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Genova. Blue economy e la sfida di logistica e infrastrutture per l’Italia

Il Belpaese l’Italia,  bagnato da tre mari, con 7.551 chilometri di linea di costa, è proiettato nel cuore del Mediterraneo, con evidenti interconnessioni geopolitiche a livello mondiale

by Mario Bozzi Sentieri
30 Giugno 2025
in Economia
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Blue economy

L’associazione degli agenti e mediatori marittimi Assagenti ha celebrato, a Genova, durante il mese di giugno,  gli ottant’anni, con una serie di eventi culminati in   un’assemblea pubblica dedicata proprio al ruolo in evoluzione degli agenti e mediatori marittimi, vere e proprie sentinelle dello shipping mondiale, alla loro storia e alla loro presenza nei momenti chiave della storia portuale genovese e non solo.

Non solo celebrazioni però.  Dal presidente di Assagenti, Gianluca Croce, è arrivata una proposta a operatori e istituzioni per consentire all’Italia di diventare punto di riferimento per la logistica del sistema produttivo nazionale ed europeo, superando i colli di bottiglia che la frenano: “In assenza di un dialogo – ha detto Croce – le vecchie chiavi non possono aprire nessuna serratura. Credo che debba essere creato qualcosa di nuovo, un organismo che consenta un dialogo permanente in cui cluster marittimo e industria manifatturiera si confrontino e risolvano i problemi comuni, raccolgano i claims sul cattivo funzionamento di importanti gangli del sistema, individuino le soluzioni possibili, esercitino pressione congiunta sulle istituzioni locali e nazionali per l’approvazione di nuove normative sulla semplificazione”.

Croce è stato molto esplicito e ha lanciato la proposta di un’alleanza fra il mondo del mare e l’industria di Piemonte, Lombardia e Emilia Romagna (i cui rappresentanti regionali hanno assistito all’assemblea), un fronte compatto che permetta di riportare nel porto di Genova anche i traffici che oggi scelgono gli scali del Nord Europa.

“Non un altro organismo che si sovrapponga a quelli esistenti, ma qualcosa di nuovo, una vera e propria control room e al tempo stesso un desk con obiettivi precisi”, ha spiegato Croce. Fra i temi che dovrebbe affrontare l’organismo il rispetto dei tempi di realizzazione delle nuove infrastrutture, strategie per superare le congestioni del traffico merci, digitalizzare e varare un piano di formazione omogeneo fra porto, logistica e industria con cuore a Genova.

Si tratta – e va messa in evidenza – di un’ulteriore assunzione di responsabilità da parte di un comparto essenziale per il sistema produttivo nazionale, che va ben oltre i ristretti ambiti di una categoria (gli agenti e mediatori marittimi), ponendo strategicamente alcune questioni essenziali, bene inquadrabili nel più vasto ambito dell’Economia del mare.

Di mare, specie in questa stagione, si parla spesso con lo sguardo rivolto ai fattori ludico-turistici del settore. Nessuno – sia chiaro – vuole contestare questa realtà. Ma c’è evidentemente dell’altro. A partire proprio da una    dimensione marittima   ineludibile per l’Italia,  bagnata com’è da tre mari, con 7.551 chilometri di linea di costa, proiettata nel cuore del Mediterraneo e con evidenti interconnessioni geopolitiche a livello mondiale. Sottovalutare questa “dimensione” pare impossibile. Eppure spesso è così.  Da qui l’invito a prenderne coscienza invertendo culturalmente, economicamente, e politicamente la rotta. A cominciare dalle proposte che vengono dagli operatori di settore e nella prospettiva di una Economia del mare strutturalmente articolata rispetto ai settori tradizionali, che comprendono le attività storiche legate al mare, come la pesca, l’acquacoltura, il trasporto marittimo, il turismo costiero e le costruzioni navali; attenta ai settori emergenti, che includono le attività che sfruttano le nuove opportunità offerte dal mare, come le energie rinnovabili marine, la biotecnologia blu, l’osservazione e la sorveglianza marina, la robotica e l’intelligenza artificiale applicate al mare, il turismo sostenibile e il patrimonio culturale marino; con una particolare attenzione alle infrastrutture, i servizi e le competenze necessari per sostenere lo sviluppo dei porti, delle reti di comunicazione, della formazione e dell’istruzione, della governance e della pianificazione marittima. Questi settori sono fondamentali per creare le condizioni favorevoli alla crescita dell’Economia del mare, ma devono essere coordinati e armonizzati tra loro e con le altre politiche pubbliche. Da qui la necessità – per riprendere l’invito dei vertici di Assagenti – di una vera e propria control room che si faccia carico delle nuove problematiche relative al mare.

