
Attaccando l’Ucraina, il 22 febbraio 2022, Vladimir Putin forse ignorava quanto quell’avventura caotica, che doveva durare poche settimane, avrebbe sconvolto la geopolitica. Gli attacchi israeliani contro l’Iran scatenati dallo scorso 13 giugno, ne sono la conseguenza.
Concentrando i suoi sforzi su Kiev, Mosca lascia campo libero a iniziative, altrettanto azzardate, fra cui quella di Hamas del 7 ottobre 2023. La risposta dello Stato ebraico è tanto prevedibile quanto spietata: Tel Aviv si scatena anche sullo Hezbollah libanese e sull’Iran. Spinti dal principio di opportunità, i resti dell’Isis in Siria ne approfittano per abbattere Bashar el-Assad in pochi giorni. Infatti Hezbollah non può più venirgli in aiuto e neppure il Cremlino, troppo occupato in Ucraina.
Risultato? L’arco sciita da Teheran a Beirut, via Damasco non esiste più, privando l’Iran di ogni profondità strategica. Per sistemare le cose, Donald Trump negozia direttamente con gli Huthi yemeniti, ultimo alleato dell’ayatollah Khamenei. Di quel principio di opportunità di cui ha approfittato l’Isis, Israele si appropria, attaccando l’Iran al momento giusto, perché l’inquilino di ritorno alla Casa Bianca non può negare quasi nulla a Benjamin Netanyahu.
Ne sono prova le rivelazioni di Adrien Jaulmes, corrispondente di Le Figaro a Washington, il 14 giugno: “I negoziati fra Usa e Iran, riaperti da Trump a sorpresa in aprile, erano parsi sventare i piani di Netanyahu contro il programma nucleare iraniano». Ma, sempre secondo la stessa fonte, “Trump e i suoi consiglieri avrebbero finto di opporsi a bombardamenti israeliani. L’obiettivo era convincere che l’attacco non era imminente ed assicurarsi che i militari e gli scienziati iraniani. inclusi nelle liste dei bersagli di Israele, non prendessero particolari precauzioni”.
L’inganno diplomatico
Per completare la copertura, alcuni collaboratori di Netanyahu avevano dichiarato ai giornalisti israeliani che Trump aveva tentato di ritardare un attacco israeliano con una telefonata, lunedì 10 giugno. Citando l’International Crisis Group, think tank statunitense, Adrien Jaulmes nota però: “Ciò non era conforme alla strategia del presidente americano. Netanyahu ha forzato la mano a Trump». Insomma, non si saprà mai chi tiene le redini della pariglia americano-israeliana, chi è il padrone e chi il cane.
Militarmente, l’operazione israeliana riesce. Ma, una decina d’anni fa, un diplomatico iraniano assicurava chi scrive: “Con i missili S-300 forniti dai russi, l’Iran è santuarizzato. Se 100 aerei israeliani attaccano, solo una ventina usciranno intatti”. È il 2010.
Colpire da lontano
Per certi aspetti, questa guerra non è comparabile agli altri conflitti che hanno insanguinato il vicino Oriente, poiché i belligeranti non hanno frontiera comune. Il vantaggio arride quindi più a chi padroneggia meglio il progresso, che consente di colpire da lontano, rispetto a chi può schierare più soldati.
Così, il 26 aprile 2012, si può leggere a firma del giornalista Armin Arefi: «Il vento sta girando sull’Iran? Il rischio di attacchi israeliani – e addirittura di una guerra regionale –, presentato come inevitabile ancora poche settimane fa, sembra inesorabilmente allontanarsi. La svolta risale a quando due responsabili israeliani – il ministro della difesa Ehud Barak e il capo di stato maggiore Benny Gantz – annunciano che la Repubblica islamica non ha deciso di dotarsi della bomba atomica. Un’informazione in realtà nota da anni ai vari servizi d’informazione americani, ma anche israeliani».
Cosa che Tel Aviv non doveva temere, giacché Le Point rendeva ufficiale, il 26 aprile 2012, quel che si scriveva in redazioni meno in vista: le dichiarazioni di Mahmoud Ahmadinejad erano state deformate da un errore della traduzione in inglese, non si sa se volontario. Da ciò la tardiva messa a punto del settimanale: «In un’intervista a Al Jazeera, ripresa dal New York Times, Dan Meridor, ministro israeliano dei servizi d’informazione e dell’energia atomica, ha ammesso che il presidente iraniano non aveva mai detto: “Israele deve essere cancellato dalla carta geografica”. E ha aggiunto al contempo: “Mahmoud Ahmadinejad e l’ayatollah Khamenei hanno ripetuto a più riprese che Israele era una creatura artificiale e non sarebbe sopravvissuta”.
Regime change
Dal canto suo Régis Le Sommer, Le Journal du dimanche, scrive in fondo la stessa cosa: “L’era del carpet-bombing è finita, ma Netanyahu ci crede ancora per soddisfare una parte della sua opinione pubblica”. E soprattutto giocare con l’orologio, per non comparire dinanzi alla commissione d’inchiesta, per le negligenze dimostrate di fronte al massacro commesso da una Hamas che è riuscita a spazzar via Tsahal, esercito pur ritenuto onnipotente, il 7 ottobre 2023.
Avere l’egemonia tecnologica sul breve periodo è una cosa. Avere una visione politica sui tempi lunghi è un’altra. Prima o poi, Netanyahu potrebbe impararlo, anche se a sue spese. (da Elements)