Edipo ad Antigone appena arrivato a Colono “…in quest’ultima terra,[…] qui avrei messo fine alla mia vita piena di dolore- portando vantaggio a chi mi accoglieva, e rovina a chi mi aveva esiliato e scacciato”
Antigone a Edipo invitandolo ad accettare la protezione di Teseo: “Guarda al passato, non al presente, e ai dolori che tu hai patito per tuo padre e tua madre: e se li guardi, lo so per certo, capirai che da una rabbia cattiva non può che venire il male”
Sono questi due stralci di Edipo a Colono di Sofocle nella traduzione di Francesco Morosi per l’allestimento di Robert Carsen al Teatro Greco di Siracusa.
Sabato 24 maggio la settima replica dello spettacolo andava in scena nello stesso giorno della manifestazione “50000 sudari per Gaza”, promossa dal rettore Tommaso Montanari e dalla giornalista Paola Caridi e accolta trasversalmente da istituzioni, privati cittadini, associazioni, fondazioni per ricordare le oltre cinquantamila vittime di Gaza. Nella cabala il numero sette è associato alla purezza spirituale, nella Bibbia alla completezza, per i Babilonesi rappresentava il cosmo: la numerologia si rende alla grammatica del testo e la morte di Edipo rappresenta un archetipo di elevazione spirituale che va oltre la prefigurazione naturistica nel testo sofocleo, potendone cogliere, a lettura non certo forzata, prefigurazioni edeniche, fortemente suggestive nella biografia del tragediografo il cui Edipo a Colono fu rappresentato postumo. Per gli attori di Edipo a Colono di Carsen quel numero sette ha rappresentato il punto più alto della significanza dell’arte: alla fine dello spettacolo hanno steso davanti a loro un sudario. Un gesto di vertigine simbolica, tanto più che il CDA della Fondazione Inda aveva negato ai promotori siracusani la lettura di un testo in ricordo delle vittime di Gaza, giustificando il diniego con ragioni statutarie. Il gesto degli attori è più di una adesione e meno di una disobbedienza: è porsi dalla parte della giustizia, è rivendicazione di un compito. Giuseppe Sartori, Paolo Mazzarelli, Rosario Tedesco, Elena Polic Greco, Fotinì Peluso, Clara Bortolotti, Massimo Nicolini, Pasquale Montemurro, Simone Severini, William Caruso e gli attori dei cori e del seguito dei re, il cast tutto hanno firmato il più alto manifesto del 24 maggio 2025. Con addosso gli abiti di scena al pubblico, che li applaudiva, si sono mostrati persona e personaggio, quasi invitandoli a tendere bene l’orecchio alle parole dei poeti. L’arte è il grimaldello con cui aprire le porte del potere. L’atto del “poiein” (ποιεῖν), della creazione artistica è l’unico baluardo delle coscienze, il ventre dell’umana dignità. Il lampo accecante delle parole dei poeti è l’eco della storia, è verità urlata nel tempo. La tragedia non è mai un fatto individuale: è sempre un atto politico e l’assenza della tomba in Edipo a Colono ne è il segno. Qui la tomba non c’è, non c’è un luogo dove Antigone e Ismene possano piangere il loro padre. Il segno è, dunque, il sepolcro assente nella funzione salvifica della città, mentre lontano dalla ospitale Atene i fratelli si preparano alla reciproca mattanza per appropriarsi dello stesso lembo di terra.
La tragedia è, ripetiamo, un atto politico. Il sudario è il panno politico che coprirà i corpi dei fratelli fratricidi di Tebe e di ogni luogo, di quel tempo arcaico e di ogni tempo. Il sudario reca l’impronta del viso del morto. I sudari a Gaza imprimono il viso di uomini, di donne, di anziani, di malati e di bambini ammazzati dalle bombe di una storia priva di memoria, ammazzati dalla fame, dalla sete. I sudari non coprono. I sudari inchiodano all’infamia della morte. I sudari hanno le tracce insanguinate del diritto del taglione. Nello scandalo della vendetta come giustizia il sudario è il monito dell’orrore.
Quel sudario, esso sì “disarmante e disarmato“, lì in mezzo alla scena di un Teatro antico, è come l’Angelus novus di Paul Klee la personificazione della coscienza storica, è un controcanto a Gogol. E’ il canto degli artisti. O una ninnananna per gli ultimi nove bambini uccisi dalle bombe su Gaza.