
Nel silenzio delle sale vaticane, si prepara un terreno di gioco quasi sacro. L’Ucraina insiste per un faccia a faccia tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin. L’ultimo round negoziale a Istanbul ha rimesso in moto la speranza che la fine del conflitto passi da un colloquio diretto tra i due leader. “Putin è l’unico che decide in Russia”, ha ricordato una fonte diplomatica ucraina. E. se è vero che solo lui può porre fine all’aggressione, allora Zelensky è pronto a giocarsi tutto in un confronto personale. Ma dove? E sotto quale arbitraggio?
Come tennisti pronti a giocare una finale destinata a entrare nei libri di storia, Kiev e Mosca si trovano però in una condizione surreale: non c’è ancora un campo dove disputare la partita diplomatica.
Qui entra in scena Leone XIV. Egli si appella alla pace in ogni occasione pubblica e offrire la Santa Sede come spazio fisico e simbolico per un dialogo. Perché proprio il Vaticano? Perché, come nel tennis, serve un arbitro imparziale, che abbia conoscenza perfetta delle regole — morali e geopolitiche — e sia percepito come equidistante, anche quando richiama i giocatori per disturbi o violazioni.
Nel tennis, se un giocatore disturba involontariamente l’avversario — ad esempio fa cadere una pallina dalla tasca — l’arbitro ferma il gioco e si rigioca il punto. Ma se il disturbo è deliberato, il punto è perso. Ecco il cuore della questione: troppe volte, negli ultimi anni, entrambi i giocatori hanno generato “disturbi”, alcuni forse involontari, altri voluti.
La propaganda, la manipolazione delle informazioni, la violazione dei corridoi umanitari, l’uso di minacce nucleari, i bombardamenti su infrastrutture civili: questi non sono solo colpi fuori campo, sono scorrettezze che richiederebbero — per restare nella metafora — ammonimenti e perdita di punti.
Il papa può rappresentare l’arbitro che osserva, interviene, richiama e — se occorre — sanziona moralmente. Il suo messaggio non è mai stato ambiguo: la guerra è una sconfitta per tutti. Ma, finora, nessuno ha voluto davvero riconoscere la legittimità di questo arbitro. Troppo influente per alcuni, troppo morale per altri, troppo “occidentale” o “spirituale” per chi guarda solo a interessi materiali.Court in attesa di tennisti
Eppure, il Vaticano offre qualcosa che nessun altro luogo può dare: uno spazio simbolicamente neutrale, non compromesso da ambizioni economiche o militari. Un campo di gioco puro, dove l’unico obiettivo è la pace.
Nella storia recente, il Vaticano ha già ospitato trattative delicate: basti pensare al ruolo svolto nella riapertura dei rapporti tra Cuba e Stati Uniti. La diplomazia vaticana, silenziosa ma instancabile, lavora. spesso lontano dai riflettori, ma è guidata da una logica che non si piega alle logiche del potere.
Oggi l’Ucraina sembra pronta a entrare in questo campo. Sta servendo per iniziare lo scambio, aspettando che Mosca risponda. Putin, però, resta al fondo del campo, indeciso se impugnare la racchetta o abbandonare il match. E intanto, il pubblico mondiale attende, sospeso tra speranza e disillusione.
Gioca o no?
La guerra è, in fondo, l’assenza di regole. È il momento in cui il campo si dissolve e i giocatori si colpiscono non con racchette, ma con armi. Il tentativo ucraino di riportare tutto a un confronto regolato, mediato, arbitrato, è dunque un atto di razionalità e coraggio.
Se Zelensky e Putin dovessero incontrarsi in Vaticano, sarebbe un punto di svolta. Non significherebbe la fine immediata della guerra, ma segnerebbe l’inizio di una nuova partita: quella della diplomazia, della parola, del compromesso.
E il papa, alto sulla sua sedia arbitrale, avrebbe finalmente l’occasione di fare ciò che molti leader mondiali non sono riusciti — o non hanno voluto — fare: far rispettare le regole della convivenza umana.
Per ora, il campo è pronto. L’arbitro è salito in sedia. Aspettiamo i giocatori.
Lavrov l’ha già escluso.
Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha detto che sarebbe poco elegante tenere le trattative in Vaticano , una sede cattolica per contendenti ortodossi seppur cristiani. Il Papa non è riconosciuto da loro come autorità religiosa per tuttala cristianità. Il senso è che le trattative vanno svolte in una sede neutra come ad es Instanbul. Ciò non vuol dire che in linea di principio, teorica non potrebbero aver luogo