
La pervasiva capacità dei nostri mezzi di comunicazione di influenzare e modellare, in svariati campi e attraverso l’utilizzo di strumenti più o meno sofisticati, gli orientamenti e gli stili di vita della maggior parte della popolazione è ormai da tempo un dato di fatto difficilmente confutabile, per non dire scontato. Quando l’oggetto della narrazione catalizza su vasta scala intorno a sé l’interesse delle opinioni pubbliche, come nel caso del conflitto russo-ucraino, può presentarsi a maggior ragione il rischio che la diffusione di verità preconfezionate sia accompagnata dalla tendenza a restringere ulteriormente gli spazi di formazione del libero – e critico – pensiero.
Spariglia senza dubbio le carte in tavola il libro di cui qui ci occupiamo, frutto di un lavoro metodico impreziosito dall’approccio interdisciplinare dell’autore (Emmanuel Todd, storico, sociologo ed antropologo), “debitore” del filone realista delle relazioni internazionali e osservatore acuto delle dinamiche economico-finanziarie che determinano l’agenda della competizione politica.
Una chiave di lettura tutt’altro che convenzionale muove da un chiaro punto di partenza, non soltanto nel caso del principale evento analizzato. Il motore del periodo storico che stiamo vivendo è una profonda crisi dell’Occidente, che investe i concetti di sovranità e di Stato-nazione, trova terreno fertile nella scomparsa della religione, ha spazzato via l’etica del lavoro e un insieme di valori e sentimenti che prima tenevano insieme collettività oggi totalmente in balia dei processi di atomizzazione sociale, prospera nell’incorreggibile narcisismo che alimenta l’errata convinzione di trovarsi al centro del mondo e l’inconsapevolezza del proprio isolamento.
Il caso Usa
Il vuoto attanaglia in prima istanza l’indiscusso protagonista del suddetto schieramento: gli Stati Uniti, infatti, sono senza troppe perifrasi etichettati come una realtà “nichilista e post-imperiale in disfacimento”, inermi di fronte all’arretramento della propria classe media e alla progressiva sostituzione della cultura Wasp (White anglo-saxon protestant) ad opera di un agglomerato di vertice non più referente di un sistema d’idee, ma pronto a rispondere agli impulsi della ristretta rete da cui proviene, propenso a sovrastimare le minacce esterne e orientato alla pura e semplice spartizione del potere.
Il fenomeno si è progressivamente esteso alle altre oligarchie liberali occidentali, attraversate dalla contrapposizione tra le tentazioni militariste di ceti dirigenti dissennati e una rappresentanza popolare in genere pacifista, supponenti al punto da non ammettere l’esistenza di concorrenti e quindi indebolite in partenza nel confronto con la democrazia “autoritaria” russa. Le riflessioni sulle caratteristiche degli antagonismi di tipo economico – la mutazione del proletariato dei paesi occidentali in una plebe che vive anche del lavoro di altri popoli, la globalizzazione intesa come delocalizzazione delle attività produttive e ultimo stadio della società dei consumi – e antropologico, ossia l’esistenza di strutture familiari e di sistemi di parentela alternativi a quelli consolidati alle nostre latitudini, sono propedeutiche a quelle che catalizzano l’attenzione sulla guerra.
I media occidentali
A scanso di equivoci l’aggressione innescata il 24 febbraio 2022, ascritta a un plausibile errore di calcolo di Vladimir Putin, è condannata senza mezzi termini. Fatta questa doverosa premessa, trovano ampio spazio gli approfondimenti che fotografano un’azione di autodifesa contro l’ingiustificata espansione della Nato verso est, denunciano le distorsioni dei media occidentali che hanno un po’ ingigantito la resistenza di Kiev (comunque sorprendente in considerazione dei folli livelli di corruzione interna, del dominio degli oligarchi sui settori industriali strategici e di uno Stato sull’orlo del fallimento, della consistente emigrazione e del massiccio calo demografico precedenti l’inizio del conflitto) e rivelano la sottovalutazione del fatto che la lentezza dell’avanzata russa è stata determinata dalla scelta deliberata di risparmiare uomini.