Con in più – secondo una visione  metapolitica – un’attenzione tutta particolare ad una marittimità vista quale priorità della nostra narrativa nazionale. Economia e non solo dunque.  

“Quasi il 50 per cento del Pil nostrano – ha scritto Marco Valle in “Patria senza mare” (2022)  –  passa attraverso l’acqua salata anche per merito di una flotta mercantile importante — l’undicesima del mondo — e di un elevato livello tecnologico. Poi la pesca — abbiamo la terza flotta europea — i porti, la cantieristica, la nautica, il turismo. Prima della pandemia, come si evince dal “IX Rapporto sull’economia del mare” pubblicato dalla Federazione del Mare, il cluster marittimo tricolore   generava oltre 47,5 miliardi di euro all’anno che, per l’effetto moltiplicativo, attivavano altri 89,4 miliardi, l’8,6% del valore aggiunto prodotto nel 2019 dall’intera economia nazionale. Nel 2020 l’emergenza sanitaria ha colpito l’intera filiera (con una perdita complessiva di 10,7 miliardi) ma già l’anno dopo l’Istat ha registrato una crescita pari al + 4,7 per cento (+ 3,5 il dato Ue), un segnale di ripresa importante che conferma la vitalità del comparto. Su tutto veglia — virus o non virus, con molta professionalità ma con sempre meno navi — la Marina militare, un’eccellenza nazionale che, dallo scenario regionale sino all’Oceano Indiano e il golfo di Guinea (il “Mediterraneo allargato” o “Medio Oceano”), cerca di garantire presenza, traffici e interessi permanenti dell’Italia del mare”.

Ritrovare con “la persistenza della memoria”,  il senso di una cultura identitaria, di destini geopolitici, di necessità economiche attraverso cui  tracciare una prospettiva di lavoro: qui si gioca la partita del mare.

“Il mare –  come ha scritto recentemente il  Contrammiraglio (CP)  Nicola Silenti (su “Marittimi&Navi”) – non è solo una componente paesaggistica o romantica. È una risorsa economica, geopolitica, ambientale. È, per l’Italia, un destino. Riscoprire la vocazione marinara della nostra nazione significa restituire centralità a una cultura, a una memoria, a una funzione che può e deve essere attualizzata. Significa rimettere mano alle politiche portuali, sostenere la formazione professionale marittima, investire nella cantieristica, nella logistica, nella ricerca oceanografica. Ma prima ancora significa tornare a raccontare il mare”. E per farlo è necessario che la politica, la cultura, l’impresa, la scuola, tutti i gangli vitali della nazione tornino a guardare al mare come risorsa e come destino, come cultura e come scelta politica. “Mobilitando” le categorie interessate e valorizzando/coordinando competenze. Magari pensando alla ri-costituzione di un “Ministero del Mare”: un passaggio significativo che può riaccendere un interesse nuovo sullo storico rapporto tra l’Italia ed il mare, ma che certamente – come ha invitato a fare Valle – richiede di visioni e di pensieri lunghi per dare forza ed organicità all’opera di ricostruzione: impresa non facile e tutt’altro che scontata, per la quale è però decisivo impegnarsi ad ampio raggio.  Ne va dei nostri destini nazionali. 

​​​​​​Mario Bozzi Sentieri

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