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“Una pace difficile” di Starace, oltre l’ossimoro di una intesa giusta e duratura

Dai diari dell'ambasciatore non affiorano spunti di particolare ottimismo circa il futuro dell’Ucraina: in questo libro, chiuso in stampa due mesi fa, emerge anzi la lucida constatazione che le eccessive speranze riposte dalla classe dirigente moscovita nella presidenza Trump, inducendo Putin ad alzare la posta, rischiano di allontanare invece di avvicinare la pace

by Enrico Nistri
20 Maggio 2025
in Esteri
3
La pace difficile, il diario dell’ambasciatore Giorgio Starace

Nessuno meglio di un diplomatico è in grado di giudicare l’opera di un altro diplomatico, e la recensione dell’ambasciatore Massimo Lavezzo Cassinelli ai diari moscoviti di Giorgio Starace usciti sotto il titolo Una pace difficile (Mauro Pagliai ed. Firenze 2025), con una prefazione di Lucio Caracciolo, ne costituisce una conferma. Cassinelli, che sul conflitto in Ucraina aveva già espresso tre anni fa un sereno giudizio in un’intervista a questa testata, coglie con molta lucidità alcuni temi centrali dell’opera di Starace, capomissione italiano a Mosca nei primi due anni del conflitto, prima del suo precoce pensionamento. L’appiattimento dell’Italia sulle posizioni intransigenti dei nostri partner anglosassoni, l’accantonamento del piano di pace presentato nel maggio del 2022 dal primo ministro Draghi e dal titolare degli Esteri, l’impegno dell’autore per la ricerca di una pace durevole sono tematiche centrali e ricorrenti in queste memorie di un ambasciatore tacciato di filoputinismo solo per avere cercato di tutelare gli interessi strategici ed economici dell’Italia¸ e Massimo Lavezzo Cassinelli le coglie con lucidità nella sua recensione. Esistono però altri aspetti dei diari di Starace che meriterebbero una riflessione adeguata.

Il primo è di natura etico-politica e storica, e ruota intorno alla convinzione, manifestata anche da Starace durante la presentazione del volume al fiorentino Teatro Niccolini, il 17 aprile scorso, che difficilmente possono esistere paci giuste; l’importante è cercare di realizzare una pace duratura. È un’opinione che ho sempre condiviso, con buona pace delle anime belle che, illudendosi di rifondare un mondo perfetto, finiscono per porre le premesse per conflitti ancora più rovinosi. Un esempio di scuola è il confronto fra la pace uscita dal Congresso di Vienna, che non penalizzò la Francia vinta, e quella uscita da Versailles, poco più di un secolo dopo. La prima impedì per un secolo lo scoppio di una guerra europea e il nostro continente visse un’epoca straordinaria di pace e di progresso; la seconda pose le premesse per lo scoppio vent’anni dopo di un altro conflitto mondiale, con le conseguenze che sappiamo. Talleyrand sarà anche stato «de la merde dans un bas de soie», come lo definì Napoleone, ma fu un grande diplomatico. Non credo che si sarebbe trovato a suo agio nei talk show televisivi, ma per fortuna all’epoca non c’erano i talk show, e nemmeno la televisione.

Compito di un ambasciatore, però, non è tanto di farsi storico, quanto di saper cogliere la realtà dei paesi in cui rappresenta l’Italia grazie alla loro conoscenza, nei limiti del possibile, diretta e senza filtri. È in fondo proprio questo a giustificare la permanenza di ampie e costose rappresentanze diplomatiche nell’era in cui i capi di Stato possono comunicare direttamente fra loro, al telefono o addirittura con sms. Ma per giustificare la sua presenza, un ambasciatore – come si diceva una volta del giornalista – deve lavorare non solo con la testa, ma con i piedi. Non si deve rinchiudere fra le mura ovattate dell’Ambasciata, ma deve uscirne anche al di fuori delle occasioni ufficiali, per stabilire contatti ma anche per tastare il polso di una nazione, naturalmente nei limiti del possibile.

Starace questo lo fa, e ce lo racconta. Si sposta per Mosca, città di cui apprezza molto la bellezza e l’ordine, tanto da preferirla quasi a Pietroburgo, e lo fa non solo con l’auto di servizio, ma a piedi o persino in bicicletta. Il clima di una città si giudica frequentandola, magari in incognito, percorrendo anche i suoi quartieri non turistici, magari constatando l’emorragia di giovani qualificati che lasciano la Russia per timore di un richiamo alle armi (ma in Ucraina la realtà non è diversa) o assistendo senza dare troppo nell’occhio alle manifestazioni di dissidenza nei confronti della guerra represse dalla onnipresente e spesso onnipotente Polizia post-sovietica.

