
Lo hanno accostato ai più grandi scrittori del secolo scorso, da Proust a Kafka, da Camus a Nabokov. Con quest’ultimo Gajto Gazdanov condivise i natali. Entrambi russi di San Pietroburgo e pressoché coetanei: Nabokov è del 1899 e Gazdanov del 1903. Dopo la disfatta della resistenza antirivoluzionaria, che segnò il definitivo dominio bolscevico, entrambi scelsero l’Occidente. Di estrazione osseta, figlio di un guardaboschi, cresciuto in Siberia e poi in Ucraina, Gazdanov fece in tempo a prendere parte a quella rovinosa guerra civile. Tra le fila dell’Armata Bianca di Pëtr Nikolaevič Vrangel’. L’estremo quanto impopolare tentativo di frenare l’avanzata dell’Armata Rossa.
Nel 1920 lasciò la Russia e si stabilì a Parigi, dove per un periodo lavorò presso gli stabilimenti Renault. Pur di laurearsi alla Sorbona, si cimentò nei lavori più umili e a lungo s’inventò conducente di taxi.
Se proprio vogliamo cercare una fratellanza in quell’allucinato vagabondare, infatti, è con il Travis Bickle di Taxi Driver. Se Travis, nell’iconica interpretazione di Robert De Niro guida il suo taxi per le vie di New York nella rovente estate del 1975, il giovane Gajto è il tassista russo che nell’autobiografico Strade di notte (1952, trad. it. Fazi 2017) vaga nella Parigi misteriosa e sorprendente degli anni Trenta tanto cara a un altro gigante della letteratura mondiale, Patrick Modiano.
Nel romanzo, mentre cerca faticosamente di riannodare il filo dei ricordi, riversa apparentemente alla rinfusa incontri fugaci consumati con improbabili compagni di viaggio nello spazio angusto dell’abitacolo. Una galleria straordinaria di personaggi affascinanti e rigorosamente marginali di cui coglie frammenti di biografie lacerate. Nobili in rovina, filosofi alcolizzati, emigrati come lui e, immancabili, le prostitute della Ville Lumière. Sullo sfondo aleggiano la gioventù ormai lontana, i profumi e i rumori della San Pietroburgo dell’anteguerra, la nostalgia dolente per la Grande Russia degli Zar, patria irrimediabilmente perduta e rimpianta.
Aveva debuttato nel 1929 con il romanzo Una serata da Claire (1929, trad. it. Ibis 1996), pubblicazione accolta da un timido ma incoraggiante successo, lodata da Maksim Gor’kij, che gli valse il prestigioso paragone con Proust.
Acuto scandagliatore dell’animo umano, esule destinato a viaggiare in terra straniera, Gazdanov confeziona sapientemente, con la forza evocativa della sua scrittura, trame che lambiscono la letteratura gialla per indagare la vacuità della vita, l’insondabile solitudine degli uomini.
È solo dopo la fine della seconda guerra mondiale che critica e pubblico si accorgono finalmente di lui con Il fantasma di Alexander Wolf (1947, trad.it Voland 2002) e Il ritorno di Buddha (1949, trad. it. Voland 2015), Ritrovarsi a Parigi (1965, trad. it. Fazi 2016), riconoscendolo come il migliore scrittore russo dell’emigrazione europea.
Le opere di Gazdanov, ovviamente, non vennero mai pubblicate in Unione Sovietica, ma solo dopo la dissoluzione di quest’ultima finalmente raccolte in antologie.
Morì a Monaco di Baviera il 5 dicembre 1971, minato com’era da un cancro ai polmoni.
Riposa nel cimitero russo ortodosso di Nostra Signora dell’Assunzione a Sainte-Geneviève-des-Bois, a meno di mezz’ora in auto dall’amata Parigi, in compagnia di molti russi bianchi, la compagnia che avrebbe preferito.