
Gentile direttore,
chi le scrive è un suggeritore che le fredde analisi di mercato dell’editoria chiamerebbero un lettore forte. Che si trova a rischiare di non esserlo più. Non starò qui a fare il cahier de dolèances del panorama attuale e contemporaneo delle lettere, italiche o no che siano. Tanto, son cose che si conoscono già. Mi ritrovo, però, sul liminare dell’estate a bramare una buona lettura. Un’ottima lettura. Non sapendomi decidere, mi permetto di chiedere consiglio a Lei e alla comunità di Barbadillo, i cui consigli finora non m’hanno mai tradito.
Quello che cerco, non lo so manco io. Mi spiego meglio. Qualcosa la so. So, ad esempio, che non leggerei un testo di attualità, l’ennesimo istant book su nessuno delle mille e una notte della difficile contemporaneità (ma non lo sono state e non lo saranno tutte, le contemporaneità, difficili?). Non leggerei un testo di militanza, qualunque essa sia. Non leggerei niente che abbia la spocchia di volermi insegnare a stare al mondo: di maestri e maestrini ne abbiamo avuti tanti, troppi e ça suffit.
Questo è ciò che so. Anzi, no. So che ciò che cerco è un libro che abbia il calore del sole, il profumo del mare, il fruscio degli ulivi, la carezza della brezza. O, quantomeno, che sappia darmi l’idea di qualcosa che non passa. Cosa a cui affidarsi e su cui fare affidamento, un ritorno a Itaca. Basterebbe, però, un ritorno alla terra, non per forza alle radici. Già basterebbe, mi sento, riappropriarsi della concretezza del fiore di ciliegio, nell’era digitale che ci trapassa, di raggi e di verità un tanto al byte.
L’estate è arrivata e io cerco un libro da leggere sul quale potermi soffermare per una stagione intera. Che mi spinga a risalirne la corrente, ad appassionarmi. Insomma, che mi restituisca la gioia di leggere, di ricercare e di studiare per il gusto, non la necessità, di farlo. Che sappia fermare il tempo, consentendomi di riempirlo.
Gratissimo