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“Essere e tempo in Ugo Spirito”: un saggio sul filosofo di Cavallera

Il volume presenta i tratti dirimenti della sua opzione problematicista, indaga la dimensione religiosa e quella estetica

by Giovanni Sessa
4 Giugno 2025
in Cultura, Libri
0
Ugo Spirito

Hervé  A. Cavallera, professore onorario dell’Università del Salento, è curatore dell’opera di Giovanni Gentile e studioso di vaglia del pensiero pedagogico. Nella sua ultima fatica, Essere e tempo in Ugo Spirito, nelle librerie per i tipi delle Edizioni Grifo, porta la propria attenzione esegetica sulla filosofia dell’allievo di Gentile, interpretato quale pensatore: «che più di altri illustri discepoli del filosofo siciliano ha a suo modo sviluppato l’attualismo» (p. 5). Cavallera accompagna il lettore all’interno dei plessi più rilevanti della speculazione spiritiana, servendosi di una non comune conoscenza dell’opera del filosofo transattualista, attraversata con persuasività di accenti ermeneutici. Non trascura alcun aspetto delle tesi di Spirito, si sofferma sulla dimensione eminentemente etico-politica, e quindi anche pedagogica della proposta del pensatore. Presenta i tratti dirimenti della sua opzione problematicista, indaga la dimensione religiosa e quella estetica e, soprattutto, si interroga, come esemplificato dal titolo: «sull’esistenza nel suo essere legata al tempo» (p. 6), alla luce di un possibile che, anche nell’età della globalizzazione, potrebbe attualizzarsi, potrebbe farsi storia, nuovo umanesimo.

Il volume, articolato in sette capitoli e in un Epilogo, è chiuso da una Appendice che ripropone prefazioni, recensioni e testi utili alla comprensione dell’iter teoretico di Spirito. Alcuni dei saggi sono inediti, altri sono comparsi in studi specialistici e su riviste. In questo senso, è possibile asserire che il libro di Cavallera è un testo conclusivo, imprescindibile per la comprensione della filosofia spiritiana. Il primo capitolo rappresenta, per chi scrive, il momento apicale dell’esegesi dell’autore. In esso, infatti, Cavallera chiarisce la ragioni dell’adesione del pensatore al magistero di Gentile: l’attualismo fu: «l’alternativa al dato del positivismo e alla fede del credente, e per tale motivo deve realizzarsi concretamente. Deve […] divenire azione politica» (p. 14). Per tale ragione, rispetto al fascismo, Gentile tentò di mettere in atto un’azione pedagogica-culturale al fine di ridurlo all’attualismo. Spirito, in sequela del Maestro, fondò con Arnaldo Volpicelli la rivista «Nuovi studi di diritto, economia e politica» con lo scopo di riconnettere: «il pensiero italiano contemporaneo […] alla sua originale e genuina tradizione vichiana» (p. 15), centrata sull’identità di verum e factum. Gli scritti che Spirito dedicò al dibattito sul corporativismo, inteso quale strumento di realizzazione dello Stato etico, analizzati con minuzia di particolari da Cavallera, mostrano l’ inteso impegno politico del pensatore. Tale spendersi nella prassi trovò il suo momento conclusivo nel Convegno di Ferrara del 1932.

Il filosofo, prima di presentare al consesso ferrarese la tesi della corporazione proprietaria e il suo corporativismo integrale, si rivolse a Mussolini trovandolo consenziente. Eppure, il corporativismo proprietario, non ottenne il favore che Spirito si sarebbe atteso: a Ferrara fu stroncato sul nascere per intervento diretto, tra gli altri, di Bottai. Da allora, le corporazioni assunsero mero ruolo amministrativo, incapaci di realizzare l’umanesimo del lavoro cui guardavano Gentile e il suo allievo. La proposta di corporazione proprietaria fu definita “comunista”, in realtà si trattava di una tesi “comunitarista” di impianto platonico, centrata sulla valorizzazione della competenza. Del comunismo, Spirito accetta esclusivamente il concetto di programmazione. Nel dopoguerra, infatti, si recò in Urss e in Cina, rimanendo deluso da quanto  in quei paesi era stato realizzato. Constatata, di contro, l’impossibilità di realizzare lo Stato etico, la difficoltà di tradurre in atto l’idea, il filosfo inaugurò la fase teorica problematicista. Nel dopoguerra si dedicò ad opere mirate alla trascrizione del presente. Da esse si evince una critica radicale della democrazia liberale, fondata sulla negazione della competenza, così come il rigetto del totalitarismo comunista, incapace di cogliere la vigenza dello Stato in interiore homine. 

