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Il giorno in cui Pérez-Reverte è stato “nazista”

Lo scrittore spagnolo ha raccontato i retroscena dell'intervista fatta a Degrelle quando lavorava come giornalista per la tv spagnola

by Giorgio Ballario
7 Giugno 2025
in Cultura
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Arturo Perez-Reverte

Prima di diventare il famoso scrittore internazionale che conosciamo oggi, Arturo Pérez-Reverte è stato per molti anni giornalista e anche in quel campo se la cavava molto bene. Cominciò a scrivere a metà degli anni Settanta per il quotidiano Pueblo, un giornale molto diffuso e popolare di proprietà dei sindacati franchisti, che però entrò in crisi dopo il ritorno della democrazia alla morte del caudillo, fino a cessare le pubblicazioni nel 1984. In quel periodo, rimasto disoccupato, Pérez-Reverte riuscì a entrare nella televisione pubblica TVE, con la quale diventerà in seguito uno dei più celebri inviati di guerra spagnoli.

Sulla rubrica che tiene ogni settimana sulla rivista XL Semanal, il creatore del Capitano Alatriste e di molti altri personaggi letterari di successo ha raccontato un divertente episodio che in quegli anni gli permise di realizzare uno scoop internazionale e quindi di far carriera all’interno della televisione pubblica. Era il 1985 e Leòn Degrelle (in foto), ex capo del partito nazionalista belga, ex ufficiale delle Waffen SS e amico personale di Hitler, poco prima aveva rilasciato delle dichiarazioni pubbliche sull’Olocausto che gli avevano attirato dure accuse di antisemitismo. Degrelle aveva 78 anni e viveva vicino a Malaga dalla fine della guerra, dapprima protetto dal regime di Franco e poi tollerato dal governo democratico, data anche l’anziana età. Ma da quel giorno aveva deciso di non parlare più.

Il caporedattore di Pérez-Reverte gli aveva chiesto di intervistarlo, ma sembrava un’impresa impossibile, tanto che gli aveva persino promesso una cena in un ristorante di lusso madrileno se per caso ci fosse riuscito. «Nei miei anni come cronista a Pueblo avevo imparato una lunga serie di trucchi», ha raccontato lo scrittore, «perciò mi armai di coraggio e chiamai a casa di Degrelle. “Mio generale”, gli dissi, “gli ebrei la stanno attaccando di nuovo e lo trovo intollerabile. Metto a sua disposizione la televisione spagnola perché lei possa difendersi”. Il tono dev’essere stato convincente, perché la risposta fu: “Venga quando vuole, giovanotto!”».

Pèrez-Reverte corse subito a Malaga e dopo aver istruito a dovere la troupe televisiva, suonò alla villetta di Degrelle. «Venne lui stesso ad aprire la porta, mi misi sull’attenti, battendo i tacchi e alzando il braccio: “Buongiorno, generale”, e così via. Per l’ora e mezza successiva, la parola “mio generale” – che poi eliminai accuratamente dall’intera intervista durante il montaggio – mi rimase in bocca. Ai suoi occhi ero un ragazzo simpatico, amichevole e comprensivo, consapevole dell’ingiustizia che il sionismo internazionale stava commettendo contro un eroico difensore dell’Europa, minacciata dalla barbarie bolscevica e dal complotto giudaico-massonico. Degrelle era entusiasta e parlava a 360 gradi».

Davanti al giovane giornalista “amico”, l’ex gerarca si è lasciato andare senza complessi e senza freni, raccontando la sua vita, discutendo del nazismo, del suo ruolo politico come capo del partito Rex in Belgio, della sua esperienza di guerra sul fronte russo con la divisione Wallonien delle Waffen SS, inquadrata nell’esercito tedesco. «Non ero un politico, ma un soldato», confidò Degrelle a Pérez-Reverte. E condusse la seconda parte dell’intervista, come lui stesso aveva richiesto, tenendo seduta sulle ginocchia la nipotina, cieca.

«L’intervista trasmessa su Telediario fu un’esclusiva enorme, un successo internazionale che TVE trasmise nei notiziari in vari formati e vendette in tutto il mondo», ricorda lo scrittore (in foto). «In fase di montaggio eliminai qualsiasi cosa che non fossero dichiarazioni specifiche sulle questioni più delicate e spinose. Non c’era bisogno di aggiungere miei commenti, giudizi di valore o moralismi, dato che Degrelle era abbastanza eloquente riguardo a se stesso: gli ho dato voce e lui ha parlato. E ho lasciato il meglio per ultimo: “C’è qualcosa di cui si è pentito nella vita?”, gli ho domandato. E la risposta è arrivata, concisa, rivelatrice, incisiva: “Mi pento di non aver vinto”».

Arturo Pérez-Reverte partì da lì per costruire una carriera giornalistica luminosa, finché non deciso di dedicarsi completamente ai romanzi. E naturalmente vinse la scommessa con il caporedattore e la cena nel ristorante di lusso. Leòn Degrelle visse ancora per nove anni, indisturbato, nella sua casa vicino a Malaga.

Giorgio Ballario

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Tags: Arturo Pérez Revertedegrellegiorgio ballarionazista

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