
Benché se ne senta parlare poco, se non per bellissime vacanze e, di rado, per questioni finanziarie, Cipro è un’isola strategica sugli scenari geopolitici e non solo per la sua posizione privilegiata nel Mediterraneo orientale che di fatto l’ha già resa un ricco crocevia di culture e un punto di incontro tra Oriente e Occidente. La storia di Cipro è stata segnata da numerosi conflitti fino alla seconda metà del ‘900 quando si è arrivati addirittura alla divisione dell’isola in due stati. Pochi sanno, però, che di fatto la divisione è in tre aree perché oltre il muro che nella capitale Nicosia divide la parte greca da quella turca, esiste anche una porzione meridionale di territorio occupata dagli inglesi con loro basi militari. La questione di Cipro, quindi, rimane uno dei problemi più complessi e irrisolti del Mediterraneo e che coinvolge direttamente l’Unione Europea.
Negli ultimi mesi c’è stata una evoluzione dello status quo cipriota perché il Kazakistan, l’Uzbekistan e il Turkmenistan hanno finalmente riconosciuto ufficialmente la Repubblica (greca) di Cipro aprendo anche proprie ambasciate. La notizia è passata in sordina ma ha un grande valore geopolitico perché i tre Paesi citati fanno parte dell’Organizzazione degli Stati Turchi (Otg) e rientrano nel “Grande Turan”, ovvero il sogno turco di riunire tutti i popoli turcici. La Turchia non ha commentato questa decisione ma è difficile immaginare che Erdogan e la sua cerchia neo-ottomana abbia digerito il boccone probabilmente servito dall’Ue. Pare, infatti, che la decisione dei tre Paesi dell’Asia centrale di riconoscere la Cipro greca, e di fatto condannare come Paese occupante la Turchia, sia il frutto di una serie di investimenti da parte di Bruxelles pari a 12miliardi di Euro da spendere in vari settori. Non c’è da illudersi pensando che ai tecnocrati europeisti stiano a cure le radici greche e cristiane dell’Europa, l’ingerenza è dettata dall’esigenza di stringere legami sempre più forti con Paesi ricchi di uranio e petrolio e forse anche questo ha favorito la mancata reazione di Ankara.
Nonostante negli ultimi anni lo scenario mondiale si è reso sempre più complesso e si è accesso di nuovi conflitti, la Turchia ha saputo giocare molto bene sia sul campo, espandendo la sua presenza anche militare fino in Africa e in particolare sulle coste libiche, sia a livello economico cercando di imporsi come nuovo e strategico hub logistico ed energetico per l’Occidente. La ricerca in particolare europea di sempre maggiori risorse e di diversificazione delle stesse favorisce questa prospettiva turca che però deve farsi carico di un atteggiamento diplomatico molto equilibrato e misurato, a volte anche contraddittorio ma sempre strategico ai propri interessi nazionali, come nel caso del riconoscimento della Cipro greca da parte dei tre “stan” sopracitati. L’investimento di Bruxelles, infatti, necessariamente dovrà passare anche da Ankara e in un momento di crisi economica, quale quello attraversato dalla Turchia, è un’opportunità da sfruttare piuttosto che da combattere.
La Turchia, quindi, viene solo “graffiata” ma per nulla ridimensionata e questo non è una buona notizia per il Belpaese perché, come disse D’Alema, “l’Italia o è il Mediterraneo o non è”. La Turchia ormai è un nostro confinante in Libia e ci sta praticamente scalzando dai Balcani, tutte aree che dovrebbero essere di nostra influenza strategica ma che vedono un netto e progressivo ridimensionamento della nostra presenza in favore di quella turca (ma anche di quella russa in Libia e cinese nei Balcani). Eppure non ci sono segnali di reazione, addirittura l’azienda turca Baykar (attiva nel settore della tecnologia e della difesa) recentemente ha acquisito la “Piaggio Aerospace” e ha siglato un accordo di cooperazione con la nostra Leonardo. Passaggi preoccupanti.