In tale condizione storica ed esistenziale, l’uomo di cultura, cui Spirito guarda, è chiamato a svolgere un ruolo di primo piano. Il suo dire deve farsi esercizio di parresia, libero dai condizionamenti che le parti politiche impongono agli intellettuali, atto a concedere una gioia rasserenante. Precisa Spirito: «Si tratta di una libertà e di una gioia che costano» (p. 30), esito dello svincolarsi del filosofo dagli idola dominati il tempo presente. La filosofia spiritiana anticipa analisi, avanzate decenni dopo, della società neocapitalista. Ha contezza delle trasformazioni che la tecno-scienza stava imponendo al mondo attraverso l’omologazione senza precedenti della realtà: «Si tratta di un passaggio dall’io al noi in ragione della funzionalità» (p. 31), le cui conseguenze cominciavano a farsi sentire perfino nella vita delle chiese. Una situazione, quella imposta dal Ge-stell, inaggirabile: «Ciò non significa che Spirito sia un apologeta del suo tempo […] Si limita a coglierne i caratteri e a illustrali con la lucidità del […] filosofo» (p. 31). Nel mondo contemporaneo si assiste al logoramento, alla liquefazione, di qualsivoglia valore o fede. 

Nulla si lascia più ricondurre all’unità. Per questo, nonostante la teorizzata morte dell’arte, la creatività stava riaffermando il proprio ruolo ineliminabile (Spirito, ricorda Cavallera, in gioventù fu pittore). L’arte è espressione, infatti, di una soggettività incapace di addivenire epistemicamente all’uno, a cui, per altra via, comunque, essa guarda e allude. Assume, pertanto, ruolo dirimente il “problema” della religione. In tema, Spirito è davvero, nonostante la proclamata “infedeltà” nei confronti del Maestro, allievo di Gentile. I due pensatori sono convinti che il concreto sia: «l’atto spirituale. La cui concezione immanentista […] mentre è l’inveramento del Cristianesimo, può parere perciò anche la liquidazione della religione» (p. 11). La centralità del Cristianesimo è data dall’Incarnazione, con la quale, tale religione,  tentò di colmare lo iato distinguente il mondo dal sovramondo. Un Cristianesimo paradossale che non coincide con la fede “ortodossa” e neppure con le chiese positive. Per la sua comprensione è bene tener a mente l’interesse gentiliano per i grandi spiriti religiosi, per i “riformatori” e, tra essi, Bruno.

Questi sono solo alcuni dei plessi teorici del volume di Cavallera. La lettura di, Essere e tempo in Ugo Spirito permette di comprendere la grandezza speculativa di questo pensatore. A parere di chi scrive, alcune delle problematiche che egli sollevò, furono anche al centro del dibattito filosofico inaugurato dagli ultrattualisti della linea Emo-Evola-Diano. Spirito, con il suo problematicismo di ascendenza attualista, giunse negli ultimi anni di vita, a una sorta di “sospensione del giudizio” rispetto alle: «diverse possibilità che confluiscono nella ricerca dell’incontrovertibile» (p. 6), lasciò aperta una strada ancora da percorrere. Ragione ulteriore per riflettere sulle pagine di Cavallera…

Hervé A. Cavallera, Essere e tempo in Ugo Spirito, Edizioni Grifo, pp. 257, euro 20,00.

Giovanni Sessa

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Tags: Essere e tempo in Ugo SpiritoGiovanni SessaHervé A. Cavallera

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