
Riccardo Rosati, edito da Tabula Fati
“Un uomo per tutte le stagioni” (“A man for all seasons”) è il titolo di uno splendido film del 1966
tratto da un’opera teatrale che ha per soggetto Tommaso Moro, diretto da Fred Zinnemann e
interpretato dall’attore shakespeariano Paul Scofield. Leggendo “Lo schermo immaginario” di
Riccardo Rosati, edito da Tabula Fati ormai quasi 10 anni fa – particolarmente dopo aver letto
“Cinema e società; al di là della critica”, che ne è il sequel, tanto per usare un termine
cinematografico – è impossibile non pensare a questa definizione, e non soltanto perché l’“Utopia”
di More è apertamente citata nel volume.
Nel volume si alternano recensioni di film e saggi, accomunati dal genere, “di genere”, ci si perdoni il gioco di parole, ma soprattutto dalla volontà, condivisa, pur nelle rilevanti differenze metodologiche, con altri studiosi come Gianfranco de Turris e Pietro Guarriello, di ridare una dignità letteraria e cinematografica a prodotti considerati “di serie B” troppo a lungo: “B movies”, appunto. E poco cambia che l’autore, se interpellato, risponderebbe a mo’ di battuta, con un pizzico di understatement assolutamente british, che non c’è bisogno di ridare dignità a qualcosa che già la ha di suo, come fece qualche decennio fa Massimo Cacciari in una storica intervista dove gli si riconosceva il merito di aver “sdoganato” Ezra Pound in Italia.
Tra gli argomenti trattati, decisamente variegati (si spazia dal cinema di Ishirô Honda a George Pal e agli adattamenti cinematografici dei racconti di HPL) colpisce particolarmente il saggio che confronta due delle saghe spaziali più amate dal pubblico: Star Trek e Star Wars. E se la
contrapposizione tra elemento positivistico/scientista della prima ed elemento religioso/umanistico della seconda risulta abbastanza consolidata in dottrina, il paragone di Star Trek con l’Odissea suscita in noi, classicisti non pentiti, il riflesso – finora, credo, inedito – di provare a stabilire un’analogia tra Star Wars e l’Iliade, anche se vi è chi individua, e non a torto, il primo esempio di romanzo fantastico della Grecia Antica nelle “Argonautiche” di Apollonio Rodio. Se in ST, infatti, al centro della narrazione c’è il viaggio e la scoperta di nuove civiltà, nonché la simbologia della nave, ancorché spaziale, al cuore delle “Guerre stellari” e dell’Iliade c’è, ovviamente, una guerra: una guerra che, nell’Iliade, al netto delle motivazioni che attengono alla poesia, è con tutta probabilità una guerra di espansione di una civiltà, quella micenea, che vuole imporsi sulle altre, waging war sul loro stesso territorio in forza di una superiorità bellica,
economica, tecnologica e perfino etica. Va segnalato che l’elemento etico/morale, di peso inferiore nell’Iliade pagana, assume invece una rilevanza centrale nelle “Guerre stellari”, d’altronde di matrice idealmente “cristiana”, che assumono la forma di una sorta di “guerra civile”/resistenza dei Jedi contro l’entità che tiene in scacco la galassia, l’Impero.
Con questo parallelismo, forse un poco ardito, non ci sembra però di allontanarci troppo dallo
“schema” di Alberto Scacco citato e condiviso da Rosati, che individua le due anime della
fantascienza (e, più in generale, del fantastico) da una parte nella lotta dell’uomo contro le sue
debolezze, incarnate da un demone o da un Lato Oscuro, e dall’altra nell’eterna sfida dei moderni Ulisse che si spingono verso luoghi ignoti alla ricerca della conoscenza.
E perfino Calvino, che pecca nel definire, con un po’ di sufficienza, “narrativa minore” e
“letteratura d’intrattenimento” tout court ciò che i contemporanei definiscono “di genere”,
acutamente riconosce una verità palese anche al più ignaro dei bambini, o al più ingenuo dei
“selvaggi”: “È soprattutto la narrativa minore a rivelare risorse mitopoietiche senza fine; atlanti
interi di contrade visionarie escono dalla penna di abili professionisti della letteratura
d’intrattenimento”.

Non è un caso che il sopracitato film su Thomas More dichiari orgogliosamente, già sulla
locandina, il proposito alquanto ambizioso di essere “A motion picture for all times!”, proposito,
diremmo, che invece di riuscire al film biografico in sé, piuttosto ostico per un pubblico generico, è riuscito all’opera scritta del suo autore, che ha ispirato tante delle storie di fantascienza predilette dalla Settima Arte. E proposito che, secondo chi scrive, è stato coronato da successo, nell’ultimo trentennio, per un film fantasy: la trilogia del “Signore degli Anelli” diretta da Peter Jackson. Lungi da noi, adepti del “genere”, essere troppo arroganti o dormire sugli allori per queste più o meno modeste conquiste, però; ci sia di monito la fine fatta dal padre del successo letterario in questione: Sir Thomas è morto giustiziato per essersi rifiutato di prestare giuramento a Enrico VIII, frattanto divenuto capo della Chiesa. Le sue ultime parole sono state: “È così che muore la libertà: sotto scroscianti applausi”.
… Ah no, “Muoio fedele servo del re, ma prima di Dio”.
Ma c’è poi tutta questa differenza?