
Francesco Alberoni, scrittore e sociologo, nel 1981 ha pubblicato un libro nel quale indaga sulle radici e sviluppo del bene e del male, il primo forza di costruzione il secondo di distruzione. Nell’avvio osserva la scomparsa del sacro nel mondo moderno. Le vestigia delle antiche civiltà sono monumenti religiosi, l’era industriale lascerà ben altre memorie. I grattacieli hanno preso il posto alle cattedrali. Prima esistevano un sacro e un profano distinti e riconosciuti. Ora, e con l’autore siamo a quaranta anni fa, la cultura moderna rifiuta la loro separazione.
La crisi del sacro è accompagnata dal rifiuto del giudizio di peccato e di colpa, questa un eccesso, con l’aiuto della psicoanalisi. Non è peccato il controllo delle nascite, non è peccato la sessualità prematrimoniale. E il buonismo fatiscente aggiunto è diventato una fede, diciamo noi. (Conforme De Benoist nel suo: I demoni del bene.) Il relativismo culturale ormai quasi comanda, l’orizzonte si fa antropologico. È scomparsa anche la concezione del puro e impuro. Il comandamento: non commettere atti impuri è diventato nebuloso. La profezia di Nietzsche: “al di là del bene e del male” si sta avverando?
Magris: “Nietzsche rideva di Faust, dissidio amore e colpa ormai relitto. La leggenda faustiana per esistere necessita della lotta tra bene e male.” E nel Faust in partenza vede Woland, il diavolo di Bulgakov del Maestro e Margherita che abbandona Mosca. L’offuscamento dell’etica tradizionale sembra condurci all’oltre del filosofo orfano di Dio.
Il sottotitolo del libro reca: “La morale è un’illusione? Il mondo moderno può farne finalmente a meno?” L’autore contrappone una morale forte, stato nascente, alla morale debole, stato esistente. La morale collettiva combatte la morale individuale. In fondo la morale è una cortigiana che concede i suoi favori, serve, ad aggregare un gruppo e farlo potente.
Alberoni agita nello shaker il bene il male e sciorina l’amore e l’odio, anche mescolati. È un barman aristocratico e come tale si scansa dal buono o cattivo, sono concetti troppo popolari.
Per lui il leninismo, lo stalinismo con la rivoluzione sono una nuova religione che si oppone a quelle esistenti. Il movimento hippy ripudia la società dei consumi, si rifugia nell’artigianato primitivo. La sua involuzione avviene nel dentro. L’autore procede ad un’ampia disamina e propone i possibili rimedi allo sfascio materialista che lasciamo alla curiosità del lettore. Sono notevoli i recuperi storici piacevoli.
Per concludere Alberoni afferma che il nostro vagare, in parte insensato, termina nel caso di catastrofi, allora si ritorna all’essenziale. Il dolore della perdita dona un novello battesimo. Il nostro pensiero va alla recente pandemia di Covid-19, c’è una conferma o meno? In effetti la preghiera è stata un balsamo di conforto alla morte di congiunti, amici. D’altronde la religione ha un ruolo di coping, di adattamento agli inconvenienti luttuosi, allo stress.
Le restrizioni di contatto hanno impedito riti di massa. Nei tempi antichi si facevano le processioni contro la peste. Questa era ritenuta un castigo divino e si chiedeva perdono con penitenze pubbliche. Flagellazioni ecc.
Il lavoro degli psicologi inseriti nella società è stato notevole, un plagio alla tonaca? La scienza e la laicizzazione hanno evitato grandi tuffi nelle superstizioni anche se esiste un fenomeno di sette. Purtroppo c’è chi persiste a credere alle statuine lacrimanti. Alberoni aveva ragione? In parte, senza esagerazioni.
Non si può chiudere il discorso sul bene e male senza alzare lo sguardo, identificare chi ha piantato l’albero della mela. E da qui il quesito perché l’uomo ha bisogno di una divinità, di un Dio. Non siamo fuori tema. La paura della morte, si dice, e per esautorarla ci siamo inventati un aldilà. Sul suo trono abbiamo assiso un’Entità e le rivolgiamo le domande alle quali non sappiamo dare risposte. Risposte trascendenti causate da una scienza manchevole, claudicante.
Ripercorriamo la possibile catena: dal totem all’animismo, quindi il politeismo per giungere al monoteismo. Il divino potrebbe essere sorto dal culto degli antenati. C’è stata una spoliazione dell’umano. A noi piace credere che il bisogno di un Dio provenga da un anelito dell’anima, da un qualcosa che è in noi, che ci è stato donato. Non possiamo soggiacere, è proprio il caso, a un evento lugubre. La canzone del nostro festival di San Remo è il cantico di San Francesco.
L’illuminismo invece di illuminarci ci ha spento. Avviene il perenne duello tra Tradizione e Progresso, l’uomo cede al nuovo ed è meno protagonista, insidiato dai robot, dall’I.A. La mela è sempre avvelenata e ingordo l’uomo addenta, addenta. La comunanza, la fratellanza falsa del futuro: l’uno parla all’intelligenza artificiale che conversa con l’altro, una solitudine cliccata. Il contatto assicurato dalla mediazione, dal tramite di uno strumento anaffettivo.
Aggiorniamo Alberoni. Nell’oggi la scienza, la tecnica e l’economia sono una giostra vorticosa che porta a generare gran confusione. Abbiamo la mania di liberare, liberare. E si dimentica che per togliere un divieto si legifera, si inserisce un nuovo vincolo, è un gioco senza fine. Alberoni, paladino dell’amore, che direbbe dell’utero in affitto?
E negli auspici di Alberoni c’è la folla dei convertiti, dei ravveduti. Perché no? Giovanni Papini trova il Cristo vivo e abbandona le ideologie, il suo nichilismo. È il Cristo non del potere, dell’opulenza ma dell’amore, del perdono e del Sacrificio. Papini: l’uomo finito non è più finito!
E così è per Pitigrilli, Dino Segre. Padre Pio a lui: “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” E il licenzioso scrittore di un tempo fa ritirare i suoi libri scandalosi, cerca una pace interiore, dare un significato alla sua esistenza. Si affida a quella spiritualità che derideva.
Francesco Alberoni è famoso per la sua analisi dell’innamoramento. Lo considera una conversione, l’inizio di una nuova vita.