
Il 1° maggio, Festa dei lavoratori, è una delle più amate e meno divisive e non solo in Italia. Adolf Hitler, nel 1933, la ribattezzò Festa del lavoro tedesco, ma non la abolì- Nel nostro paese, venne sempre celebrata con l’esecuzione dell’Inno dei lavoratori – composto da Filippo Turati nel 1886 su musica di Amintore Galli (“Su fratelli, su compagne, su, venite in fitta schiera: sulla libera bandiera splende il sol dell’avvenir”) e con il bellissimo canto del 1901 l’Internazionale di E. Bergeret e Pierre Degeyter (musica) – adottato dalla II Internazionale, quella socialdemocratica — che Arturo Toscanini, a New York, nel 1944, incluse nel concerto dedicato alle vittorie degli Alleati.
Colonna sonora fuori posto
Dell’Inno dei lavoratori e dell’Internazionale, nel concertone romano, per chi abbia visto i servizi tv, non si è sentita una nota. In cambio, grande spazio è stato dato alla canzone dei partigiani Bella Ciao. ”Panem et circenses” è la filosofia che ha ispirato il primo la stessa delle balere nelle feste dell’Unità – e un antifascismo fuori stagione ha indotto a riproporre, come da diversi anni, l’altro. Non vorrei attirarmi i fulmini dell’Anpi e dei suoi inquisitori – come Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati, autori del libello Democrazia afascista (Feltrinelli), ma che c’azzecca Bella ciao col 1° maggio?
L’inno partigiano, quasi ignoto negli anni della Resistenza, ricorda la liberazione dell’Italia dall’invasore tedesco, come il Coro del Nabucco (‘si licet magnis componere parva’) ricorda i patrioti italiani insofferenti del giogo austriaco: ha senso riproporlo in una festa che esalta il lavoro e non la patria?
Pagliarulo?!? Landini?!?
In realtà, Bella ciao – che qualche spirito ameno ha proposto di affiancare, nelle cerimonie ufficiali, all’Inno di Mameli – intende essere un monito al governo afascista (ma in realtà postfascista) di Giorgia Meloni: tra i lavoratori e i partigiani non c’è differenza e contro la dittatura incombente sono tutti pronti a scendere in piazza. Filippo Turati, Pellizza da Volpedo, Edmondo De Amicis appartengono ormai a un mondo lontano, a una tradizione che si è andata spegnendo: il futuro è di Gianfranco Pagliarulo e di Maurizio Landini.
Che brutta fine ha fatto la sinistra!
(da Il Giornale del Piemonte e della Liguria)
*Professore Emerito di Storia delle dottrine politiche Università degli Studi di Genova