturale italiano”. Nel bozzetto di Emanuela L’Abate campeggia, si legge nel sito del ministero “una pianta di arancio liberamente ispirata a un verso del poeta arabo-siciliano dell’XI secolo Ibn Hamdis riportato in basso, Vedevamo i suoi aranci sui rami ondeggianti che si moveano agitati dal vento e sulla destra, è rappresentata la Triscele, simbolo della Sicilia, con il mare tratteggiato sullo sfondo”. Al Ministero avranno visto nell’arancia un agrume, nella Sicilia la posizione strategica, nel mare ciò che ci appartiene per tre quarti di territorio. Noi pensiamo agli aranci di Salvatore Quasimodo e n riconoscimento all’identità italiana, frutto di contaminazioni e di accoglienza. Qualcuno vi vedrà retorica o demagogia. Stavolta di fronte a questa scelta artistica importa solo che il francobollo sia nato anche dalla partecipazione di studenti di Lingua e Letteratura Araba dell’Istituto Italiano di Studi Orientali. Importa che vada ad arricchire quel collezionismo che faceva del francobollo, non solo un bene economico per lo Stato, ma un piccolo oggetto d’arte”, come Ermes Jacchia lo definì un secolo fa nella “Rivista Filatelica d’Italia”. E importa ancora di più il valore evocativo del francobollo, fosse solo per quel profumo di arancio e di zagara, un profumo pungente che tende il naso a quello dei gelsomini, citato da Pietrangelo Buttafuoco nel suo “Il dolore pazzo dell’amore” in cui, pure lui da devoto di Hamdis, chissà se per tramite di Battiato, insegnò non solo il bacio al sapore di gelsomino ma quell’attraversamento corsaro in cui trovare le nostre radici. Ora le radici viaggeranno nel mondo anche così, affrancando un francobollo a una mail. Si può fare?
Complimenti, un articolo evocativo che fa pensare
Ancora il luogo comune sulla Sicilia araba. La dominazione araba (meglio: berbera) in Sicilia fu un periodo di decadenza, come spiega bene Rodo Santoro (chi è? Scopritelo) e non solo lui. Federico II non sapeva l’arabo e non scriveva poesie in arabo. A proposito: nemmeno la Spagna islamica era un paradiso. Salutatemi Buttafuoco e Guenon.