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Aspide. Marina Cvetaeva e il giudizio universale (clemente) verso i poeti

“Grida dai tetti il suo amore per me” (Magog), a cura di Davide Brullo offre uno spaccato inedito della vocazione dell'artista russa

by Camilla Scarpa
4 Luglio 2025
in Cultura, Libri
0
Marina Cvetaeva

Il 31 agosto 1941 Marina Cvetaeva, poetessa e traduttrice moscovita per cui nella Mosca degli anni del comunismo di guerra non c’era più posto, si suicida, lasciando in custodia a Nik Aseev, anche lui poeta – anzi, “una bomba di poeta”! -, il figlio diciassettenne avuto con Sergej Efron, Georgij, detto “Mur”, che di lì a un mese e mezzo, in ottobre, avrebbe perso anche il padre, arrestato nel dicembre 1937 e quattro anni dopo giustiziato, e poi sarebbe morto lui stesso in guerra, nel luglio 1944. 

Senza sapere questo, la voce del giovane Mur, pragmatica e disincantata, che ci giunge forte e chiara dalle pagine di “Grida dai tetti il suo amore per me” (Magog, edito nel giugno 2022, euro 12, traduzione e cura di Fabrizia Sabbatini), bel volumetto che raccoglie alcuni scritti sull’arte e la vocazione poetica della scrittrice e il diario di suo figlio  potrebbe sembrare meno reale, e perfino meno realistica, di quelle di Pasternak e Cvetaeva in “Un alfabeto nella neve”, parto invece della fantasia brulliana, che interpreta secondo lo spirito, e non secondo la lettera – ma secondo le lettere sì, trattandosi di un epistolario! – la storia d’amore tra i due grandi letterati russi. 

Uno struggente addio

“Grida dai tetti il suo amore per me” (Magog)

Alla luce di questi scarni fatti storici, che peraltro non sono neppure le uniche avversità che Georgij e sua madre dovettero affrontare (al conto vanno aggiunti almeno la morte di stenti di Irina, la prima nata, a neanche tre anni, e l’arresto della figlia maggiore, Ariadna, risalente al 1939), risulta più facile per un verso comprendere lo struggente addio di Marina, che raccomanda al figlio in un biglietto: “Dì a papà e ad Alja, se li vedi, che li ho amati fino all’ultimo minuto, e spiega loro che mi trovavo in un vicolo cieco”, e, d’altro canto, digerire (termine oltraggioso, ce ne rendiamo conto, nei nostri tempi di abbondanza, per riferirci a quei tempi di code per il pane e di zuppe… di chiodo, oltre che di falce e martello!) l’apparente cinismo con cui Mur, appena ragazzo, riesce a metter su carta le sue variegate impressioni, dai primi turbamenti della pubertà alle riflessioni sulla società sovietica. 

“La cosa più difficile è arrivare, la cosa più terribile essere arrivati”, scrive, quasi profetico, ma anche “Bisognerà ricostruirli, un domani, gli intellettuali russi”, e “Non vale la pena giocare al comfort, il comfort non è un prodotto russo”. 

Nondimeno, mentre la Cvetaeva verga sui fogli, quasi con il proprio sangue, verità di fede e sull’arte che illuminano e colpiscono come folgore – “Un approccio all’arte non esiste, perché è lei che ti prende (S’impossessa di te prima ancora che tu possa arrivarci)”, e “Che cosa possiamo dire su Dio? Niente. Che cosa possiamo dire a Dio? Tutto” -, il povero Mur, che, sopravvivendo, avrebbe fatto di certo la fortuna di qualche psicanalista junghiano, appunta un po’ malmostoso, come ogni adolescente che si rispetti, d’altronde: “Grida dai tetti il suo amore per me, pare sia stato questo a spingerla a tanto. Ma ora deve dimostrare con i fatti di aver capito ciò di cui ho più bisogno” e “da quando abbiamo lasciato Mosca ho smesso di interessarmi a tutto e ho rinunciato totalmente al mio diritto di replica. Che se la cavi da sola!”.

Ma, si sa, ubi maior, minor cessat, e la Cvetaeva questo se non lo sapeva benissimo lo intuiva; già nel 1932, ne “L’arte alla luce della coscienza”, riferendosi alla missione del poeta, scriveva:

“E, sapendo questo, dopo averne scritto in piena facoltà mentale e con chiara memoria, affermo in non meno piena facoltà mentale e con non meno chiara memoria che non cambierei la mia causa con nessun’altra. E più lo so e meno creo, dunque non mi aspetto indulgenza. Solo a quelli come me si chiederà conto della coscienza nel Giudizio Finale. Ma se dovesse esistere un Giudizio Finale della parola, davanti a esso io sarò pura”. 

Insomma, Poesia 1- psicanalisi 0…

 

Camilla Scarpa

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Tags: aspideGrida dai tetti il suo amore per memagogMarina Cvetaeva

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