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“Il confessionale dei penitenti neri” e il fascino del gotico della Radcliffe

La narrazione si sviluppa nella solare terra campana. Ambientato nel 1764 il romanzo racconta le ardue prove a cui viene sottoposto l'amore di Vincenzo di Vivaldi ed Elena di Rosalba

by Lorenzo Ferrara
29 Giugno 2025
in Cultura
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Il confessionale dei penitenti neri, della Radcliffe

Londra -“La signora” Ann Radcliffe, come la chiamava Edgar Allan Poe, nasce il 9 luglio 1764 dalle parti di Holborn, a Londra, deve esserci una targa che la ricorda, presto andrò alla sua ricerca. Il padre – William Ward – aveva un negozio nei pressi, forse di mercerie o di tessuti pregiati.
La sua bravura come autrice di testi “noir” è indiscussa, altrettanto la sua riservatezza.
Non so se hai presente quel mattone di circa 500 pagine che va sotto il nome de “Il confessionale dei penitenti neri”. Ebbene non è affatto un mattone, ma un romanzo a forti tinte dove amore, delitto e panni molto sporchi si mescolano in una storia che avvince, dove i colpi di scena abbondano. Quale ambientazione migliore della brumosa Scozia, dove sorgono diroccati e sinistri castelli? Te diresti, prendendo un granchio. La narrazione invece si sviluppa nella solare terra campana. Ambientato nel 1764 il romanzo racconta le ardue prove a cui viene sottoposto l’amore di Vincenzo di Vivaldi ed Elena di Rosalba. Le psicologie dei personaggi di alto livello, sapientemente tratteggiate, ce ne sono a sazietà. Un’opera equilibrata dove i cattivi sono proprio cattivi e i buoni non abbandonano i loro ideali di amore e purezza nemmeno se minacciati dalla santa Inquisizione e da frati e suore non proprio raccomandabili. Da ultimo sono i buoni a trionfare con tanto di happy end finale. Ma che calvario! Intanto ti sei sorbito 500 pagine della vivace scrittura. Così The Edinburgh Review: «Non appariva mai in pubblico, né si mescolava nella società, ma si teneva defilata, come il soave usignolo che canta le sue note solitarie, celato e non visto».
Fughe, agguati, rapimenti, delitti, separazioni strappalacrime. Non voglio toglierti la sorpresa di leggerlo. La penna della Radcliffe ti fa calare nei sotterranei labirinti dell’Inquisizione dove chi confessa è perduto e chi non confessa è perduto lo stesso. Un fumettone gotico di gran classe dove i cattivi hanno la faccia da farti raggelare il sangue e i buoni ti inducono a fare la coda per ottenere il loro autografo. Tutto fila dunque? Non proprio. Perché per leggerlo devi essere un lettore accanito, uno che non molla, anche se la narrazione si fa pesante. Nell’introduzione di Giorgio Spina: “lo scavo psicologico appare più velleitario che un dato reale, tanto che nella vicenda si muovono non già degli esseri umani, in carne ed ossa ma delle figure stereotipate dalle convenzioni del tempo, quasi dei pretesti letterari per giustificare il susseguirsi dell’azione. Prolissità e scrupoli razionalistici, se sminuiscono l’impressione di terrore a cui è da presumersi l’autrice avesse teso non riescono tuttavia a svalutare l’importanza di questo capolavoro.” Infatti l’autrice razionalizza, illustra i meccanismi dell’azione pregressa con l’intenzione di spiegare nello spirito illuministico che intende trovare una ragione a tutto. Ma così la narrazione si fa pesante, il ritmo rallenta e poi confonde perché le soverchie spiegazioni rischiano di far deragliare la vicenda. Eppure l’opera è un classico, l’inaugurazione del romanzo gotico nero, nello specifico una storia “opulenta”, un lavoro letterario di gran classe dall’iperbolico intreccio che illustra un’epoca. Radcliffe fa le cose sul serio, narrando la discesa agli inferi nelle segrete dell’Inquisizione. Maestra di incubi e tormenti che tuttavia “solo” suggerisce senza mai mostrarli, come fa invece Poe, giocando su effetti da film dell’orrore. Qui un padre frate sta per pugnalare la figlia diciottenne senza sapere che è lei, ma solo dopo si scopre che la vittima designata non era la figlia.

Mi viene in mente la frase di un critico che all’uscita di Horcynus Orca di Stefano d’Arrigo scrisse: “avrebbe potuto essere un capolavoro”. “Il confessionale dei penitenti neri” è un capolavoro a metà, tutto amore contrastato, delitto e colpi di scena, con personaggi soavi come suor Olivia, filibustieri omicidi che sono diventati frati senza redimersi. Ma c’è un altro elemento interessante che nutre la vicenda, giocando un ruolo di spicco: il paesaggio, l’Italia del centro sud vista da una londinese che non era mai stata in Italia e che immagina com’è Napoli. Onore alla sua fantasia. Senza troppo azzardo vedo un legame fra il paesaggio della Radcliffe e quello di Fogazzaro in Malombra, non più illuministico ma melodrammatico e romantico, un paesaggio psicologico, visto che interpreta le nature tormentate dei protagonisti. E ancora il paesaggio anche se di tutt’altro tenore e vastità, quello incontrato da Charles Darwin nel suo viaggio intorno al mondo sul brigantino Beagle, anche se in questo caso non c’è romanzo, ma ricerca scientifica. Cos’hanno in comune il teatro naturale del mondo col paesaggio descritto da Radcliffe e Fogazzaro? Un’eredità, un tratto specifico, di grande valore: la natura intonsa, che durava da millenni, prima che l’uomo con le sue devastanti azioni la corrompesse.

Lorenzo Ferrara

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Tags: Ann RadcliffeIl confessionale dei penitenti neri

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