
Abbiamo letto un libro importante di Giovanni Sessa, Tertium datur. Filosofie dell’originario, comparso nel catalogo di InSchibboleth (per ordini: info@inschibbolethedizioni.com, pp. 389, euro 28,00). Nelle sue pagine, l’autore porta a conclusione un iter intellettuale al centro del quale sta il lógos physikós, la natura dei Greci in cui “tutto è in tutto”. Si tratta di un esperimento teoretico “originale” (rinviante all’ “origine”), connotato da estrema radicalità, che si propone quale uscita di sicurezza dalla attuale condizione teorico-pratica. L’autore, come ricorda nella prefazione il filosofo Romano Gasparotti, è cosciente di “pensare dalla fine” (l’espressione è mutuata da Alain Badiou e Giovanbattista Tusa) della filosofia e della civiltà europea e ha contezza che il lógos physikós debba tradursi in prassi di vita, atta a mostrare l’inanità dei dualismi propri della onto-teologia. Sessa è convinto, scrive il prefatore: «che la traboccante vitalità del cogitare, nei caratteri evocati dalla Settima lettera platonica […] non coincide affatto con il raziocinare astrattamente logocentrico». Vi è, comunque, una possibilità di uscita dallo stato presente delle cose, al di là di ogni astratto volontarismo e di qualsivoglia umanesimo di ritorno. Affinché tale possibile si attualizzi, sostiene Gasparotti con Sessa, è necessario: «aggirare gli schemi metafisico-modernisti di negazione, alternativa, superamento, essendo questi i patterns secondo i quali agisce l’acefala, anonima […] macchinazione» del Ge-stell.
Sessa fa propria l’esegesi transpolitica della storia che fu propria di Del Noce e Severino, alla luce della quale il moderno è l’esito ultimo della metafisica. Scienza e metafisica, condividendo i medesimi presupposti teoretici, hanno obliato il principio greco di hyle, materia-animata, introducendo le distinzioni di essenza-esistenza, essere-nulla, uno-molti, dando luogo a una visione nella quale la dynamis, libertà-possibilità-potenza sempre all’opera, è stata tacitata. L’autore ripercorre la storia di tale sterilizzazione, condividendo le posizioni che Davide Ragnolini ha presentato in, Hyle. Breve storia della materia increata (Rubbettino, 2023). Analizza, inoltre, alla luce delle bibliografia critica più accreditata, il saggio di Del Noce, Il problema dell’ateismo, ritenendo che, al di là delle due “vie” individuate dal pensatore cattolico (quella immanentista che con Hegel, Marx e Nietzsche, avrebbe inaugurato l’epoca della secolarizzazione, e quella giobertiano-rosminiana del recupero della metafisica), ne esista una terza, tertium datur, centrata sul primato della potenza e del possibile, sulla coincidentia oppositorum (mai da intendersi quale nuova sintesi positiva!) e sulla piena accettazione della singolarità.
Una via carsica della filosofia europea, emersa in piena Rinascenza, testimoniata dal pensiero e dalla vita di Niccolò Cusano, di Giordano Bruno, dalla mistica di Jakob Böhme e Franz von Baader, le cui tesi risuonarono in alcuni assunti dell’idealismo tedesco. In Tertium datur viene rintracciato dall’autore un canone minore del pensiero europeo, diverso, ma altrettanto prezioso di quello rinvenuto da Rocco Ronchi. A proposito di Cusano, Sessa nota: «il (suo) mondo si configura come realtà, che, partecipando della potenza, anzi, essendone sola espressione, è sempre all’opera […] non staticizzabile dal lavoro del concetto». Al filosofo di Kues, guardò, nel suo coerente panteismo, Bruno. Nelle opere del Nolano, la cui esegesi è condotta in modalità organica e con pertinenza di accenti, tornò a mostrarsi nella “vicissitudine” della physis, la hyle ellenica che fece sentire la propria voce anche nella teosofia di Jacob Böhme. Il tedesco pensò la hyle quale seme, germe cosmico, vivo nella coincidenza dei contrari. Le opere del teosofo, in primis Aurora: «realizzano il tentativo di sospensione ed effrazione delle valenze locutoriamente semantico-simbolico-discorsive del linguaggio», in quanto esse: «non possono affatto restituire la sorgività e l’immediatezza assoluta» del principio e: «finiscano per estraniare il lettore da un’intima e interattiva compartecipazione con il pragma cogitante […] L’experimentum del ciabattino-teosofo […] è quello dell’esercizio di un linguaggio eminentemente metaforico-immaginale». Baader, in sequela di tale tesi: «Alla fondazione del soggetto moderno, contrappone la distillazione alchemica del Sé». Tra gli idealisti, Fichte portò alla luce la negazione originaria, la dynamis-principio e a tale acquisizione teorica si mantenne fedele Schelling nella Filosofia della libertà oltre che nel momento teosofico del suo sistema. Hegel, al contrario, tradurrà dialetticamente tale negazione in un nuovo positivo. Quello hegeliano è, di fatto, un ermetismo imperfetto, deviato, in quanto ancora impigliato nel soggettivismo razionalistico di ascendenza cartesiana. Fu, al contrario, il pensiero-poetante di Friedrich Hölderlin, a salvare, in quel frangente storico, la visione tragica ellenica.
La dynamis, rileva Sessa, ha acquisito ruolo dirimente nelle filosofie ultrattualiste del Novecento italiano, nella linea speculativa Evola-Emo-Diano. Di Evola, l’autore riprende i motivi dell’idealismo magico e dell’individuo assoluto; di Emo quelli del ciclo del continuo rigenerarsi e sacrificarsi dell’iconoclastia e dell’autonegatività di Dio, individuando nell’irresistibilità dell’irrompere dell’Impossibile l’elemento cruciale di collegamento tra loro. Per quanto concerne il pensiero di Carlo Diano – nel quale si intrecciano la lunga meditazione su Leopardi poeta e la lezione filosofica di Gentile – nota Gasparotti, l’autore: «indugia sul nesso originario tra evento e forma, nell’articolarsi del quale […] l’Evento non si lascia mai catturare interamente dalla forma, nella misura in cui esso […] rende possibile il relazionarsi stesso […] di forma eventica e forma eidetica».
Il ritorno del “pensare greco” è, inoltre, espresso dall’esperienza sapienziale di Giorgio Colli, cui Sessa dedica un capitolo denso e ricco di suggestioni teoriche. Nel grande antichista, nella sua esegesi di Empedocle, la visione dell’Uno-Tutto ha trovato testimonianza d’eccezione. Nel libro viene colta la crucialità del “pensiero italiano”. Lo mostra il capitolo imperniato sulla filosofia ritmica e singolare di Massimo Donà, le cui opere sono attraversate e discusse con evidente empatia dall’autore. Donà ha sostenuto la necessità di tornare a coniugare theorein e poiein ed ha insegnato come l’aporia implicita nella vita, possa essere “sopportata” serenamente, in una prassi inconclusa aperta all’incipit vita nova. Libro articolato, complesso, Tertium datur di Sessa. Il dato teorico che lega i diversi plessi è il seguente: per il lógos physikós uno e molti dicono il medesimo, Geist e Leib si danno in uno, senza rinviare ad alcun altrove.
La nostra lettura è parziale, abbiamo presentato solo alcuni aspetti del volume. Non possiamo che concludere con questa considerazione del prefatore: «È veramente una gioia per il pensare poter leggere e potersi confrontare con libri come questo, i quali sono preziosamente rari».