Interrogativi elusi
Le constatazioni sui tratti peculiari di una contesa dolorosa e aspra, ma non di alta intensità come narrato da più parti, si sovrappongono a interrogativi cruciali colpevolmente elusi (perché “correre il rischio di uno scontro termonucleare con Mosca?”), a incomprensibili errori di prospettiva (è stata veicolata a lungo, per esempio, l’ipotesi che l’invasione avesse indispettito la Cina al punto da indurla ad azioni clamorose, puntualmente non verificatesi) e alle domande sulla reale efficacia delle sanzioni economiche, approvate da esecutivi nazionali rappresentativi del 12% della popolazione mondiale e neutralizzate già nel 2014 dal Cremlino, abile ad adattarsi all’esclusione dal sistema bancario Swift. Il resto del mondo ha sostenuto la Russia (a cominciare dai componenti dei Brics, senza dimenticare i buoni rapporti diplomatici con i turchi e con i sauditi) negli sforzi tesi a smantellare l’Alleanza atlantica, ha acquistato il suo petrolio e fornito attrezzature necessarie per lo sforzo bellico; a ciò si è aggiunta l’aggravante che i ceti più deboli sono stati colpiti dall’aumento dei tassi d’inflazione soprattutto in Europa. Ancor meno le classi dirigenti di quest’ultima hanno tenuto conto della cronica dipendenza energetica: la vicenda del sabotaggio dei gasdotti Nord Stream – incalza l’autore – richiama le responsabilità dirette della Casa Bianca e della Norvegia, fedele alleato diventato rapidamente uno dei principali fornitori di gas del vecchio continente.
Il realismo
A far da contraltare al mancato rispetto dei diritti delle minoranze e delle restrizioni alla libertà di stampa, alcuni indicatori socio-economici (un buon tenore di vita generale, il primato mondiale nell’esportazione dei prodotti agricoli) rispecchiano nel caso della Russia l’immagine di un paese in cui i valori comunitari promuovono la compattezza nazionale e l’idea che lo Stato definisca le proprie politiche in modo indipendente, senza ingerenze o influenze esterne. Derubricate a reperto archeologico le strategie espansionistiche dell’era sovietica, le dottrine militari più aggiornate si basano sulla realistica presa d’atto di debolezze intrinseche (quali il netto calo della popolazione) e non possono permettersi minacciosi progetti d’invasione verso ovest, nonostante quanto viene talvolta fantasiosamente argomentato.
Euromaidan
Un ulteriore elemento stimolante coincide con un evento preciso: l’Euromaidan si erge, infatti, non solo a momento cruciale della scelta di un’intesa economica con l’Unione Europea, ma anche a simbolo dell’evaporazione dell’Ucraina russofona come forza politica autonoma. L’interpretazione deve essere ovviamente inserita nel contesto di un excursus che certifica l’esistenza di un risentimento covato a lungo (non riducibile all’ultimo tratto inaugurato con l’operazione militare speciale) e talmente radicato da essere associato a un fattore di strutturazione sociale.
Oltre alla nota bipartizione linguistica, minacciata dall’obiettivo neanche troppo nascosto dell’esecutivo di Zelensky di eliminare ex lege il russo, emerge una spaccatura in tre realtà: una occidentale ultra-nazionalista, rurale e sovra-rappresentata nell’elite politica, in cui prevalgono la famiglia nucleare e una tradizione religiosa greco-cattolica; una centrale anarchica e ortodossa, che trova la sua espressione più vistosa nei corpi militari e nelle forze di polizia; una sud-orientale, in passato popolata da russi, controllata solo in parte dagli oligarchi e oggetto primario della contesa.
Siamo in altri termini di fronte a un’“entità politica non identificata”, indebitamente accostato alle democrazie liberali ma, a ben vedere, senza Stato né classe media, con una struttura centralizzata riconducibile a quella di un’organizzazione militare-poliziesca finanziata da Washington e dipendente dall’esterno.
