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“Nel West con Sergio Leone” di Gabutti: un viaggio tra le pellicole del regista romano

“Christian Dior non fa che copiare dall’Atene periclea, dal Rinascimento italiano, dal Termidoro francese; Hollywood, dal paradiso terrestre”. La citazione da Amadeo Bordiga è messa in esergo dall'autore che apprezzata il politico barbuto

by Carlo Romano
26 Maggio 2025
in Cultura
0
Nel West con Sergio Leone (Ed. Perrone)

“Christian Dior non fa che copiare dall’Atene periclea, dal Rinascimento italiano, dal Termidoro francese; Hollywood, dal paradiso terrestre”. La citazione da Amadeo Bordiga è messa in esergo da Diego Gabutti in Nel West con Sergio Leone (Ed. Giulio Perrone), regista evidentemente nelle sue corde, tanto che lo rese corresponsabile del libro  C’era una volta in America (RIzzoli, 1984; Milieu, 2015). Ancora con Milieu Gabutti si cimentò con Clint Eastwood (Cavalieri pallidi, Cavalieri neri, 2018), ma la citazione evoca, prima di ogni altra considerazione, la passione di Gabutti per Bordiga. (cfr. Un’avventura di Amadeo Bordiga, Longanesi 1982; Milieu, 2019).

Messa in coda a una di Leone e a una di Lubitsch, la citazione di Bordiga indica una personalità dotata di capacità letteraria. Per giunta, nella sua brevità, la citazione rivela ciò che il culturame stenta a immaginare: che – sebbene ingiustamente considerato un barboso e severo impianto dottrinario – quello di Bordiga, soprattutto del Bordiga del dopoguerra, sia stato il tentativo indipendente di una “teoria critica” in Italia.
Nel passare a Leone, dissento dalla sostanza del libro di Gabutti. Concordo però che C’era una volta il West non sia il suo miglior film, benché questo sia il film al centro del libro.
Il film di Leone non mi piace. Non ricordo di averlo mai visto dall’inizio alla fine in una volta sola. L’interpretazione di Charles Bronson come “Armonica” è inspiegabilmente traboccante (per citare la migliore interpretazione nella carriera di Bronson, direi  La maschera di cera, del 1953). Sostenere che Claudia Cardinale erotizzi C’era una volta il West mi pare infantile, se ci si riferisce al decolleté. Né mi acchiappano le musiche di Ennio Morricone, che Leone venerava come fossero la sceneggiatura del film.
Gabutti invece non sbaglia a definire Giù la testa (1971) “extracurricolare” (una deviazione di percorso), ma non gli riserverei le stesse apologie che Per un pugno di dollari e Il buono il brutto e il cattivo.
Leone avrebbe voluto che Giù la testa s’intitolasse C’era una volta la rivoluzione, ma a esaltare le fragili coscienze dei ventenni di allora fu Vamos a matar companeros di Sergio Corbucci (niente male). Ben fatto, compagno Leone (“Quando ero giovane credevo in tre cose: Il marxismo, il potere redentore del cinema e la dinamite. Oggi credo solo nella dinamite”, parole sue).
Ma Leone è stato di sicuro un buon osservatore del cinema classico (un’eredità di famiglia, essendo figlio del pioniere Roberto Roberti) che, malgrado eccessi e ralenti, avrebbe voluto replicare.
Leone amava il western classico, ha instradato Clint Eastwood e ha un peso nella creazione dello “spaghetti western”, senza tuttavia avere veri discepoli. Comunque la classicità la raggiunse. Era già un classico nel 1989, quando morì. Nel 1985 un critico raffinato come Oreste De Fornari gli aveva consacrato una monografia che anni e anni dopo si sarebbe trasfigurata nel lussureggiante Tutto Leone (Gremese, 2018), coevo alla pubblicazione della lunga chiacchierata di Leone con l’amico (non semplice storico del cinema, ma un ingegno multiforme) Noël Simsolo (C’era una volta il cinema – i miei film, la mia vita, il Saggiatore, 2018). È l’idolo di John Woo e Quentin Tarantino vorrebbe somigliarli. “Il cinema è il mito che si fonde con una favola”.
Carlo Romano

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Tags: (Ed. Perrone)Carlo Romanodiego gabuttiNel West con Sergio Leone

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