
Aridea Fezzi Price è stata un volto di un’Italia che non rivedremo. Ci ha lasciato un anno e pochi mesi fa. Ma barbadillo.it non ha bisogno di convegni: ricorda perfettamente e perciò ha sentito colleghi e amici di Aridea, che l’hanno vista a Londra e a Milano.
Una romantica signora inglese
“L’ultimo cartoncino col pettirosso – racconta Domizia Carafoli – è ancora infilato nella cornice dello specchio, in ingresso, arrivato da Londra a ridosso del Natale 2023, come ogni anno. Ci scrivevamo dai rispettivi computer, ma Aridea gli auguri li mandava solo per posta, con cartoncini accuratamente scelti e scritti con la stilografica.
“Il robin, il pettirosso simbolo inglese dell’inverno, era immancabile. Poi Aridea, giornalista, è morta improvvisamente l’8 marzo 2024, sola nella casa londinese. Mi venne così a mancare la ‘leggerezza dell’essere’ di una giornalista e di un’intellettuale di carattere caparbio e deciso, attentissima all’attualità quanto “antimoderna”, addirittura elitaria nelle scelte culturali e personali. Espressione di un ambiente brillante e cosmopolita, che la globalizzazione dei ‘meme’ e dei ‘like’ ha cancellato.
“Nel servizio cultura de ‘Il Giornale’, per il quale lei scrisse fin dalla nascita del quotidiano nel giugno 1974, la chiamavamo scherzosamente ‘la romantica signora inglese’. Infatti della cultura britannica era la nostra ambasciatrice, mentre le sue recensioni, come le sue raffinate traduzioni (per Sellerio, Neri Pozza, Settecolori) abbracciavano campi più vasti.
“Per la pagina settimanale dedicata all’arte, di cui mi occupai per un decennio con un manipolo di collaboratori, lei recensiva le grandi mostre britanniche. Che fossero i fiamminghi alla National Gallery o il sognante (e inquietante) William Turner alla Tate Britain, il racconto era sempre profondo, meditato, anche se immune dal tono altezzoso di chi scrive per gli addetti ai lavori. Aridea scriveva con chiarezza.
“E’ passato più di un anno dalla sua scomparsa. Non so quanti pettirossi abbiano popolato l’inverno inglese appena trascorso. Quello arrivato con gli auguri scritti con grafia elegante e la firma ‘Deda’, che usava per gli amici, sopravvive allo scorrere del tempo”.
Stefan Zweig
“Da oltre un anno – dice Maurizio Cabona – non c’è più Aridea Fezzi Price (cognome del marito, canadese). Il sindaco di Milano e il comitato selezionatore non le hanno dato un posto nel famedio del Cimitero Monumentale di Milano. Come diceva Leo Longanesi, certi onori non basta rifiutarli; non vanno meritati. La Milano che tiene vivo il ricordo di Aridea è in questo o quell’appartamento. Anche nel mio, dove i libri di Stefan Zweig, che le donavo a ogni passaggio, la aspettano ancora. Ne prendeva sempre, ma anche sempre meno, perché il peso che poteva portare con sé diminuiva. Il suo Stefan Zweig preferito era ‘Il mondo di ieri’: in anni recenti quelle memorie hanno ispirato un film di Wolfgang Becker, poi uno di Wes Anderson, ‘Grand Hotel Budapest’.
Forse Zweig illudeva anche noi di frequentare solo gente per bene quando ci accadeva il contrario, proprio tra residui del primo ‘Giornale’, epoca Montanelli, classe 1909. Che anno per nascere quello! Il Titanic era ancora un progetto di transatlantico a Belfast; la sterlina era la valuta che anche il dollaro invidiava; tornato da Belgrado e Costantinopoli, Giuseppe Volpi aveva già un palazzo sul Canal Grande. Al suo tavolo, un secolo dopo, genovese prestato all’Adriatico, mi sarei seduto da amico del figlio. Altri tempi”.