Premessa: per essere una commedia delle e sulle donne, ciò che resta di Lisistrata di Aristofane firmata Serena Sinigaglia è l’ottima prova di tutti gli attori maschi in scena, in particolare Aldo Ottobrino nei panni del Commissario e Salvatore Alfano (Cinesia). E già questo gioca a favore di chi è convinto che esagerare sulla contrapposizione tra maschio e femmina, pur in tempi di femminicidi e guerre, sortisca un effetto nocebo. Eppure Sinigaglia aveva lasciato ben sperare che puntare sulla liberazione del corpo fosse, per dirla con le sue parole una nuova “grammatica dell’amore”. La promessa non è stata mantenuta del tutto.
La lotta o la Batrachiomachia
La scena clou della commedia è la lotta tra maschi e femmine, una sorta di Batracomiomachia di genere, scandita dai ciak di Calonice (Marta Pizzagallo) per una delle tante ridondanze dell’allestimento che suggeriscono ma non realizzano del tutto il meccanismo comico, imposto da Aristofane. Il quale, in piena Guerra del Peloponneso e in quel 411 a.C. segnato dalla crisi successiva alla spedizione in Sicilia e all’istituzione della commissione dei probùli con il compito di dare una svolta conservatrice al governo di Atene (qui rappresentato dal coro dei Vecchi), pensa bene di scrivere uno straordinario manifesto di quello che oggi chiamiamo Women’s Empowerment e che il poeta seppe dire con parole ben più allettanti e urgenti.
La traduzione
Parole che la traduzione di Nicola Cadoni per questa Lisistrata restituisce nell’equilibrio tra scurrilità (la caratteristica aiscrhologia aristofanea lo induce a fare della parola cazzo lo squarcio luminoso della scena) e registro medio alto, omaggiando il pluristilismo di Aristofane con termini latini (pugna), enfatici (Ardito qui con chiara allusione comica agli arditi del Fascismo), o contemporanei (dazi, mascara) e una sequela di sinonimi fallici e immagini allusive dell’atto sessuale. Una traduzione brillante, con qualche insidia per la regia di deviare nella commedia all’italiana, strapparisate e strappapplausi: in verità a tratti questo avviene e con poca fatica. Un esempio è l’amplificazione dell’elemento fluid: se affidare a Simone Pietro Causa la parte della spartana Lampitò è di forte impatto simbolico, la lingerie e la pruderie del commissario gay sono facilissime e sostenute solo dalla bravura indiscussa di Ottobrino. Il pubblico, però, ride e applaude e forse questa è la cosa più importante.
La regia
Tradurre il comico antico è impresa difficilissima e Sinigaglia, accettato il guanto di sfida di Aristofane, ha combattuto per la sua parte con ottime armi: rigore filologico, sistema valoriale, pegno alla contemporaneità e libertà di far ridere, concedendo alla protagonista Lella Costa di lasciarsi andare a battute fuori testo garbate e deliziose, e non poteva essere altrimenti per un’attrice come lei. Il risultato è un allestimento elegante per le scene di Maria Spazzi, per i costumi (Gianluca Sbicca firma i più belli di questa Stagione), per le musiche di Filippo Del Corno (mix di strumenti a fiato e percussioni, sonorità pop rap rock e suite da minuetto), per le coreografie di Alessio Maria Romano e per il perfetto uso del coro affidato alla coppia affidabile per eccellenza Francesca Della Monica ed Ernani Maletta. Didascalico è però il gioco del rovesciamento nè colpisce la sticomitia verbale e scenica del coro dei Vecchi (Marco Brinzi, Francesco Migliaccio e Stefano Orlandi) e delle Vecchie (Pilar Perez Aspa, Giorgia Senesi e Irene Serini) cui pesa l’onere della ridondanza: uno snellimento avrebbe giovato ai tempi della commedia oltre che al suo doppio tema.
La commedia
La storia di Lisistrata è notissima. Lisistrata a onore del suo nome vuole sciogliere gli eserciti di Sparta e Atene impegnati con il loro alleati in una guerra lunghissima. E da donna pensa di farlo con l’unica arma femminile che inebetisce l’uomo: il sesso. Niente sesso finché c’è guerra. Di più: se gli uomini continuano a combattere, tocca alle donne ristabilire l’ordine, tessere “un nuovo mantello per il popolo”, metafora tutta epica (come non pensare a Penelope) per dire che spetta alle donne creare un nuovo governo e per farlo le donne devono requisire il tesoro dell’Acropoli. La commedia si distende in una serie di quadri, da Sinigaglia tradotte in gag approvabili da Aristofane, in cui l’astinenza fa capitolare il maschio con tanto di pene eretto e dolorante e pace sia fatta. Qui la Pace, anticipata dall’accordo tra i Vecchi e le Vecchie, è inserita come personaggio, interpretato anzi danzato da Giulia Quacqueri: un omaggio agli spiriti maghi delle commedie shakespeariane. Lisistrata appartiene alla fase utopica della produzione di Aristofane, meno incline alla satira e più riflessiva. Tuttavia il tema del sesso unito all’urgenza politica non rende il testo di Aristofane immune dall’onomastì Komodèin, ossia dall’attacco al potere, né dalla declinazione del comico. Sinigaglia per il primo riprende una battuta contro Pericle e vi aggiunge una bordata ai dazi di Trump e una al Decreto Sicurezza per il “raduno non autorizzato”, per il registro indulge sul grottesco, di cui le grandi parrucche settecentesche delle Vecchie sono un emblema
Lisistrata e le donne
A proposito di donne, Lella Costa è una Lisistrata garbata. L’attrice, avvolta in un bellissimo abito arancione, si accampa sulla scena mettendo nel suo personaggio un alone di enigma come vuole la tradizione che di Lisistrata non dice nulla e una forza della parola e delle idee che sono sue. Insomma, se Lella Costa avesse abitato ad Atene nel 411 a. C., sarebbe stata Lisistrata. Delle altre donne che servono alla causa comica di Lisistrata spicca Mirrine (Cristina Parku). Al centro dell’universo femminile nella commedia Aristofane c’è la maternità che paga alla guerra il prezzo di figli ammazzati e c’è la parità di genere. Tralasciando un vezzoso inutile richiamo al femminile grammaticale, c’è anche il ruolo della donna. Lisistrata dice riferendosi ai mariti “…ci guardava torvo e ci ordinava di tornare al telaio, se non volevamo procurarci un trauma cranico: tu pensa a fare la calza, diceva, che alla guerra ci pensiamo noi”.
Il simbolo del telaio
Ecco, il telaio. Si accampa sulla scena teso sullo sfondo e con i fili sciolti che scendono dall’Acropoli alla piazza. Il rosso voluto da Spazzi colora la scena di sangue e passione, di amore e dolore ed è l’aspetto più suggestivo dell’allestimento, fosse solo per lo stesso rosso degli stracci della Pace prima che si libri nel bianco dei suoi veli. Basterebbe questo per cogliere lo studio fatto da Sinigaglia sul testo e per esclamare con i personaggi della commedia “Santozzeus, va bene così”.
Foto di Maria Pia Ballarino