I paesi scandinavi
Con l’intento di rendere il quadro esaustivo, Todd s’incunea nella condotta di alcuni paesi minori e ne indica la netta controtendenza rispetto al passato. A lungo neutrali, Svezia e Finlandia hanno manifestato uno spropositato bellicismo prima del 2022 e aderito frettolosamente alla Nato; anche la Danimarca, base delle intercettazioni della National Security Agency sul suolo europeo, è inclusa nel dispositivo americano, così come l’esplosione dell’ostilità verso il regime di Putin nell’est, lungi dall’esprimere un’autentica vicinanza all’occidente, si avvicina piuttosto a una negazione della realtà storica e sociale. Rafforza tale convinzione l’improvvisa concordia tra e Polonia e Ucraina, in precedenza dominata a lungo dalla prima.
Mutati gli scenari e le principali direttrici della geopolitica, la sopravvivenza materiale dell’ex superpotenza d’oltreoceano dipende dalle capacità di controllare i vassalli sparsi nel pianeta, motivo per cui la guerra deve continuare. Il rilievo mantenuto dal dollaro alla stregua di moneta di riserva mondiale non maschera alcuni sintomi di vulnerabilità: un’industria militare insufficiente (studi finanziati dal Pentagono e dal Dipartimento di Stato nel 2023 hanno rivelato le difficoltà di produrre le armi necessarie all’Ucraina), la bilancia commerciale in costante deficit, la crescente dipendenza economica dal resto del mondo, gli elevati tassi di mortalità infantile e di spesa sanitaria, il declino nella produzione di beni tangibili soprattutto nel settore agricolo, la carenza di lavoratori specializzati negli ambiti scientifici e tecnici, solo parzialmente compensata dall’afflusso di immigrati più qualificati rispetto agli autoctoni.
Il Regno Unito
La perdita d’incisività nel determinare linee d’indirizzo e il ricorso sempre più frequente a decisioni né morali né razionali sono rinvenibili anche se ci si sofferma rapidamente sulla storia recente del Regno Unito, segnata dall’implosione nazionale certificata dalla Brexit e dai guasti provocati dalle politiche neoliberiste, adottate sia dai conservatori sia dai laburisti, che hanno facilitato i processi di emancipazione della finanza e di distruzione degli apparati produttivi. Il passaggio a quello che viene indicato come stato zero legato alla stratificazione educativa alimenta peraltro, non solo tra i sudditi di Sua Maestà, un vivace dibattito intorno al paradosso in base al quale il progresso del sistema educativo ha provocato una regressione, perché sono scomparsi i valori trainanti dell’istruzione.
Se è pienamente giustificata la diffidenza verso il nazionalismo ucraino, proteso ad occupare regioni che storicamente non gli appartengono (Crimea e Donbass), altrettanto vero è che gli Stati Uniti paiono proiettati, al netto di alcuni successi sostanzialmente effimeri nel campo della “guerra per procura”, in una spirale di difficile uscita: in questo senso è molto interessante la ricostruzione che, collocandolo agli albori del nuovo millennio, individua nel tentativo (riuscito) di ostacolare la creazione di un fronte comune tedesco-franco-russo la vera causa strategica della ripresa sul suolo nordamericano delle ostilità contro Mosca.
Todd trasmette a volte l’impressione di confidare un po’ troppo nell’immagine del declino, pur convincente sotto certi aspetti; appare al tempo stesso azzardato, a modesto parere di chi scrive, sottostimare la portata della preoccupante miscela di bellicismo e aggressività (piano Rearm Europe, sostegno – non solo statunitense – alle azioni dell’esecutivo israeliano contro Hamas e l’Iran) che trova impietosamente conferma nelle cronache degli ultimi giorni.
Emmanuel Todd, La sconfitta dell’Occidente, Fazi Editore, 2023, pagg. 354, euro 20. acquistabile qui