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Rosita Manfredi, nonna e sentinella solitaria nel paese fantasma

A Setterone, val di Taro, vive una signora tornata da Parigi e Londra. L'Arma vigila su di lei

by Roberto Longoni
12 Maggio 2025
in Cronache
1
Rosita Manfredi

Bedonia – Fuori: la voce invernale del torrente dal fondo della valle e il canto dei merli, in una primavera che gioca a nascondino. Dentro: il crepitare dei ceppi nella stufa di ghisa, le fusa del gatto sulla panca e il telefono pronto a squillare, specie di sera. «Mi vogliono bene. Controllano se ci sono ancora – sorride Rosita -. Ma io non mollo, anche se da qualche estate ho sotterrato l’accetta, e la legna me la faccio portare». 

Il distanziamento qui è esistenziale, da pandemia demografica. Gelo a parte, tra il fuori e il dentro poco cambia per questa novantenne sentinella dell’Appennino, sola tra le proprie pareti come tra le quattro case di Setterone che proprio quattro non sono. Oltre al suo, sono 65 numeri civici di spopolamento: parola del postino che sale fino a qui ogni due giorni a portare lettere destinate a viaggiare ancora, ma nel tempo. Alcune verranno ritirate nelle toccate e fughe di chi viene giusto per verificare la tenuta del tetto. Le più invece giaceranno per mesi nelle cassette o infilate sotto i portoni, prima di essere prese in mano in agosto dai discendenti dei tanti emigrati in Francia e Inghilterra, figli dell’epopea del gelato. E si farà spazio ad altra posta, destinata ad aspettare il prossimo agosto, il disgelo umano sempre più incerto e breve: basta lo scorrere di una generazione, perché la memoria diventi zavorra, scarto. 

Anche queste case potrebbero finire come quelle di chi non ebbe figli (o si tagliò del tutto i ponti alle spalle): monumenti all’oblio di ruderi e rovi seminati come da un bombardamento. Non fu la guerra, ma l’abbondanza trovata altrove a ridurli così: il filo comune a tutto l’Appennino, spina dorsale d’Italia ormai svuotata del midollo.

 

Tra partenze e addii

Anche Rosita partì – per Francia e Inghilterra – ma partì per tornare. Dovette farlo per la famiglia, che un po’ alla volta si mise a letto per non rialzarsi. La suocera rimase paralizzata negli anni ‘70: lei fu pronta a farle da angelo custode, e così si concluse il bel periodo a Parma, a servizio dal senatore Ferruccio Micheli, che – con la moglie Franca – la trattava come una figlia. 

Alla morte della suocera, fu la mamma a non farcela più da sola: sarebbe mancata nel 2005, a 93 anni. Il papà, invece morì nel 1998, a 94, dopo un mese di malattia e senza aver mai preso nemmeno un’aspirina. L’ultimo da accudire fu il fratello Giuseppe. Morì nel 2010 e lei rimase sola in casa, ma non ancora sola a Setterone. 

Altri resistevano: e Rosita aiutò pure loro, fino a quando a uno a uno vennero portati a riposare per sempre appena più in là, sotto una croce, abitanti di una Setterone meno numerosa solo di quella sparsa per il mondo. 

L’ultima messa, per i Morti, è stata celebrata direttamente lì, nel cimitero. E pensare che un tempo la chiesa, nemmeno troppo piccola, stentava a contenere i fedeli. Ora apre per San Fermo, il 9 agosto, e per la Madonna delle Grazie, l’ultima domenica di agosto. Il resto è deserto. Tanto che i rintocchi del campanile in risposta a quelli di Strepeto che risuonano un minuto prima, sull’altro lato della valle, sembrano venire da un’altra dimensione. «Mi fanno compagnia» sorride Rosita, custode di un paese in agonia. Setterone ancora respira vita nel fumo del suo camino, ancora apre gli occhi attraverso la sua finestra accesa.

 

Ballo di nozze con casqué nella stalla 

Di cognome, Rosita fa due volte Manfredi. Qui, se non lo sei, sei un Molinari o un Federici. Lei Manfredi lo era già prima di dire sì a Sisto. Sposi, cognomi e cerimonia, tutto a chilometri zero (anche la luna di miele: perché andare a Parigi in viaggio di nozze, quando ci si può immigrare? Così fecero un mese dopo). Coolazione nella casa di lei; matrimonio nella chiesa nella parte alta del paese; pranzo nell’abitazione dei suoceri. Infine, la festa in una casa appena più spaziosa. «C’era solo la fisarmonica a quei tempi…». Ingordi di note, i ballerini si diedero un gran da fare, fino a che le assi del pavimento cedettero. E dalle stelle della danza si finì nella stalla al piano di sotto (il bioriscaldamento contadino funzionava così). Era mezzanotte, tutti si ritirarono non sapendo se ridere o piangere. Lei lo interpretò come un brutto segno. Oggi è convinta lo fosse: il suo Sisto morì nel 1996, a 68 anni, prosciugato da tre lustri d’artrite reumatoide.

