Le tiritere della scuola come ascensore sociale, la falsa inclusività, l’apologia della fluidità, l’omologazione culturale, l’abbattimento delle gerarchie e della meritocrazia (tanto che per ricordarne il senso hanno dedicato un ministero “al merito”), l’appiattimento contro la selezione. La “scuola democratica”, insomma, portatrice dei valori della globalizzazione e quindi anche del multiculturalismo (perciò poco adatta a insegnare l’identità e la tradizione, la propria storia e la propria coscienza di italiani ed europei) oggi sforna studenti senza spirito critico, pronti a rispondere a parole d’ordine più che a elaborare analisi consapevoli.
Lo dimostra il filosofo Antonio Carulli (Bari, 1983) il quale, partendo da una serie di analisi frutto dell’esperienza quotidiana, denuncia questa situazione anomala e propone alternative. Traccia, in un pamphlet ben scritto, le dinamiche di un disastro che ha preso forma nello spazio di un ventennio, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Analizza e spiega il senso dell’insegnamento, offre la modalità per scoprire il significato vero della parola cultura e indica anche una riflessione razionale su ciò che registra giorno dopo giorno: la fine dell’eccellenza italiana. Non è il solito attacco contro la carenza di fondi, le strutture scarse e fatiscenti, gli studenti poco attenti e poco studiosi. Carulli, in questo libro davvero interessante, sottolinea che i primi passi da fare per tamponare la crisi dovrebbero servire a recuperare l’autorità, l’educazione e il sapere.
L’autore affronta, con cognizione di causa, una serie di aspetti che hanno reso gli studenti sempre meno attrezzati rispetto alle sfide della società ma anche per molto meno come, a esempio, saper affrontare scuola media inferiore, superiore e Università. Infatti, molti arrivano all’Università, ma non riescono a terminare il percorso di studi. Esempio di assenza di metodo. Non mancano gli attacchi, motivati, alle false lezioni di Ivan Illich e di don Milani che hanno dato un duro colpo alla struttura della scuola e all’insegnamento in generale.
Aveva ragione Paul Valéry quando diceva: “Dato che lo scopo dell’insegnamento non è più la formazione del pensiero, ma l’acquisizione del diploma, fare il minimo indispensabile sarà l’unico oggetto di studio (…) il diploma illude la società con il miraggio delle garanzie e i diplomati con quello dei diritti. (…) D’altro canto, ogni diplomato in nome della legge è portato a credere che gli spetti qualcosa”. I danni che provengono da simile situazione sono sotto gli occhi di tutti e non solo per la fuga dei cervelli, cioè ragazzi che studiano in Italia, si formano bene qui e poi vanno a produrre in altre nazioni. Sono proprio le riforme sbagliate, nonché l’ideologia di sinistra che tanti guasti ha causato alla scuola e i docenti mal formati a rendere vana l’istruzione. Ecco i frutti avvelenati della scuola progressista.
Antonio Carulli, Contro la scuola progressista, Passaggio al bosco ed., pagg. 160, euro 14,00
La scuola è stata minata dallo scemenzaio sessantottino, dal populismo sindacal-politico comunistoide (dalla Licenza Media delle 150 ore alla liberalizzazione degli accessi universitari, dalla tolleranza verso esami di gruppo al 18 politico ecc.) dal ‘calabrachismo’ dei democristi al governo… La scuola è stata minata nello scorso millennio, adesso se ne vedono i frutti più marci, perchè nessuna meritocrazia si affaccia all’orizzonte. Come i Castro ed i Chávez-Maduro la politica comunistoide è sempre la stessa: titoli di studio facili (anche se vuoti) per avere consensi elettorali….