Al tempo stesso, però, requisito fondamentale di un diplomatico è saper cogliere senza filtri, anche da osservazioni di natura fisiognomica, la psicologia dei capi di Stato con cui entra in contatto: indimenticabile la sua descrizione di Putin con “gli occhi chiari a fessura da lupo siberiano”. Starace non ha una formazione umanistica, ma economica: dopo gli anni di liceo nella prestigiosa scuola militare della Nunziatella ha studiato alla Bocconi. Eppure in certi suoi ritratti, ancor prima che giudizi, di uomini e di situazioni si scorge la pennellata dell’artista. E, senza necessariamente divenire un accademico di Francia come Maurizio Serra o come Paul Claudel, ogni diplomatico dovrebbe presentare un coté artistico.

Dai diari di Starace non affiorano spunti di particolare ottimismo circa il futuro dell’Ucraina: in questo libro, chiuso in stampa due mesi fa, emerge anzi la lucida constatazione che le eccessive speranze riposte dalla classe dirigente moscovita nella presidenza Trump, inducendo Putin ad alzare la posta, rischiano di allontanare invece di avvicinare la pace. C’è tuttavia un motivo conduttore che dovrebbe indurci a un sia pur moderato ottimismo: la constatazione delle larghe simpatie di cui la cultura e la civiltà italiana godono negli ambienti intellettuali ma anche popolari della Russia. Il “guidoncino” tricolore dell’auto con cui nelle occasioni ufficiali si sposta nella capitale suscita sorrisi in contrasto con la “faccia feroce” cui il nostro Paese è indotto ad atteggiarsi dagli accordi internazionali. Memorabile il suo incontro con un’insigne medievista dell’università di Mosca,convinta che “questa guerra alla fine la vincerete voi italiani così. Con la cultura.” Ennesima conferma del fatto che noi italiani molto spesso siamo più amati dagli altri popoli di quanto noi stessi non ci amiamo.

Enrico Nistri

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Tags: enrico nistriMauro Pagliai editorestaraceUna pace difficile

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Comments 3

  1. Guidobono says:
    3 settimane ago

    Ottima recensione, come quella del collega Lavezzo Cassinelli. L’ossessione russofoba della pennuta Ursula, degli inglesi, di Micron le beau garçon, degli svalvolati dem USA, dei Paesi dell’Europa Orientale è veramente masochista, colma di pulsioni autolesioniste forse sino al suicidio. Non è questione di ammirare o meno Puin (ci mancherebbe) quanto quella di misurare i seguiti dei nostri gesti, decisioni, parole. Se tu metti nella NATO (senza ragione) Svezia e Finlandia è chiaro che Putin schieri poi armi potenzialmente contro di loro. Elementary, Watson..

  2. Guidobono says:
    3 settimane ago

    Solamente per la ‘verità storica’: nessun ‘precoce pensionamento’, giacchè i 65 anni Starace li ha compiuti a febbraio 2024 ed è rimasto in sede, a Mosca, sino a luglio. Mi ricordo che si parlò di ‘precoce pensionamento’ anche nel caso di Luca Pietromarchi dopo una non riuscitissima visita dell’allora Presidente Gronchi (1960, se ben ricordo) e sempre a Mosca. E non per colpa dell’Ambasciatore, ma delle velleità di Gronchi di ‘diplomazia parallela’. Ma anche allora non era vero, perchè l’età massima Pietromarchi l’aveva abbondantemente superata. È certo che eccezionalmente pochissimi Capi Missione sono stati confermati in sede anche per periodi di poco più lunghi, ma trattasi appunto di ‘eccezioni’ che confermano la regola e che sono assai mal viste negli ambienti della Farnesina…

  3. Pasquale ciaccio says:
    3 settimane ago

    Non mi pare che sulla guerra l’ Italia si sia appiattito alla GB. Certo, pace giusta e’ un modo di dire, si spera in un accordo duraturo. La guerra dovra’ finire, storicamente tutte prima o poi sono terminate. Non se ne puo’ piu’ di certi esponenti Ue che remano contro come il galletto francese, ad es

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