Era il 1 febbraio 1958, quando Rosita si sposò. Freddo, neve: a volte tanta da dover uscire dalla finestra del primo piano. C’era poco da spalare, nel vicolo largo un metro o poco più sul quale s’affaccia l’ingresso. Le case condividono i muri laterali e sulla fronte sono divise dallo stretto necessario. All’uso ligure più che emiliano. All’uso dell’Appennino più aspro: è l’orografia a dettare storia e costumi. Il Penna non è un monte addomesticabile, e la sua gente ne ricalca(va) il carattere. Qui la terra è sudata più che altrove. 

Rosita lo imparò di pari passo con il leggere e il far di conto. Alle elementari («quaranta bambini a scuola in canonica: chi l’avrebbe immaginato che non ci sarebbe più stato nessuno?») si presentava con un piccolo ceppo per la stufa e una cartelletta di legno. La campanella dell’uscita segnava anche l’inizio del lavoro. «Dopo la scuola, raggiungevo i miei nei campi». Se possono essere chiamati campi quei lembi di terra così ostili da rifiutare aratro e bue. «Si lavorava di zappa e il fieno veniva portato a spalla». Finita la terza, la bimba impugnò la zappa senza più passare da scuola.

 

Sola, ma non abbandonata

Se tornare per lei fu un dovere, ora restare è una scelta e un segno di rispetto per i secoli di sacrifici dai quali discende. «Qui ho le mie radici – ripete -. Qui è dove sto bene». Non chiedetele di andare al mare né in città, ma semmai verso l’alto del Penna o sul Groppo (scalato poche estati fa con alpini e volontari della Croce rossa per portare la nuova Madonnina). A Bedonia scende lo stretto necessario con il tassista amico di Pontestrambo. «Metto insieme tutte le commissioni per rientrare al più presto. Mi sembra tutto così caotico». E chissà come doveva sembrarle la Ville Lumière, nei 12 anni in cui ci visse, lavorando negli alberghi e in una farmacia. La domenica, con Sisto, nei parchi e nello zoo di Vincennes cercava la pace perduta. In Inghilterra, invece, nei week-end portava in giro i gelati prodotti dal fratello, dopo aver lavorato durante la settimana in fabbrica o in una stireria. Ci rimase tre anni.

Ora, spesso è Bedonia – il capoluogo comunale – ad andare da lei, specie d’inverno o, ai tempi del Covid, durante le chiusure più restrittive. Croce rossa e Protezione civile le hanno sempre assicurato provviste e medicine. «Sono i miei angeli. Così come i carabinieri. “Non sei sola: ti siamo sempre vicini”. mi dicono». Il sindaco Gianpaolo Serpagli a ogni nevicata si accerta sia fatta la traccia: che Rosita non sia più isolata del solito. Anthony Federici, poi, provvede a spalare la neve fino alla sua porta e a portarle la legna.

 

“Nei sogni ritrovo la mia gente”

Le mancano le messe, quelle sì. E ancora di più da quando Luigi Guareschi senza motivo è stato ucciso a Iavole, frazione della frazione Setterone, da un vicino poi giudicato incapace di intendere e di volere. «Una persona d’oro. Veniva a prendermi con la moglie Maria (Molinari, Ndr) per portarmi in chiesa a Bedonia. Che dolore…». Ora, le rimane la funzione in diretta. Per il resto, la tv l’accende poco («più che altro per i tg e il Paradiso delle signore»). D’inverno, lavora a maglia senza sapere per chi. D’estate si assicura che tutto sia in ordine in paese, attorno alla chiesa, al camposanto. Non sta mai ferma, nonostante il ginocchio acciaccato. «La protesi significherebbe intervento, degenza, quasi di certo il ricovero – sorride, mostrando il foglio di “invito” già preparato da una Rsa -. Meglio le infiltrazioni, prendiamo tempo». Va nei boschi, pur trattenendosi dall’usare l’accetta e la falce. Le mancano: questione di abitudine. Paura a stare da sola ne avrebbe avuta di più da bambina, ai tempi dei firossi, delle chiacchiere da focolare che evocavano l’invisibile. «Ora a farmi coraggio è il telefono che ho sempre con me». E con la solitudine come la mettiamo? «La provo più che altro quando avrei bisogno di risposte. Ed è la sera il momento più a rischio. Di notte poi sogno quello che faccio di giorno e sogno tutti i vecchi che ho aiutato: sono con me come quando erano vivi. Lo so che i miei mi aspettano a “casa”: non sono triste al pensiero di andare da loro». Per ora, li incontra stando da questa parte della realtà. Per un vecchio detto malevolo, tra Alpe, Strepeto e Setterone, le tre frazioni bedoniesi del Penna, ce ne vogliono cento per «farne uno buono». Non ci sono neanche più. A fare per cento, a Setterone, basta Rosita.

Roberto Longoni

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Tags: bedoniaRoberto Longoni*rosita manfredisetterone

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Comments 1

  1. Sandro says:
    1 mese ago

    Cronaca bella e malinconica. complimenti

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